Un grande uomo, inoltre, in grado di dimostrare con la sua persona il vanto dell’ereditarietà. Poiché, come Sebastian Bach, il famoso musicista di Detwang proveniva da una famiglia illustre. Le lastre di bronzo, con lo stemma e il cimiero, avevano subito l’usura del tempo sul muro esterno della chiesa, e inoltre erano state incise in spigolosi caratteri gotici; ma i miei occhi carpirono fortunatamente una frase in corsivo: Musicus Instrumentalis. La memoria si mise in azione e veloce tornò con innumerevoli associazioni che mi si appollaiarono nella mente come i corvi nel cimitero di Detwang. Il pensiero per esempio di Quantz (nome incantevole), Kunst-Pfeifer di Federico il Grande, o pifferaio d’arte, con il ricordo delle varie cantate di Bach e Matteson e Händel che egli dettava al Dr. Burney; anche il giovane compositore di Hoffmann, pure lui Kunst-Musikus, che (da qualche parte nel 1780) fu distratto dalle fughe in otto parti e dai canoni infiniti da due sorelle incantatrici, Lauretta e Teresina, che lo trascinarono in una vita errabonda da una locanda all’altra, proprio in questa regione della Franconia Centrale.

Musicus Instrumentalis! Cominciai a sillabare l’epitaffio di Herr Georg Heinrich Zahn, che era nato nel 1735 ed aveva «errato per il vasto mondo» al servizio dei Conti di Wickerat e Hombusch; nel frattempo notai un altro Zahn accanto a lui, un più illustre fratello che era stato musicista al servizio di Sua Altezza il Conte (Hoch graflich), l’Ambasciatore inglese Didlay, a Copenhagen; poi scorsi il nome di un padre poco meno illustre e infine di quello che era considerato il massimo esponente della famiglia Zahn, il più grande dei fratelli, lo stesso Herr Georg Philipp Zahn. «Grazie alla diligenza e alla virtù» diceva il suo epitaffio, «fu capace di ascendere sempre più in alto, accolto nelle eccelse case di conti e di principi («er schwang sich durch Fleiss und Tugend durch gräfiche und fürstliche hohe Hauser immer höher») fin quando, nel 1762, l’Imperatore di Russia Pietro III lo fece chiamare presso la sua corte, dove egli si esibì con gradimento universale. E quando, solo due giorni dopo l’esecuzione, ascese al trono di Russia Caterina II (l’epitaffio delicatamente si esime dal fare allusioni circa il povero imperatore Pietro e su ciò che gli accadde dopo aver ascoltato Herr Zahn), egli venne nominato al suo seguito come Maestro di Cappella. Lo strumento che suonava era il fagotto con il cui umile legno (unscheinbares Stück Holz) era in grado di trascinare gli animi dalle lacrime alla gioia. «Dopo diciotto anni (continua l’epitaffio) di meritevole servizio, al momento dell’addio ricevette la grazia di baciare la mano della più grande Imperatrice del mondo. E nel 1780 ritornò nella casa paterna con l’intenzione di godersi la ricchezza che aveva accumulato, insieme ai fratelli a Hohlbach. Ma fu ucciso nel 1784 da una pallottola vagante mentre partecipava ad una battuta di caccia nella Foresta Superiore».

Le signore più in vista di Detwang, che erano uscite dalle antiche case con i tetti a tricorno e la dispensa e i giardini di gigli e che (incuriosite dalla bicicletta che avevo lasciata nel portico) mi avevano seguito con i loro bambini fino al cimitero e cortesemente mi avevano aiutato a decifrare gli epitaffi, le signore di Detwang, dicevo, cominciarono ad esprimere un sincero cordoglio per la morte prematura e violenta di Herr Georg Philipp Zahn. Ma riuscii a vanificare il loro dolore facendo notare che a nessun mortale è dato di raggiungere il massimo della fortuna in ogni aspetto della vita e che Herr Georg Philipp Zahn aveva indubbiamente goduto dei più grandi privilegi ed onori che siano riusciti a ricompensare l’impegno e la virtù perfino di un Kunst-Musikus il cui strumento era il fagotto.

Friburgo

La sera in cui arrivammo a Friburgo – Friburgo in Svizzera, non Freiburg nel Baden – la Jeunesse des Ecoles, come si definiva, procedeva in solenne processione verso il palazzotto del vescovo e implorava Monseigneur, che cortesemente era apparso alla finestra, perché incoraggiasse i loro studi con «Quelques douces paroles». L’impressione che tutto questo aveva lasciato in noi, per quanto non conforme a ciò che la Francia moderna ci ha insegnato a considerare francese, era certamente French-speaking. Essa richiamava alla mente, insieme alle tranquille, invitanti pâtisseries e charcuteries frequentate da melliflui ecclesiastici e da discrete signore vestite di nero, e alle soglie impeccabili delle aristocratiche dimore Luigi IV, una sorta di Francia ideale, indenne dall’Encylopédie e dalla Revolution e resa prospera e devota dalla benevole sagacia, poniamo, dell’autore di Télémaque. Faccio riferimento all’autore di Télémaque perché nella linda e fiorita haute ville di Friburgo, ciò che più di ogni altra cosa colpì la mia attenzione fu l’insegna di un negozio di un rilegatore costituita da un colossale volume rosso con sopra inciso a lettere cubitali Oeuvres de Fénelon, Tome II.

Fu quella l’impressione sintetica della città alta di Friburgo e della sua incantevole monotona atmosfera francese. Ma quando si discende dall’altura a lama di coltello sopra la quale è costruita – la cattedrale con l’organo del settecento, il grande tiglio (circondato da sedili) nato dal ramoscello della vittoria presso Morat, la Police Locale con le finestre traboccanti di superbi garofani e di gerani, il palazzo episcopale e le deliziose charcuteries e pâtisseries e tutto il resto – quando si discende uno qualsiasi dei vicoli lastricati che conducono al fiume, sembra di immergersi come per incanto in un altro paese e in un altro secolo e nel mondo dell’inverosimile più assoluto.

La città bassa è la Germania, la Germania del medioevo, dei tempi per lo meno di Lutero, Hans Sachs e Götz von Berlichingen «dalla mano di ferro» – la Germania dall’autenticità piuttosto ambigua, sospettata di essere una sorta di pittoresca follia, creata da Dürer e dai Piccoli Maestri per anticipare la scuola romantica di La Motte Fouqué e Hauff e Uhland. Per quel che riguarda Friburgo, non è possibile averne due opinioni diverse e ho capito da dove nasce una simile idea. Hai mai osservato, lettore allevato da nutrici tedesche, un giocattolo di stagno, costruito dai poetici stagnai tedeschi, a forma di castello fortificato, cinto da mura e difeso da torri, con foreste smaltate di abeti e con fossati concentrici nei quali, versando l’acqua nel torrione centrale, si potrebbero far nuotare le anatre facendole muovere con la calamita? Questo gioco, che per me rappresentava il medioevo, è ciò che, in modo visibile, ha ispirato la creazione di Friburgo. Voglio spiegarmi meglio. La città alta, come ho detto, è ammassata su una stretta lingua collinare attaccata al mondo reale solo nelle vicinanze della stazione ferroviaria e distaccata sugli altri tre lati. Ciò sembra semplice, perché si immagina che il crinale si proietti, come centinaia di altri crinali, sopra una valle o su una pianura, o su qualsiasi altro elemento della natura. Ma questo è esattamente ciò che non avviene a Friburgo. Poiché Dürer, o chi altri escogitò piani per la Provvidenza mentre veniva creata questa città giocattolo, fece in modo che il crinale in questione, irto di campanili e di tetti aguzzi, emergesse dall’altopiano grazie ad uno straordinario stratagemma che consistette nel tagliare un canale molto profondo, dalle pareti a perpendicolo come quelle di una cava di gesso, e abbastanza ampio da contenere il fiume Saane che spumeggia marrone mentre vi si riversa per poi scorrere attorno come un fossato. Oltre questo canale quasi circolare, si fece in modo che l’altopiano continuasse fino alle foreste più lontane e alle Alpi, mentre sull’orlo delle sue pareti scoscese come quelle di una cava furono fatte crescere macchie di erba verde brillante e frange di abeti e betulle che pendevano romanticamente (secondo l’esempio di Dürer) dalle rocce; l’insieme era arricchito da cappelle a spegnimoccolo e da torri a pepaiola poste a giusti intervalli. Il luogo era completo e la sola cosa che ancora mancava, prima di arredare l’interno del giocattolo con case e fontane e qualche cavaliere e qualche dama e santo e scheletri che ben vi si adattassero, era di costruire brandelli di cinta muraria sulle pareti scoscese e di gettare due o tre ponti di legno sul canale nel quale era stato immesso il fiume. Uno dei ponticelli di legno annerito e dal tetto spiovente era, tanto per dire, un giocattolo incantevole in sé.

Questo deve essere accaduto al momento della creazione di Friburgo, molto prima, o (chi lo sa?) molto dopo il Duca Berchthold di Turingia nell’anno mille e... (il mio Baedeker è andato smarrito, purtroppo).

È tuttavia certo che la città è stata, sino a tempi recenti, non di lingua francese, ma di lingua tedesca. Infatti la gente dei ceti inferiori di questa meno aristocratica città usa ancora una sorta di Alemmanisch. Le iscrizioni sulle fontane e sulle case sono in tedesco e notai che una pittura votiva ricordava l’esplosione di una polveriera avvenuta il 9 di Brachmonat del 1737. Nella strada più pittoresca e scoscesa, oltre le concerie, è conservato ancora uno splendido pavone di ferro dorato sopra una locanda, Zum Pfau; oltre il fiume, in una curiosa mescolanza di lingua, un auberge du Schild e soprattutto, un café du Tirlibaum.