U Po Kyin non lo pagava perché il servo era un pregiudicato, e una sola parola sarebbe bastata a farlo arrestare. Ba Taik venne avanti, inchinandosi così profondamente da sembrare che indietreggiasse.
«Divino signore?» domandò.
«C’è qualcuno che vuole vedermi, Ba Taik?»
Ba Taik contò le visite sulle dita: «C’è il capo del villaggio di Thitpingyi, Vostro Onore, che ha portato molti doni, e due uomini che hanno una causa per aggressione che deve essere giudicata da Vostro Onore. Anche quelli hanno portato regali. Poi c’è Ko Ba Sein, il funzionario-capo dell’ufficio del vicecommissario, che vuole vederti; e c’è Alì Shah, il comandante della polizia; e un dacoit di cui non so il nome. Credo che siano in lite per certi braccialetti d’oro che hanno rubato. E c’è anche una ragazza del villaggio con un bambino».
«Cosa vuole?»
«Dice che il bambino è tuo, divino signore.»
«Ah, e quanto ha portato il capo?»
A sentire Ba Taik, erano solo dieci rupie e un cesto di manghi.
«Riferisci» disse U Po Kyin «che devono essere venti rupie, e se il denaro non mi sarà portato qui domani, saranno guai per lui e per il suo villaggio. Ora riceverò gli altri. Di’ a Ko Ba Sein di venire.»
Ko Ba Sein si presentò subito. Era un uomo di spalle strette e figura rigida, molto alto per un birmano, con un viso liscio che faceva pensare a un budino. U Po Kyin lo stimava uno strumento utilissimo. Zelante e senza immaginazione, era un ottimo impiegato; e MacGregor, il vicecommissario, gli confidava molti segreti d’ufficio. U Po Kyin, messo di buonumore dalle proprie meditazioni, lo salutò ridendo e indicandogli la scatoletta del betel.
«Dunque, Ko Ba Sein, come vanno i nostri affari? Spero, come direbbe il nostro MacGregor,» (U Po Kyin si espresse in inglese) «che siamo in notevole progresso!»
Ko Ba Sein non sorrise allo scherzo. Sedutosi rigidamente sulla sedia libera, rispose: «Benissimo, signore. Il giornale è giunto stamattina. Degnati di guardarlo».
Gli mostrò una copia del giornale bilingue, intitolato «Burmese Patriot»: un cencio di otto pagine, malamente stampato su carta che sembrava carta assorbente, e messo insieme, in parte con notizie rubate alla «Rangoon Gazette» e, in parte, con vacue declamazioni nazionalistiche. Nell’ultima pagina, la stampa difettosa aveva macchiato di nero tutto il margine, quasi in segno di lutto per la limitata diffusione del giornale. L’articolo che interessava U Po Kyin differiva dal resto e diceva:
In questi giorni felici, mentre i poveri negri sono soccorsi dalla potente civiltà occidentale con tutte le sue benedizioni quali il cinematografo, le mitragliatrici, la sifilide eccetera, quale argomento potrebbe interessarci più della vita privata dei nostri benefattori europei? Perciò pensiamo che alcune notizie del distretto di Kyauktada, nella zona settentrionale, dovrebbero interessare i nostri lettori, specialmente nei confronti del signor MacGregor, vicecommissario di detto distretto.
Il signor MacGregor è il tipo del vecchio e distinto gentiluomo inglese, di cui abbiamo sotto gli occhi parecchi esempi di questi tempi beati. È un family man, come dicono i nostri cari cugini inglesi. È proprio un family man, il signor MacGregor. Tanto che ha già tre figli nel distretto di Kyauktada, dove vive da un anno; e in quello di Shwemyo, dove risiedette ultimamente, ha lasciato sei rampolli. Forse si tratta solo di una svista del signor MacGregor, ma certo ai bambini non è stato dato il minimo aiuto e le loro madri stanno morendo di fame…
E così via.
C’era più di una colonna sull’argomento e, benché mal scritta, come livello era molto al di sopra del resto del giornale. U Po Kyin lesse il trafiletto con grande attenzione, tenendo il giornale con le braccia tese a causa della sua presbiopia, e stirando le labbra soprappensiero. Mostrava così una fila di denti piccoli e perfetti, tinti di rosso sangue dal succo di betel.
«Al direttore del giornale toccheranno sei mesi di prigione, per queste righe» disse infine.
«Non gliene importa. Dice che gli unici giorni in cui i suoi creditori lo lasciano in pace sono proprio quando lui è dentro.»
«E dici che è stato quel tuo apprendista Hla Pe, a scrivere questo articolo? È un ragazzo in gamba, promette molto bene. Non venire più a dirmi che le scuole superiori governative non servono che a far perdere il tempo! Hla Pe avrà senz’altro il suo impiego.»
«Pensi che l’articolo basti?»
U Po Kyin non rispose subito; emetteva gemiti soffocati e faticosi, cercando di alzarsi. Questi suoni erano familiari a Ba Taik. Egli apparve dietro le cortine e, con l’aiuto di Ba Sein, lo sollevarono tenendolo sotto le ascelle, finché non lo misero in piedi. U Po Kyin bilanciò per un attimo il peso del ventre sulle gambe, come un pescivendolo che sistemi il suo carico, poi fece cenno a Ba Taik di andarsene.
«Non basta» disse rispondendo alla domanda di Ba Sein. «Non basta. Ci sono ancora un mucchio di cose da fare.
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