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Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi XXV.

a un heiniano d’italia

Quando a i piaceri in mezzo od a i tormenti Arrigo Heine crollava

La bionda chioma ed a i tedeschi venti Le sue strofe gittava,

E le furie e le grazie de la prosa 5

Folli feroci e schiette

Ei liberava da la man nervosa Qual gruppo di saette,

L’ombra del suo pensiero, ombra di morte, Da i suon balzava fuora,

10

E con la scure in man battea le porte Gridando – È l’ora, è l’ora! –

Dal viso del poeta atroce e bello Pendea, ridendo, il dio

Thor, e chiedea, brandendo il gran martello, 15

– Ch’io picchi, o figliuol mio? –

Sotto il vento de’ cantici immortali Piegavano croscianti

Le selve de le vecchie cattedrali Con le lor guglie e i santi: 20

Rintoccava, da i culmini ondeggiando, A morto ogni campana,

E Carlo Magno s’avvolgea tremando Nel lenzuol d’Aquisgrana.

Quando toccate, o tisicuzzo, voi 25

Il chitarrin cortese,

73

Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi Mugghian d’assenso tutti i serbatoi Del mio dolce paese.

Le canzonette, assettatuzze e matte, Ed isgrammaticate

30

Borghesemente, fan cagliare il latte E tremar le giuncate.

Deh, come erra fantastico il belato Vostro via per l’acerba

Primavera! O montone, al prato, al prato!

35

O agnello, a l’erba, a l’erba!

Il garofolo giallo e la viola Vi sorridon gl’inviti:

Ah ghiottoncello, a voi fanno piú gola I cavoli fioriti?

40

Brucate, ruminate, meriggiate E belate a i pastori;

E, se potete, i bei cornetti armate Pe’ i lascivetti amori.

Con due scambietti poi l’ebete grifo 45

Ponete, oh voi beato!,

Su le ginocchia a Cloe, se non ha schifo Del puzzo di castrato.

Giugno 1872.

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Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi XXVI.

per il quinto anniversario della battaglia di mentana Ogni anno, allor che lugubre L’ora de la sconfitta

Di Mentana su’ memori

Colli volando va,

I colli e i pian trasalgono 5

E fieramente dritta

Su i nomentani tumuli

La morta schiera sta.

Non son nefandi scheletri; Sono alte forme e belle,

10

Cui roseo dal crepuscolo

Ondeggia intorno un vel:

Per le ferite ridono

Pie le virginee stelle,

Lievi a le chiome avvolgonsi 15

Le nuvole del ciel.

– Or che le madri gemono

Sovra gl’insonni letti,

Or che le spose sognano

Il nostro spento amor,

20

Noi rileviam dal Tartaro

I bianchi infranti petti,

Per salutarti, o Italia,

Per rivederti ancor.

Qual ne l’incerto tramite

25

Gittava il cavaliero

Il verde manto serico

De la sua donna al piè,

75

Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi Per te gittammo l’anima

Ridenti al fato nero;

30

E tu pur vivi immemore

Di chi moria per te.

Ad altri, o dolce Italia,

Doni i sorrisi tuoi;

Ma i morti non obliano

35

Ciò che piú in vita amâr;

Ma Roma è nostra, i vindici Del nome suo siam noi:

Voliam su ’l Campidoglio,

Voliamo a trionfar. –

40

Va come fósca nuvola

La morta compagnia,

E al suo passare un fremito Gl’itali petti assal;

Ne le auree veglie tacciono 45

La luce e l’armonia,

E sordo il tuon rimormora

Su l’alto Quirinal.

Ma i cavalier d’industria, Che a la città di Gracco

50

Trasser le pance nitide

E l’inclita viltà,

Dicon – Se il tempo brontola, Finiam d’empire il sacco;

Poi venga anche il diluvio; 55

Sarà quel che sarà.

4 Novembre 1872.

76

Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi XXVII.

a messer cante gabrielli da gubbio podestà di firenze nel mccci Molto mi meraviglio, o messer Cante, Podestà venerando e cavaliero, Non v’abbia Italia ancor piantato intiero In marmo di Carrara e dritto stante Sur una piazza, ove al bel ceffo austero 5

Vostro passeggi il popolo d’avante, O primo, o solo ispirator di Dante, Quando ladro il dannaste e barattiero.

I ceppi per a lui la man tagliare Voi tenevate presti; ei ne l’inferno 10

Scampò, gloria e vendetta a ricercare.

Spongon or birri e frati il suo quaderno, E quel povero veltro ha un bel da fare A cacciar per la chiesa e pe ’l governo.

Maggio 1874.

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Letteratura italiana Einaudi Giosue Carducci - Giambi ed epodi XXVIII.

la sacra di enrico quinto

Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli E fiorite a’ cimiteri son le pietre de gli avelli, Monta in sella Enrico quinto il delfin da’ capei grigi, E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.

Van con lui tutt’i fedeli, van gli abbati ed i baroni: 5

Quanta festa di colori, di cimieri e di pennoni!

Monta Enrico un caval bianco, presso ha il bianco suo

[stendardo

Che coprí morenti in campo San Luigi e il pro’ Baiardo.

Viva il re! Ma il ciel di Francia non conosce il sacro segno; E la seta vergognosa si ristringe intorno al legno.

10

Piú che mai su gli aurei gigli bigio il cielo e freddo appare: Con la pace de gli scheltri stanno gli alberi a guardare; E gli augelli, senza canto, senza rombo, tristi e neri, Guizzan come frecce stanche tra i pennoni ed i cimieri.

Viva il re! Ma i lieti canti ne le trombe e ne le gole 15

Arrochiscono ed aggelano su le bocche le parole.

Arrochiscono; ed un rantolo faticoso d’agonia Par che salga su da’ petti de l’allegra compagnia.

Cresce l’ombra de le nubi, si distende su la terra, Ed un’umida tenèbra quel corteggio avvolge e serra. 20

Dan di sprone i cavalieri, i cavalli springan salti: Sotto l’ugne percotenti suon non rendono i basalti.