Il magico rinnovamento degli uomini d'ingegno, sotto l'impero di Enrico Ibsen, avvenne allora; avvennero allora, nella psiche della folla, quegli strani fenomeni che potrebbero definirsi "la popolarità dell'impopolare" e "la riverenza del genio inafferrabile". L'avvenire troverà battaglia combattuta, e ammirerà Enrico Ibsen con la placida calma onde si ammirano le poche fisionomie originali che restano come simboli del genio umano: e il simbolo figurato dal Norvegese, nella placidità dei posteri, sarà quello dei tempi che lo videro nascere: della generazione nostra.»

 

Silvio Benco, 1906

 

 

3. «Ogni dramma di Ibsen è un epilogo: un passato scoperto che tronca i protagonisti. Ma prima, il dramma era la loro cosciente lotta contro di esso, sempre più inane; finché, arrivati a Rosmer e a Solness, il loro tentativo di opposizione fu come la volontà di un sogno. Poi non ci fu più azione drammatica neanche in questo senso ristretto. Borkman è una sfinita chiusa. Quando noi morti ci destiamo anche il poeta l'ha chiamato epilogo: epilogo dei personaggi posti in scena e di sé: ch'è tutt'uno. E il poeta diceva che se avesse saputo quale doveva essere l'ultima sua opera l'avrebbe scritta in versi. Sarebbe stato, come per uno dei suoi ultimi eroi, la sua ascesa ultima. Il ritorno finale del pellegrino alla sua gioventù, il canto d'amore d'uno che non ha gustato l'amore su questa terra. La sua vecchiaia senza speranza avrebbe trovato in sé il suo solenne e sereno entusiasmo. Forse avrebbe scritto il capolavoro: era questo il suo momento... il verso sarebbe stato il solvimento e la soluzione. È a questo "verso" che tende tutto il declinare della fede giovanile di Ibsen, tutto il suo stile. Dopo Brand avemmo il periodico aureo. Avemmo la sua vera prosa, tenace e confinante. La rete di ferro della parola inevitabile. Fiorì il sasso. Poi la proposizione lasciò le sue maglie, turbata e sfatta dall'ironia interna; fu loquace; fu "discorso detto nella pigrizia" del Nemico del popolo, fu la magnifica, bestiale cotidianità dell'Anitra selvatica. Dopo bisognava ch'entrasse la gioia nell'animo intollerante, che la parola, così dolorosa in fondo, fosse affettuosa e nobile nel suo dolore. La grandezza di Hedda Gabler è forse qui: il poeta circonda di affetto e nobiltà la sua creazione. È forse l'unica opera di Ibsen dove il poeta abbia "pietà", secondo il detto wildiano, per la sua opera...»

 

Scipio Slataper, 1916

 

 

4. «Sempre deve ripetere Ibsen a se medesimo l'ammonimento: "Sii più uomo e meno artista". Sempre accenna a ribellarsi al fascino esclusivo e tirannico dell'arte; gli esteti e l'estetica l'infastidiscono; scorge il pericolo che minaccia pur lui, poeta di professione, e lo fugge, direste con febbre violenta. "Guai se concedo all'arte e non alla vita il trionfo che vagheggio, se mi sottraggo alle aure vitali che soffian per il mondo che investigo e scruto". Ma il fortissimo uomo ha la coscienza della sua sete inestinguibile d'amore e dell'incapacità sua di amare veramente. E sospira quelle fiamme del cuore che giammai Iddio gli può accordare. Il cuore! Ma non lo divora tutto la ragione, la limpida e potentissima intelligenza? Non è vana la lotta impegnatasi tra fede e pensiero? E a che approda il volere fermissimo, il volere sovrumano, senza la grazia e la divina carità? Vittima del calcolo e dell'accorta meditazione anche il poeta; e si stringe, si raggomitola in sé; teme il gelo che verrà a sorprenderlo, il gelo che doveva uccidere il suo Borkman. L'artista vive con una rapidità ben maggiore del comune degli uomini; e bisogna, per non essere roso dal dolore, lavorare incessantemente, aggiungere un'opera all'altra, creare sino all'ultimo giorno.»

 

Arturo Farinelli, 1923

 

 

5. «[...] la concezione pessimistica del mondo che si accentua oramai negli ultimi drammi di Ibsen. Il tormento interiore dell'autore, che è assalito dal dubbio di aver mancato al suo scopo nella vita, di aver tutto inutilmente sacrificato a un miraggio irraggiungibile, ci appare ne II costruttore Solness che ci fa assistere al dramma di un uomo assalito da gravi rimorsi per aver trascurato la moglie, sacrificata l'esistenza a un sogno ambizioso, a un'opera di grandezza.