Poi, a vent’anni, un ricatto fortunato lo mise in possesso di quattrocento rupie, e corse a Rangoon dove comprò un posto di impiegato del governo. Lo stipendio era basso, ma la carica lucrativa. In quel periodo, infatti, un gruppo di impiegati aveva preso l’abitudine di accrescere le proprie entrate con appropriazioni indebite di materiale governativo e Po Kyin (allora si chiamava Po Kyin soltanto, e l’onorifico U seguì soltanto parecchi anni dopo) partecipò naturalmente alla faccenda. Comunque, aveva troppo talento per passare tutta la vita in un ufficio, contentandosi di rubare miseri spiccioli. Un giorno scoprì che il governo aveva bisogno di funzionari di grado inferiore e si preparava a sceglierli tra gli impiegati. La notizia sarebbe stata resa nota la settimana successiva, ma Po Kyin aveva il dono di sapere le novità con sette giorni di anticipo su chiunque altro. Vide di colpo quale avrebbe potuto essere la sua fortuna: denunciò tutti i suoi complici, prima che potessero pensare a difendersi. Molti finirono in carcere, mentre Po Kyin, a ricompensa della sua onestà, fu nominato vicefunzionario della regione. Da allora in poi aveva fatto continui progressi. Adesso, a cinquantasei anni, era magistrato sottodipartimentale, e avrebbe continuato a ricevere promozioni. Forse sarebbe diventato vicecommissario, e avrebbe avuto gli inglesi come colleghi e anche come subordinati.
Come magistrato, aveva un metodo molto semplice: non vendeva mai il suo verdetto, nemmeno per somme ingentissime, perché sapeva bene che un giudice che rende sentenze ingiuste prima o poi viene scoperto. Usava il sistema, molto più sicuro, di accettare regalie dalle due parti contendenti e di decidere poi in base alla legge. Si era così assicurato un’assai proficua fama d’imparzialità. Oltre a quello che gli rendevano i litiganti, U Po Kyin percepiva un balzello fisso, una specie d’imposta privata, da tutti i paesetti sotto la sua giurisdizione. Se un villaggio mancava di corrispondere il tributo, U Po Kyin prendeva misure punitive: bande di dacoit2 assalivano l’abitato, i contadini venivano arrestati sotto false accuse e così via: non occorreva molto tempo perché la somma fosse interamente pagata. Inoltre, toccava a lui buona parte dei profitti sulle più grosse truffe compiute nel distretto. Tutto ciò, naturalmente, era noto a tutti, tranne che ai superiori di U Po Kyin (nessun funzionario britannico presta mai fede alle accuse contro i suoi uomini): così tutti i tentativi per svelare i suoi misfatti finivano miseramente, senza contare che i suoi complici erano troppo numerosi, e legati dalla partecipazione al bottino. Se si portava un’accusa contro di lui, U Po Kyin la sgonfiava subito con le testimonianze di suoi subordinati; poi contrattaccava, rafforzando sempre più la propria posizione. Era praticamente invulnerabile, troppo buon conoscitore di uomini per scegliere strumenti inadatti – e troppo minuzioso nell’architettare i suoi intrighi perché ignoranza di uomini e cose o scarsità di precauzioni potessero farlo cadere. Era sicuro che non sarebbe stato mai scoperto: di successo in successo, alla fine sarebbe morto carico di onori, ricco di molti lakh di rupie.
E il successo l’avrebbe seguito anche oltre la tomba. Secondo le credenze buddhistiche, chi ha peccato rinasce nel corpo di un topo, di rana o di qualche altro animale inferiore. U Po Kyin era buon buddhista e voleva garantirsi contro un tale pericolo. Avrebbe dedicato gli ultimi anni della sua vita a buone azioni, tanto da mettere assieme meriti sufficienti a controbilanciare il resto della sua esistenza. Pensava che la sua buona azione poteva essere quella di costruire pagode. Quattro pagode, cinque, sei, sette (i sacerdoti gli avrebbero detto quante) con merletti di pietra, tetti dorati e campanelli tintinnanti al vento, ogni squillo una preghiera. E sarebbe rinato sulla terra nel corpo di un uomo (una donna vale press’a poco quanto una ranocchia), o, nel peggiore dei casi, nel corpo di qualche bestia onorata, un elefante per esempio.
Queste idee passavano rapide nel cervello di U Po Kyin, di solito sotto forma di immagini. La sua mente, benché astuta, era veramente barbara e lavorava soltanto per scopi precisi. La meditazione era al di sopra delle sue forze.
Aveva ormai raggiunto la meta dei suoi pensieri. Appoggiando le piccole mani triangolari sui braccioli della poltrona, si volse un poco e chiamò in tono sibilante: «Ba Taik! Ehi! Ba Taik!».
Ba Taik, il servo di U Po Kyin, apparve da dietro la tenda di perline della veranda. Era un ometto piccolo, segnato dal vaiolo, e aveva un’espressione timida e affamata.
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