Accusa, accusa, continua ad accusare: questo è il sistema per riuscire con gli europei. Una lettera anonima dopo l’altra, e a un europeo alla volta. E poi, quando avremo destato i loro sospetti…» U Po Kyin tolse un braccio da dietro la schiena, schioccò le dita e aggiunse: «Cominciamo con questo articolo nel “Burmese Patriot”. Al leggerlo, gli europei urleranno di rabbia. La seconda mossa sarà di convincerli che è stato scritto proprio dal dottore».

«Sarà difficile, perché ha molti amici tra di loro. E tutti vanno da lui quando sono malati. Ha curato il signor MacGregor dalla sua flatulenza quest’inverno, e lo stimano un bravo medico, credo.»

«Come capisci poco la mentalità degli europei, Ko Ba Sein! Se vanno dal dottor Veraswami è solo perché non c’è altro medico a Kyauktada. Nessun europeo ha fiducia in un uomo con la pelle scura. Si tratta soltanto di mandare un numero sufficiente di lettere anonime. Mi incaricherò io di non lasciargli amici.»

«C’è il signor Flory, il commerciante di legnami,» disse Ba Sein (e pronunciava signor Porley) «che è amico intimo del dottore. Lo vedo andare a casa sua tutte le mattine, quando si trova a Kyauktada. E due volte ha pure invitato il dottore a pranzo.»

«Qui hai ragione. Se Flory è davvero un amico del dottore, ci potrebbe danneggiare. Non si può colpire un indiano quando ha un amico europeo. Perché allora ha… qual è quella parola che a loro piace tanto?… ha prestigio. Ma Flory abbandonerà il suo amico non appena cominceranno le noie. Quella gente non ha sentimenti di lealtà verso gli indigeni. Per di più, sono riuscito a sapere che Flory è un vigliacco. Me ne occuperò io. La tua parte, invece, Ko Ba, è di osservare i movimenti di MacGregor. Ha scritto ultimamente alla Commissione? Ha scritto lettere segrete, voglio dire?»

«Sì, due giorni fa: ma quando abbiamo aperto la lettera, col vapore, s’è visto che era senza importanza.»

«Bene, gli daremo noi un argomento su cui scrivere. E non appena sospetterà del dottore, sarà il momento per quell’altra faccenda di cui ti ho parlato. Così potremo, come dice MacGregor, “prendere due piccioni con una fava”: uno stormo intero di piccioni… ah ah!»

La risata di U Po Kyin era un disgustoso gorgoglio che saliva dalle profondità del ventre, quasi un preludio di tosse, e tuttavia allegro, quasi infantile.

Non aggiunse nulla sull’“altra faccenda”, che era troppo privata anche per essere discussa in veranda. Ba Sein, vedendo che il colloquio era finito, si alzò piegandosi ad angolo retto come una squadra.

«C’è altro che Vostro Onore desidera sia fatto?»

«Assicurati che MacGregor riceva la sua copia del “Burmese Patriot”. Faresti bene a dire a Hla Pe di farsi venire un attacco di dissenteria e di tenersi lontano dall’ufficio: avrò bisogno di lui per le lettere anonime. Per ora non c’è altro.»

«Allora posso andare?»

«Dio ti accompagni» disse U Po Kyin distrattamente e subito chiamò di nuovo Ba Taik. Non perdeva un attimo delle sue giornate. Non gli ci volle molto per congedare gli altri visitatori, e rimandò la ragazza del villaggio a mani vuote, dopo averle dato un’occhiata e avere detto che non la riconosceva. Era ora di colazione. Cominciavano a farsi sentire violenti crampi di fame, che ogni mattina lo tormentavano puntualmente alla stessa ora.