Dire tutto questo può sembrare privo di senso, se consideriamo l’amicizia per quello che in gran parte è: un rapporto pratico e, tutto sommato, accidentale, in cui lo scambio delle idee e dei buoni uffici, l’essere a completa disposizione l’uno dell’altro e lo sfacchinare insieme giocano un ruolo primario. Ma di sicuro ci sono altre potenzialità nell’amicizia, ed è questa la parte migliore che si può realizzare entrando in rapporto con i luoghi. Di certo, quando provo a definire il bene più grande che le creature umane possono farci, un bene che trascende di gran lunga qualsiasi aiuto concreto o suggerimento intellettuale, mi sembra di trovare l’espressione più naturale nelle vaghe metafore prese a prestito da quegli altri amici che non sono esseri umani. Questo bene infatti consiste nell’incantarci, nel sollevarci lo spirito, nel placare i sentimenti sino a farci raggiungere la serenità e la felicità, nel risuonarci nella memoria come una melodia e nel far scaturire, proprio come avviene quando sentiamo o ricordiamo qualche melodia, qualsiasi vago accenno musicale possa esserci nel nostro animo. Questi sono i doni più alti dei nostri affetti umani e di sicuro li riceviamo in ugual misura, e talvolta in modo migliore, dalla realtà impersonale che chiamo, in mancanza di un nome migliore e per un desiderio latente di riconoscenza, il Genius Loci.
Genius Loci. Una divinità, di sicuro, grande o piccola a seconda dei casi, che merita una silenziosa adorazione. Ma per carità, non una personificazione; non un uomo o una donna con tanto di corona e di attributi e una definita e detestabile storia, come le terribili signore che siedono intorno a Place de la Concorde. Pensare ad un luogo o ad un paese in forma umana è, a dispetto dell’abitudine dei retori, non pensarci affatto. No, assolutamente no. Il Genius Loci, come tutte le divinità degne di venerazione, ha la sostanza del nostro cuore e della nostra mente; è una realtà spirituale. E quanto all’incarnazione visibile, è il luogo stesso o il paese; e le fattezze e il linguaggio che gli sono propri sono la configurazione del terreno, la pendenza delle vie, il suono delle campane o delle chiuse d’acqua, e sopra a tutto, forse, quella combinazione che colpisce in maniera strana, colta da Virgilio, di fiumi che scorrono intorno alle antiche mura delle città:
Fluminaque antiquos subter labentia muros.
Quel verso di Virgilio, in un passo che, come in molti di Dante, mostra l’immenso potere che hanno i luoghi sulla mente latina, non può che suggerire l’Adige e mi riporta a quei giorni solitari di Verona, quando mi ritrovai a guardare e riguardare di continuo i gorghi rossastri del fiume, con i maestosi mulini galleggianti che dondolavano sulla superficie dell’acqua. E questo mi ricorda che, sebbene ciò che chiamo Genius Loci non possa essere personificato, può accadere di sentirlo più vicino e più intenso in qualche singolo monumento o in qualche tratto del paesaggio. Molto spesso ha una sua inattesa presenza e prende pieno possesso dei nostri cuori ad una svolta della strada, o in un sentiero tracciato sulle terrazze di una collina con la vista di maestose montagne lontane, o di nuovo in una chiesa come Classe, vicino a Ravenna, e soprattutto, forse, nel punto d’incontro di ruscelli, o alla foce di fiumi, e sia l’uno che l’altro luogo attirano i nostri passi e i pensieri poco alla volta, senza sapere il perché e il percome. È là che il genio dei luoghi si nasconde; o più precisamente, vi s’identifica.
Ho paragonato i sentimenti che possiamo nutrire per i luoghi ai sentimenti che certi amici ridestano in noi; sentimenti di amore e di gratitudine, ma non di quotidiana famigliarità o di desiderio di abitudini comuni. Ma, come esistono, o almeno possono esistere, alcune relazioni umane che costituiscono il grosso della vita, pur conservandone la poesia, così vi sono uno o due luoghi in cui ogni individuo può vivere abitualmente, senza mai perdere il senso del piacere, della meraviglia e della gratitudine. Senza dubbio potrebbero essere certi distretti fluviali in Inghilterra, o per chi scrive le valli e i declivi petrosi delle colline toscane.
Di luoghi simili comunque il prototipo perfetto è Roma. Il suo leggendario potere sui nostri cuori non può essere sondato neppure da coloro che si ritengono i suoi più devoti amanti, che ne hanno fatto la conoscenza per amor suo, con il fine di godere, come in una vacanza, del suo Genius Loci. Ci vogliono mesi e anni di quotidiana residenza per apprezzare veramente il modo straordinario in cui le difficoltà e gli aspetti più banali della vita, lungi dal diminuire questo suo potere sull’immaginazione, appaiono in tutta la loro nullità; persa nell’atmosfera di serena severità di Roma, in quella sicurezza che Roma tacitamente comunica, come qualche raro essere umano, questa vita, sebbene breve, è degna di essere vissuta con convinzione e con grazia.
Ma non era a un caso così eccezionale ed unico al quale stavo pensando, quando ho iniziato a parlare della nostra amicizia con i luoghi; non dell’amore instancabile ed eterno, ma piuttosto di semplici amours de voyage (nel senso più degno del termine) nei quali, sebbene il ricordo possa durare a lungo, il momento effettivo dell’incontro («ora ci siamo incontrati, siamo salvi», come dice Whitman) è necessariamente molto breve.
Incidenti banali, che in questi casi sono come un libro letto insieme o un fiore offerto in più umani rapporti, qualche volta hanno l’effetto di mutare una località da semplice espressione geografica in qualcosa di veramente nostro; infatti il piacere della pesca e della caccia, per le persone dedite alla meditazione, consiste senza dubbio nel determinare una più intima unione tra il luogo e noi stessi. In modo analogo mi sembra di aver tenuto fede alla parola data, o di aver compiuto un rito religioso, legando il luogo a me stessa per il solo fatto di aver bevuto una volta ad una sorgente che zampillava lungo la remota strada tra Subiaco e Tivoli, in un giorno di marzo, con la polvere che si sollevava a vortici. Ma anzi, qualche volta non mi sembra nemmeno di bere, bensì di fare una libagione o appendere una ghirlanda in onore del Genius Loci, infatti...
Ma basta così. Suppongo che sia stato qualche sciocco sentimento di questo genere a spingermi a comprare, dopo essere stata per tre o quattro volte a guardare i mulini galleggianti sull’Adige, quel mazzolino di lavanda nella piazza del mercato di Verona, mentre il sole tramontava e le rondini svolazzavano intorno e le campane cominciavano a annunciare la presenza della divinità dei luoghi.
Augusta
Non mi è capitato spesso di sentirmi così felice (anche se con una certa frequenza amo esserlo, altrimenti non varrebbe la pena vivere), come quella mattina quando mi sono seduta su una panchina del Graben, nel punto in cui la tranquilla città di Augusta doveva raggiungere in origine il limite massimo di espansione. Un canale dalla corrente rapida separa il retro delle case con il tetto a mansarda dai giardinetti fioriti, ciascuno con il suo ponticello; grandi tigli, che rendono dolce l’aria con il loro profumo, si allineano per tutta la lunghezza degli originari bastioni. Senza fretta mi sedetti sotto uno di questi alberi rallegrandomi di aver ritrovato la Germania che amavo. La Germania di cui sto parlando non è quella che colonizza o che fornisce prodotti a basso prezzo, o che impaurisce in vario modo il resto del mondo; ma la Germania che ha inventato l’albero di Natale, le favole di Grimm, la musica di Bach e quella di Mozart e per la quale sembrano garantire numerose opere classiche: per esempio Siebenkas di Jean Paul e le memorie di Goethe e quelle di Jung-Stilling. Era mai esistito, al di fuori delle loro pagine, questo delizioso paese agiatamente prosaico e dall’aura romanzesca? La mia devozione per questa terra s’era risvegliata quando, giungendo in treno, vidi in mezzo a un verde prato, oh Germania!, una cicogna. Ed ora, ad Augusta, ho scoperto l’oggetto dei miei sogni.
Avevo trascorso la mattina gironzolando per le vie e andando in bicicletta lungo i bastioni. La città è costruita in gran parte su un’altura artificiale; le mura non esistono più, ma un ramo verde giada del fiume Lech (gli altri attraversano la città facendo girare le ruote dei mulini) forma un canale che lambisce tre lati della città. Qua e là, fra splendidi alberi e prati verdi, spuntano torri e porte, opere incantevoli che sembrano provenire direttamente dalla scatola dei balocchi; tra di essi ci sono naturalmente dei luoghi dove è possibile bere la birra, riforniti da enormi carri che si trascinano tutto il giorno per le vie.
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