Nei cimiteri, al contrario, si fa la conoscenza di persone, se posso usare per loro questa espressione, del nostro livello; infatti si possono considerare gli epitaffi come biglietti da visita che i defunti si compiacquero di lasciare ai posteri.

A parte questo, è solo in un luogo di sepoltura che si apprendono certi dettagli della vita di una località. I tessitori dei Marchesati del Galles per esempio hanno rivelato la loro prosperità e la loro raffinatezza nelle pietre tombali dalle eleganti sculture e dalle colte iscrizioni. Inoltre si viene così a contatto di magnati e di notabili meno importanti; a Cirencester, per esempio, con la famiglia di Lord Bathurst di Pope, e in una cittadina simile, Tonnerre, in Borgogna (con un intero secolo di politica francese e intrighi di corte), con i Le Telliers, Marchesi di Louvois e i loro clienti, i Beaumont, tra i quali il misterioso Signore o Signorina d’Eon. E per quel che riguarda l’Italia, si viene spesso remunerati per avere decifrato le iscrizioni sepolcrali dal semplice splendore romantico dei nomi; la sola morte avvenuta nel 1570 e qualcosa di una monaca aristocratica di Ravenna, di nome Elettra Malagola, vale un intero poema di Browning.

Ma, per quanto ne so, i cimiteri più attraenti si trovano in Germania. Di certo l’elemento più impressionante di Norimberga, per esempio, è il Johannis-Friedhof. Lo ha circondato un’incredibile città moderna, tanto che il Calvario di Krafft e le stazioni della Via Crucis si ergono in mezzo a incipienti viali; ma ciò aggiunge una nota ulteriore alla sua solenne stravaganza. È in ogni senso uno dei luoghi più strani che abbia mai visto, proprio perché non esclude nessuno e accetta la contemporaneità delle epoche: gente morta solo un paio di anni fa è sepolta accanto a Dürer a Pirkeimer o Hans Sachs e ci sono grosse corone, completamente secche, di abete e di tasso sulle tombe dei cittadini di Norimberga del quindicesimo e del sedicesimo secolo. S’incontrano nutrici e bambini che girano tra le tombe incredibilmente vicine le une alle altre, e ragazzetti di strada a piedi scalzi che si divertono (come si addice a una nazione di uomini colti) a sillabare gli epitaffi. Non c’è da meravigliarsi se tutti desiderano esservi sepolti, poiché questo è un luogo che offre l’opportunità di piacevoli vicini di casa. Esso comprende tutte le più grandi famiglie patrizie del medioevo, i Tuchers, i Loffelholzes e gli Eisenbeiss (con la loro armoirie parlante raffigurante un selvaggio con un coltello fra i denti), che hanno lasciato immensi cartigli con i nomi dei loro defunti nelle chiese principali. E grazie a loro, il cimitero è un museo perfetto che raccoglie una delle più affascinanti branche dell’arte germanica, quella, per intenderci, delle decorazioni araldiche. Se si avesse la pazienza di spazzare e di tirar su (con un ramoscello colto dal vicino roseto, o con il gambetto della foglia di limetta) gli aghi secchi e polverosi delle ghirlande mortuarie di alcuni secoli fa (togliendo nel contempo la corona recente che sa di abete) si scoprirebbero nude iscrizioni di bronzo e stemmi che chiarirebbero per quale motivo Dürer abbia disegnato magnifici scudi e cimieri con le ali e le proboscidi di elefante e quei superbi, aridi tralci di foglie che sono fra gli aspetti migliori della sua opera.

Se i cimiteri tedeschi risultano più redditizi, lo si deve al fatto che i loro occupanti non sprecano tempo pensando all’immortalità e a cose del genere, non si preoccupano di colpire i posteri con le loro virtù, ma vanno diritti al segno presentando la loro biografia e il loro rango. Tutto questo è ben evidente nella chiesa di Sant’Erasmo a Ratisbona, che appartiene in gran parte all’epoca in cui quella città era la sede della Dieta Imperiale. Qui si possono imparare i diversi modi in cui, durante il diciassettesimo e diciottesimo secolo, si poteva venire al mondo: aristocratici, nobili, o semplicemente benestanti, ecc., poiché, come affermò un insigne naturalista della Baviera, der Mensch, cioè l’umanità, ha inizio con i baroni. Che non ci siano equivoci in proposito! Se la Morte, lo scherzoso scheletro di Dürer e dei Piccoli Maestri, si permette di fare il buffone con gli individui, è a condizione di tenere lontano gli artigli dalle classi elevate. Questo è il caso delle dame sepolte a Sant’Erasmo, le cui declinazioni femminili allungano i nomi e i titoli e fanno sì che se ne stiano in disparte come altrettanti guardinfante o cerchi con i paniers. «Era una dama, una tale dama!» viene da esclamare con il poeta, scoprendo l’esistenza (o la morte) della blasonata Frau Maria Barbara Magdalena Bayerin, Suturin da Sutur, moglie del segretario della Liechtenstein Legation, di Sua Maestà imperiale romana e anche di sua altezza principesca Schwarzenberg. Erano mai esistiti dei fantasmi sostenuti, più di lei, da stecche di balena e ingessati da corsetti di rigida tela? Ciò incute soggezione, ma un altro epitaffio di donna, nella chiesa di Sant’Erasmo, ispira terrore. Si trova accanto ad un piccolo dipinto votivo che mostra Ratisbona in fiamme, mentre un santo in tunica romana e sandali (probabilmente Sant’Erasmo) discende dall’alto per spegnere l’incendio con un secchiello da latte con un solo manico di legno. In questo luogo riposa l’insigne Domina Maria Susanna Baronessa de Leoprechting nata de Saverzapf. «Hic Jacet et Tacet», si legge sull’epitaffio con laconica suggestione ... «Hic Jacet et Tacet». Non oso pensare cosa Domina de Saverzapf dovesse essere quando era in vita e aveva l’uso della lingua.

Ci si sente più istruiti dopo aver letto gli epitaffi di Ratisbona; ma il cuore e la mente migliorano, per usare una bella frase del diciottesimo secolo, leggendo con attenzione gli epitaffi di Detwang. Se per caso vi accadesse di sapere dove si trova Detwang, tanto meglio. Ma ho deciso di non rivelarlo a chi non lo sa, poiché si trova in una felicissima provincia della mia memoria. Comunque basti sapere che Detwang è un villaggio posto in una vallata verde e stretta, tra ripidi pendii coperti di abeti e di pascoli alpini teneri come l’insalata, con un fiumicello scuro fra gli ontani e in lontananza le mura e le torri di una città. Pochi i vigneti perfino nei luoghi assolati, ma è possibile gustare un eccellente vino bianco sotto i tigli in fiore di una grossa locanda lungo la strada. Oltre a questo edificio, Detwang possiede tre vaste case dall’aspetto lindo coi tettucci di antiche tegole che sporgono sui loro frontali come il tricorno di Napoleone, circondate da siepi di ribes e violacciocche coltivate con cura, da gigli e da rose. C’è, naturalmente, un mulino; ci sono anche una grande fattoria turrita e una chiesetta gotica con una bella cella campanaria lombarda, e nell’interno tre notevoli altari antichi scolpiti e dorati della scuola di Veit Stoss e i ritratti oleografici di Lutero e di Melantone.

Per molto tempo non avevo sentito parlare dell’esistenza di Detwang e non mi era mai venuto in mente che avesse dato i natali ad un uomo eccelso.