Gridò insistentemente: «Ba Taik, Ba Taik! Kin Kin! La colazione, presto, muoio di fame!».
Nella stanza di soggiorno, dietro le tende, erano già pronti sulla tavola un’immensa ciotola di riso e una dozzina di vassoi con curry,3 gamberi secchi e manghi verdi affettati. U Po Kyin si avvicinò alla tavola oscillando, sedette con un grugnito e si gettò sulle vivande. Ma Kin,4 sua moglie, stava in piedi dietro di lui e lo serviva. Era una donna esile di quarantacinque anni, dal viso scimmiesco bruno pallido e dolce. U Po Kyin non si occupò di lei durante il pasto. Tenendo la ciotola sotto il naso, si rimpinzava con agili movimenti delle dita unte, respirando in fretta. Tutti i suoi pasti erano rapidi, travolgenti e smisurati: orge, più che pasti, di riso e curry. Quando ebbe finito si appoggiò alla spalliera, ruttò a più riprese, e disse a Ma Kin di portargli un sigaro birmano; non fumava mai tabacco inglese, perché lo trovava insipido.
Con l’aiuto di Ba Taik indossò gli abiti per l’ufficio e rimase un momento in contemplazione di se stesso, davanti al grande specchio del soggiorno. Era un ambiente a pareti di legno, con due pilastri di tronchi di tek che sostenevano la trave del tetto, scura e malinconica come tutte le stanze birmane, benché U Po Kyin l’avesse arredata alla ingaleik con una credenza impiallacciata, alcune sedie, le litografie della famiglia reale e un estintore da incendi. Il pavimento era coperto da stuoie di bambù, macchiate di succo di betel.
Ma Kin sedeva su una stuoia, nell’angolo, e cuciva un ingyi.5 U Po Kyin si rigirò lentamente davanti allo specchio, tentando di vedersi anche di schiena. Indossava un gaungbaung6 di seta rosa pallido, un ingyi di mussola inamidata e un paso di seta di Mandalay, di un bel rosa salmone ricamato di giallo. Con uno sforzo, volse la testa e guardò compiaciuto il paso rigido e scintillante sui suoi fianchi immensi. Era fiero della sua grassezza, perché tutta la carne che aveva accumulato la considerava un segno della propria importanza. Lui, un tempo oscuro e affamato, era adesso ricco, grasso e temuto. Si era gonfiato con i corpi dei suoi nemici: un pensiero, questo, che gli sembrava molto vicino alla poesia.
«Il mio paso nuovo era a buon prezzo per ventidue rupie, vero Kin Kin?» disse.
Ma Kin curvò la testa sul suo lavoro. Era una donna semplice e all’antica, e delle abitudini europee aveva imparato ancor meno di U Po Kyin. Non poteva stare seduta su una sedia senza soffrirne. Tutte le mattine andava al bazar con una cesta sulla testa, come una donna del villaggio, e la sera la si poteva vedere, inginocchiata in giardino, pregare in direzione del bianco campanile della pagoda che sovrastava la città. Era stata la confidente di U Po Kyin per più di vent’anni.
«Ko Po Kyin,» disse «hai fatto molto male nella tua vita.»
U Po Kyin agitò la mano con noncuranza. «Che importa? Compenserò con le mie pagode. C’è ancora parecchio tempo.»
Ma Kin abbassò ancor più la testa sul lavoro, con quell’aria ostinata che aveva quando disapprovava qualche azione del marito.
«Ma, Ko Po Kyin, c’è bisogno di tutti questi progetti e di tutti questi intrighi? Ti ho sentito parlare con Ko Ba Sein sulla veranda. Vuoi rovinare il dottor Veraswami. Perché vuoi fare del male al medico indiano? È un uomo buono.»
«Che ne sai tu di queste cose, donna? Il dottore mi attraversa la strada. Prima di tutto non si lascia corrompere, mettendoci tutti in posizioni difficili. E poi, be’, c’è qualcos’altro che non hai abbastanza cervello per capire.»
«Ko Po Kyin, sei diventato ricco e potente, ma che bene ne hai avuto? Eravamo più felici da poveri. Ah, come ricordo quando non eri che un funzionario del comune, i primi tempi che avemmo una casa tutta per noi! Quanto eravamo orgogliosi dei mobili nuovi di vimini e della tua penna stilografica col cappuccio d’oro! E quando quel giovane ufficiale della polizia inglese venne in casa nostra e sedette sulla sedia più bella e bevve una bottiglia, come ci sentimmo onorati! La felicità non è nel denaro. Perché ne vuoi ancora?»
«Sciocchezze, donna, sciocchezze! Occupati della cucina e dei tuoi lavori, e lascia le faccende politiche a chi se ne intende.»
«Sarà così… Sono tua moglie e ti ho sempre obbedito. Ma non è mai troppo presto per acquistarsi merito, Ko Po Kyin. Non vorresti, per esempio, comprare qualche pesce ancora vivo e gettarlo di nuovo nel fiume? Si può acquistare molto merito in questo modo. E stamattina, quando i sacerdoti sono venuti a prendere il loro riso, mi hanno detto che nel monastero ce ne sono due nuovi che hanno fame.
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