Ke homos philologi pautes homologonsi tote logous te ke remata peritta hyparchin, hopote pragma afto pasi delon esti. Entha gar anankei monon logi isin, hina praguata (hon peri amphisbetoumen) me prosphoros epiphenete.
- Che? disse Carpalim, servo di Pantagruele, questo è greco, l’ho bene inteso. Ma come? tu hai abitato in Grecia?
- Agonou(12) dont oussys, disse lo sconosciuto, vou denaguez algaron, non den faron zamist vou mariston ulbrou fousquez vou brol tam bredaguez moupreton den goul haust, daguez daguez nou croupysf ost bardonnoflist nou grou. Agon paston tol nalprissys hourton los ecbatonous, proou shouquys brol panygon deu bascrou non dous cagnons goulfren goul oust roppason.
- Mi par d’intendere, disse Pantagruele: o è la lingua del mio paese d’Utopia, o molto le somiglia nel suono.
E poiché voleva cominciare qualche discorso, lo sconosciuto disse:
- Iam(13) toties vos, per sacra, perque deos deasque omnes, obtestatus sum, ut, si qua vos pietas permovet, egestatem meam solaremini, nec hilum proficio clamans et ejulans. Sinite, quaeso, sinite, viri impii, quo me fata vocant abire, nec ultra vanis vestris interpellationibus obtundatis, memores veteris illius adagi, quo venter famelicus auriculis carere dicitur.
- Ma per Diana, disse Pantagruele, non sapete parlar francese?
- Benissimo, certo, signore, rispose quello; è anzi, grazie a Dio, la mia lingua naturale e materna poiché nacqui e fui nutrito ragazzo nel giardino di Francia: Turenna.
- E allora, soggiunse Pantagruele, diteci un po’ il vostro nome e donde venite; che, in fede mia, m’ha preso tal simpatia per voi, che, se consentite, non vi partirete più dalla mia compagnia e diventeremo un nuovo bel paio d’amici come Enea e Acate.
- Signore, disse il compagnone, il mio vero e proprio nome di battesimo è Panurgo e vengo ora di Turchia, dove fui condotto prigioniero quando, per mala sorte, s’andò a Mitilene. E volentieri vi racconterei le mie avventure, più mirabili di quelle d’Ulisse; ma poiché vi piace trattenermi con voi (e accetto l’offerta promettendo non lasciarvi mai, doveste andare a tutti i diavoli) avrò agio in altro momento, più comodo, di raccontarle. Ma ora ho necessità ben urgente di rifocillarmi: denti acuti, ventre vuoto, gola secca, appetito crepitante, tutto è ben disposto. Se volete mettermi all opera, sarà un balsamo vedermi divorare; date ordini, per Dio.
Allora Pantagruele comandò fosse accompagnato alla sua abitazione e gli portassero mangiare in abbondanza. Ciò fatto, Panurgo mangiò magnificamente quella sera, poi andò a coricarsi ingozzato come un cappone, e dormì fino all indomani all’ora di pranzo talché non fece che tre passi e un salto da letto a tavola.
CAPITOLO X.
Come qualmente Pantagruele con equità giudicò d una controversia fieramente oscura e difficile, e con tanto giusto giudizio che fu detto più ammirabile di quello dl Salomone.
Pantagruele, memore della lettera e ammonimenti del padre, volle un giorno mettere a prova il suo sapere e fece pubblicare su tutti i quadrivi della città novemila settecento e sessantaquattro proposizioni di ogni genere di scienza, toccanti i dubbi più forti delle singole scienze. E primamente, nella Rue du Feurre tenne testa a tutti i professori, i mastri d’arte e oratori e lo mise nell’organo a tutti. Poi discusse alla Sorbona contro tutti i teologi per lo spazio di sei settimane, dalle quattro del mattino fino alle sei di sera salvo due ore d’intervallo per la colazione.
Assistevano alla discussione la maggior parte dei signori della Corte di giustizia, i referendari, presidenti, consiglieri, contabili, segretari, avvocati e altri, insieme cogli scabini della città, i medici e i canonisti. E notate che la maggior parte di essi mordevano il freno; ma nonostante i loro sofismi e scantonamenti li mise nel sacco e fece far loro la figura di vitelli togati. Onde tutta la gente cominciò a passarsi la voce e a parlare del suo sapere così meraviglioso, persino le donnicciuole, lavandaie, ruffiane, rosticcere, coltellinaie e altre, le quali, quando passava per le strade dicevano:”è lui”, e ciò gli dava piacere come si rallegrò Demostene principe degli oratori greci, quando una vecchierella rannicchiata disse: “È quello là”.
Proprio in quel tempo era pendente davanti alla Corte un processo tra due grandi signori, il signor di Baciaculo attore in giudizio da una parte, e il signor di Fiutascorregge convenuto dall’altra. La loro controversia era sì alta e difficile in diritto, che la Corte del Parlamento non v’intendeva un’acca. Per comando del Re furono riuniti i quattro più sapienti e grassi Parlamenti di Francia insieme col Gran Consiglio e tutti i principali rettori d’università non solo della Francia, ma anche d’Inghilterra e d’Italia, come Giasone, Filippo Decio, Pietro de’ Petronibus e un mucchio d’altri vecchi togati. E così riuniti per lo spazio di quarantasei settimane, non avevano saputo masticare né chiarire il caso per applicarvi il diritto in qualsiasi modo e n’erano sì indispettiti che cacavansi addosso dalla vergogna.
Ma uno di loro chiamato Due Douhet, il più sapiente, esperto e prudente di tutti, un giorno che erano storditi di cervello disse loro:
- Signori, da lungo tempo siamo qui senz’altro fare che spendere e non riusciamo a toccar fondo né riva in questa materia e tanto più vi studiamo tanto meno intendiamo, il che ci procura onta e ci grava la coscienza e temo non ne usciremo senza disonore, poiché non facciamo che farneticare coi nostri consulti. Ma ecco ciò che ho pensato. Avete senza dubbio udito parlare di quel grande personaggio chiamato mastro Pantagruele il quale, nelle grandi discussioni sostenute contro tutti pubblicamente ha dimostrato esser sapiente oltre ogni possibilità del tempo nostro; ebbene, son d’avviso che lo chiamiamo e ci consultiamo in questo processo con lui, poiché nessun altro ne verrà a capo se non ci riesce lui.
Consentirono tutti i consiglieri e dottori, e infatti subito lo mandarono a cercare e lo pregarono di voler rivedere e studiare a fondo il processo e di preparar loro una relazione come più gli piacesse e secondo la vera scienza legale. E affidarono alle sue mani sacchi e incartamenti di che si potevano caricare quattro grossi asini con tanto di coglioni.
Ma Pantagruele disse loro:
- I due signori che hanno promosso questo processo sono ancor vivi?
Gli fu risposto che sì:
- A che diavolo dunque servono, disse, tutti questi mucchi di atti e di copie consegnatemi?
Non è meglio udire dalla loro viva voce il dibattimento piuttosto che leggere queste babbuinerie, null’altro che imbrogli, e diaboliche cautele uso Cipolla e sovversioni del diritto? Poiché io son sicuro che voi e tutti quelli per le mani dei quali è passato il processo, vi avete macchinato a tutto vostro potere pro et contra; e se la loro controversia era chiara e facile a giudicare, voi l’avete oscurata en sciocche e sragionevoli ragioni e inette citazioni dell’Accursio, di Baldo, di Bartolo, di Castro, dell’lmola d’Ippolito, del Panormo, di Bertacchino, di Alessandro del Curtius e di quegli altri vecchi mastini che mai non intesero la minima legge delle Pandette e non erano se non grossi vitelli da decima, ignoranti di quanto è necessario alla intelligenza delle leggi. Poiché (come gli è ben certo) non avevano conoscenza di lingua né greca né latina ma solamente del gotico e barbaro. Laddove in primo luogo le leggi son attinte dai Greci come attesta Ulpiano, l. posteriori de Origine iuris, e tutte le leggi son piene di sentenze e parole greche; in secondo luogo sono redatte nel più elegante e adorno stile che vanti la lingua latina, non facendo eccezione, a mio gusto, né per Sallustio, o Varrone, o Cicerone, o Seneca, o Tito Livio, o Quintiliano. Come avrebbero dunque potuto intendere il testo delle leggi quei vecchi farneticanti i quali mai non videro un buon libro latino come appare manifestamente dal loro stile, stile da spazzacamini da cuochi e da sguatteri, non da giureconsulti?
Inoltre, poiché le leggi hanno radice nel nocciolo della filosofia morale e naturale, come le potrebbero intendere quei folli i quali di filosofia, perdio, ne hanno studiato meno della mia mula? Di lettere umane poi, d’archeologia e di storia di cui il diritto è imbevuto, essi n’erano carichi come un rospo di piume, e ne usano come un crocifisso d’un piffero. Senza tutte quelle conoscenze le leggi non possono essere intese come un giorno ampiamente dimostrerò per iscritto. Perciò se volete che studii il processo, primieramente fatemi bruciare tutte quelle carte e in secondo luogo fate venire davanti a me i due gentiluomi in persona, e quando li avrò uditi vi dirò la mia opinione senza finzione o dissimulazione di sorta.
Alcuni dei presenti erano contrari come sapete che avviene in tutte le riunioni dove sono più i matti che i saggi e la parte più numerosa sormonta sempre la migliore, come asserisce Tito Livio parlando dei Cartaginesi. Ma il detto Du Douhet per contro, sostenne virilmente ciò che Pantagruele aveva ben detto, che quei verbali, inchieste, repliche controrepliche, incriminazioni, discriminazioni e altrettali diavolerie, non rappresentavano che sovversioni del diritto e lungaggini, e che il diavolo se li portasse via tutti quanti se non procedevano altrimenti secondo equità filosofica ed evangelica. Insomma tutte le carte furono bruciate e i due gentiluomi personalmente convocati.
E allora Pantagruele disse loro:
- Siete voi che avete insieme questa gran controversia?
- Sissignore, dissero essi.
- Quale di voi è l’attore in giudizio?
- Io, rispose il signore di Baciaculo.
- Ora, amico mio, raccontatemi per filo e per segno la faccenda, secondo verità, e se, perdio, mentirete una sola parola, vi spiccherò la testa dalle spalle e vi mostrerò che in giustizia e giudizio non si deve dire che la verità; perciò guardatevi bene dall’aggiungere o togliere un ette al racconto del vostro caso. Dite.
CAPITOLO XI.
Come qualmente i signori di Baciaculo e Fiutascorregge discussero davanti a Pantagruele senza avvocati.
Cominciò Baciaculo nella maniera seguente:
- Signore, è vero che una buona donna della mia casa portava a vendere delle ova al mercato.
-Tenete il cappello, Baciaculo, disse Pantagruele.
- Grazie, Signore, disse il signore di Baciaculo. Ma a proposito passavano tra i due tropici sei bianchi, verso lo zenit e maglia tantoché i monti Rifei avevano avuto quell’anno grande sterilità di frottole causa una sedizione di balle, mossa contro i Baraguini e gli Accursieri, per la ribellione degli Svizzeri che s’erano riuniti fino al numero di tre, sei, nove, dieci per andare all’agucchianuovo, il primo buco dell’anno quando si lascia la minestra ai buoi e la chiave del carbone alle domestiche per dar l’avena ai cani. Tutta la notte non si fece (colla mano sul boccale) che spedire bolle a piedi e bolle a cavallo per trattener le navi, poiché i sarti volevano fare, con scampoli rubati,
un cerbottano
Per coprire il mare oceáno,
il quale allora era grosso quanto una pentola di cavoli secondo l’opinione degl’imballatori di fieno; ma i medici dicevano che dalla sua urina non appariva segno evidente,
al passo dell’ottarda
di mangiare le scuri con mostarda
salvoché i signori della Corte facessero per bemolle, una ordinanza alla sifilide di non più racimolare dietro i magnani e passeggiare così durante il servizio divino; poiché i birbanti avevano già buon principio a danzare l’estrindoro al diapason,
un piè nel foco
E il capo in mezzo è un gran bel gioco,
come diceva il buon Ragot.
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