Infine, con molta umiltà, disse che se lei voleva sarebbe andato a chiedere alla Guardia Costiera. 

Non c’era nessuno che lei rispettasse e venerasse come rispettava e venerava lui. 

Era prontissima a fidarsi di quel che diceva lui, rispose. Soltanto, in quel caso non avrebbero dovuto preparare i panini — ecco tutto. Andavano da lei, spontaneamente, perché lei era una donna, tutto il giorno, con questa o quella richiesta; uno voleva una cosa, un altro un’altra; i ragazzi crescevano; a volte le sembrava di non essere altro che una spugna imbevuta di emozioni umane. E lui diceva Maledizione. Diceva che doveva piovere. Diceva che non avrebbe piovuto; e di colpo un eden di sicurezza le si spalancò davanti. Non c’era nessuno che rispettasse e venerasse di più. Sentiva di non essere degna di allacciargli le scarpe. 

Vergognandosi già di quella petulanza, di quel suo gesti colare mentre caricava in testa alla sua brigata, Ramsay, timidamente, stuzzicò ancora una volta le gambe nude del  figlio, poi, come se avesse il permesso di lei, con un gesto che ricordava singolarmente alla moglie il grande leone marino allo zoo quando si rovescia all’indietro dopo aver inghiottito il pesce e sguazza pesantemente così che l’acqua nella vasca si rovescia da una parte all’altra, si tuffò nella sera che, già più sottile, toglieva sostanza alle foglie e alle siepi ma, come per riequilibrare, restituiva alle rose e ai garo fani uno splendore che non avevano di giorno. 

«Qualcuno aveva sbagliato» disse nuovamente, andando a grandi passi su e giù per la veranda. 

Ma come era straordinariamente cambiato il tono! Era  come il cùcùlo; “quando giugno è tornato il cùcùlo è stonato”; come stesse provando, cercando con incertezza, una frase per un nuovo umore, e avendo solo quella a disposizione, se ne servisse, per quanto logora fosse. Ma suonava ridicola — “Qualcuno aveva sbagliato” — detta in quel modo, quasi come una domanda, senza alcuna convinzione, in modo melodioso. La signora Ramsay non potè trattenere un sorriso, e subito, infatti, mentre andava su e giù, lui la sussurrò appena, la lasciò cadere, rimase in silenzio. 

Era al sicuro, era stato restituito alla sua intimità.  Ramsay si fermò per accendere la pipa, volse lo sguardo verso la moglie e il figlio nel vano della finestra, e come si alza lo sguardo da una pagina in un treno e si vede una fattoria, un albero, un gruppo di case come una illustrazione, una conferma di qualcosa sulla pagina stampata a cui si ritorna, fortificati e soddisfatti, così senza distinguere la moglie o il figlio, la loro vista lo fortificò e lo fece sentire soddisfatto e consacrò il suo sforzo per giungere a una comprensione perfettamente chiara del problema che impegnava ora le energie della sua splendida mente. 

Era una mente splendida. Poiché se il pensiero è come la tastiera del pianoforte, divisa in tante note, o come l’alfabeto è composto da ventisei lettere bene ordinate, allora la sua splendida mente non aveva alcuna difficoltà nel percorrere quelle lettere una a una, con fermezza e precisione, fino a raggiungere, per esempio, la lettera Q. Raggiungeva la Q. Pochissime persone in tutta l’Inghilterra riescono mai a raggiungere la Q. E qui, fermandosi un momento presso l’anfora di pietra con i gerani, vide, ma ora molto lontani, come bambini che raccolgono conchiglie, divinamente innocenti e assorti nei piccoli nulla ai loro piedi e in qualche modo assolutamente indifesi contro una minaccia che lui scorgeva, sua moglie e suo figlio, insieme, alla finestra. Avevano bisogno della sua protezione; gliela dava. Ma dopo la Q? Che cosa viene dopo? Dopo la Q vi sono alcune lettere e l’ultima è quasi invisibile all’occhio umano, ma rosseggia in lontananza. La Z viene raggiunta soltanto una volta da un solo uomo per ogni generazione. Pure, sarebbe stato qualcosa se fosse riuscito a raggiungere la R. Se non altro alla Q era arrivato. Si piantava saldamente davanti alla Q. Della Q era sicuro. La Q poteva dimostrarla. Se dunque Q è Q— R... Qui vuotò la pipa, battendola due o tre volte sonoramente contro il corno d’ariete che costituiva il manico dell’anfora, e continuò. «Allora R...» Si fece forza. Strinse i pugni. 

Qualità che avrebbero salvato l’equipaggio di una nave in preda a un mare in tempesta con sei gallette e una fiasca d’acqua — resistenza e giustizia, preveggenza, devozione, abilità, gli vennero in aiuto. R allora è — che cosa è R? 

Una persiana, come la palpebra pesante di una lucertola, guizzò sull’intensità del suo sguardo e oscurò la lettera R. In quel lampo di oscurità sentì qualcuno dire — era un fallito — che la R era superiore alle sue forze. Non avrebbe mai raggiunto la R. Avanti verso la R, ancora una volta.