Delle arti liberali: geometria, aritmetica e musica; qualche elemento ti fornii io stesso quando eri ancora bimbo di cinque o sei anni: prosegui avanti e sappi tutti i canoni dell’astronomia. Lascia stare l’astrologia divinatrice e l’arte di Lullio, come inganno e vanità. Del diritto civile voglio tu sappia a memoria i bei testi e me li illustri con argomenti filosofici.
Anche voglio tu ti dedichi con curiosità alla conoscenza dei fatti naturali; che non vi sia mare, fiume, fonte di cui non conosca i pesci: tutti gli uccelli dell’aria, tutti gli alberi, arbusti e frutici delle foreste, tutte le erbe della terra, tutti i metalli nascosti nelle sue profonde viscere, e le gemme dell’Oriente e del Mezzodì, niente ti sia sconosciuto.
Poi leggi accuratamente i libri dei medici greci, arabi, latini, senza trascurare i talmudici e cabalisti; e con frequenti anatomie acquista perfetta conoscenza di quell’altro mondo che è l’uomo. Durante qualche ora del giorno comincia a compulsare le sacre scritture. Primieramente il Nuovo Testamento e le Epistole degli Apostoli, in greco, poi, in ebraico, il Vecchio Testamento. In somma che io veda un abisso di scienza; poiché più avanti, diventando uomo e facendoti grande, ti converrà uscire da codesto tranquillo riposo degli studi e apprendere la cavalleria e l’uso dell’armi per difendere la mia casa e soccorrere i nostri amici in tutti i loro affari contro gli assalti dei malfattori. Voglio che ben presto tu dia prova di quanto hai profittato; e non potrai farlo meglio che tenendo discussioni in ogni genere di scienza pubblicamente verso tutti e contro tutti, e frequentando i letterati che sono a Parigi e altrove.
Ma poiché, secondo il savio Salomone, sapienza non entra in anima malevola e la scienza senza la coscienza non è che rovina dell’anima, ti convien servire, amare e temere Dio, e mettere tutti i tuoi pensieri e la tua speranza in Lui ed essere a Lui unito con fede fatta di carità per modo che mai te ne allontani per peccato. Tieni in sospetto gli inganni del mondo. Non perdere il cuore in cose vane poiché questa vita è transitoria, ma la parola di Dio resta eternamente. Sii servizievole col prossimo ed amalo come te stesso. Abbi riverenza pei tuoi precettori, fuggi la compagnia delle persone alle quali non vuoi somigliare e fa di non aver ricevuto invano le grazie che Dio t’ha dato. E quando conoscerai d’avere in questo modo acquistato tutto il sapere, ritorna a me che possa vederti e darti la mia benedizione prima di morire.
La pace e la grazia di Nostro Signore siano con te figlio mio, amen.
Da Utopia, il 17 marzo”.
Tuo padre
Gargantua
Ricevuta e letta questa lettera, Pantagruele prese nuovo coraggio e fu infiammato a progredire più che mai, talché vedendolo studiare e imparare avreste detto che il suo spirito s’agitava tra i libri come foco tra i sarmenti infaticabile e scoppiettante.
CAPITOLO IX.
Come qualmente Pantagruele incontrò Panurgo che amò tutta la vita.
Un giorno Pantagruele, passeggiando fuori di città verso la badia di Sant’Antonio, mentre stava conversando e filosofando coi suoi e con alcuni studenti, incontrò un uomo di bella statura ed elegante in tutti i lineamenti del corpo, ma scorticato qua e là in modo pietoso e in così malo arnese da sembrare sfuggito ai cani, o, piuttosto, un coglitore di pomi della Perche. Non appena Pantagruele lo scorse da lungi disse:
- Vedete quell’uomo che viene per la strada del ponte di Charenton? In fede mia non è povero che per accidente: v’assicuro, a giudicar dalla fisonomia, che discende di nobile lignaggio, ma capita alla gente avventurosa di ridursi a tal penuria ed indigenza. E appena fu a tiro gli domandò:
- Vogliate fermarvi un po’, vi prego, amico mio, e rispondere a ciò che vi domanderò e non ve ne pentirete ché ho gran desiderio di aiutarvi come posso nella calamità in cui vi vedo e che m’ispira pietà. E intanto ditemi, amico mio, chi siete? Donde venite? Dove andate? Che cercate? Qual’è il vostro nome?
Quell’uomo rispose in lingua germanica:
- Junker(1) , Gott geb euch Glück und Heil zuvor. Lieber Junker, ich lass euch wissen, das da ihr mich von fragt, ist ein arm und erbarmlich Ding, und wer viel darvon zu sagen, welches euch verdruslich zu hoeren, und mir zu erzelen wer, wiewol die Poeten und Orators vorzeiten haben gesogt in iren Sprüchen und Sententzen, das die Gedechtnus des Ellends und Armout vorlangts erlitten ìst ein grosser Lust.
- Amico, rispose Pantagruele, non intendo punto queste sciarade; se volete che v’intenda parlate altro linguaggio.
- Al (2) barildin, l’uomo rispose, golfano dech min brin alabo dordin falbroth ringuam albaras. Nin porth zadilrin almacathim milko prim al elmin enthot dal heben ensorum; Kuth im al dim alkatim nim broth dechot porth nim micas im endoth, pruch dal marsonimm hol moth dansrikim lupaldas im voldemoth. Nin hur diaaolth mnarbothim dal gousch pal frapin duch in socth pruch galeth dal Chinon, min foultrich al conin butbathen doth dal prim.
- Intendete nulla? Chiese Pantagruele ai presenti.
- Io credo, disse Epistemone, che sia lingua degli antipodi, neanche il diavolo ne masticherebbe un cavolo.
- Compare, disse allora Pantagruele, non so se vi capiscano i muri, ma nessuno di noi ha compreso sillaba.
- Signor (3) mio, disse l’uomo: voi videte per exemplo che la cornamusa non suona mai s’ela non à il ventre pieno: così io parimente non vi saprei contare le mie fortune, se prima il tribulato ventyre non à la solita refectione, al quale è adviso che le mani e li denti abbiano perso il loro ordine naturale e del tuto annichillati.
- Tant’è questo come quello, risposte Epistemone. E Panurgo:
- Lard, (4) ghest tholb be sua virtiuss be intelligence ass yi body shal biss be natural relvtht, thold suid of me pety have, for nature hass ulss egualy maide: bot fortune sum exaltit hess, an oyis deprevit. Non ye less vioia mour virtius deprevit and virtiuss men discrivis, for, anen ye laud eud. Iss non gud.
- Meno ancora, rispose Pantagruele.
- Jona(5) riprese Panurgo, audie guaussa goussy etan beharda er remedio beharde versela ysser lauda. Anbat es otoy y es nausa ey nessasust gouray proposian ordine den, Nonyssena bayta facheria egabe gen herassy badia sadassu noura assia. Aran hobdauan gualde cydassu naydassuna. Eston oussyc ed vinau soury hien er darstura eguy harm. Genicod plasar vadu.
- Ci siete, Genicoa ? rispose Eudemone. A cui Carpalim:
- San Tregnano, fottetevi degli Scozzesi? Poco manca ch’io abbia inteso.
- Prug (6) rest fring, rispose Panurgo, sorgdmand strochdt drnds pag brlelang gravot chavygny pomardiere rusth pkalhdracg Deviniere pres Nays. Conille kalmuch monach drupp del meuplist rincq drlud dodelb up drent loch mine stz rinq iald de vins ders cordelis bur joest sizampenarot.
- Ma parlate voi cristiano, disse Epistemone, o lingua patelinesca? No, ci sono, è lingua lanternesca.
-Heere(7) , ik en spreeke anders geen taale, dam kersten taale, my dunkt nochtans al en zeg ik u niet een woord, mijnen nood verklaart genoeg wat ik hegeere: geef my uit bermherti gheid net, waar van ik govoed mag zijn.
- Anche questo buio pesto, disse Pantagruele. E Panurgo allora:
-Segnor(8) , de tanto hablar yo soy causado, por que yo suplico a vuestra reverencia que mire a los preceptos evangelicos, para que ellos movan vuestra reverencia a lo que es de conciencia; y si ellos non bastaren para mover vuestra reverencia a piedad, yo suplico que mire a la piedad natural, la qual yo creo que le movera como es de razon: y con eso non digo mas.
- Per Diana, amico mio, rispose Pantagruele, non metto in dubbio che sappiate ben parlare diverse lingue; ma dite ciò che volete in qualche lingua che possiamo intendere.
- Myn(9) Herre, disse l’uomo eudog ieg med inge tunge talede, ligeton born, oc uskellige creature; Mine klaedebon, oc mit legoms magerhed udviser alligevel klarlig hvad ting mig best behof gioris, som er saudelig mad oc dricke: Hvorfor forbarme dig over mig, oc befal at give mig noguet, af hvilcket ieg kand styre min gloendis mage, ligerviis som man Cerbero en suppe forsetter. Saa skal du lefve laenge oc lycksalig.
- Io credo, disse Eustene, che i Goti parlassero così, e, se Dio volesse anche noi parleremmo così, col culo.
- Adoni(10) , disse l’uomo, scholom lecha: im ischar harob hal habdeca, bemeherah thithen il kikar tehem, cham cathub; laah al adonai cho nen ral.
- Finalmente, rispose Epistemone, ho ben capito: questo è arabo pronunciato in tutte le regole. A cui l’uomo:
- Despota(11) tinyn panagathe, diati sy mi ouk artodotis? horas gar limo analiscomenon eme athlion ke en to metaxy me ouk eleis udamos, zetis de par emou ha ou chre.
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