Opere come I pilastri della società, Casa di bambola, Spettri, Un nemico del popolo, sono percepite come grandi drammi di un autore «impegnato», come si dirà più tardi, sul terreno del sociale e del politico. D'altra parte, la loro influenza, in particolare quella di Casa di bambola e Spettri, è enorme tanto che essi vengono considerati più sul piano dei contenuti che su quello dello stile e della forma. Il console Bernick, Nora, la signora Alving, il dottor Stockmann sono non solo dei grandi personaggi teatrali, ma l'espressione di una volontà di rinnovamento e dell'ansia di verità e di giustizia di milioni di uomini. Ibsen, con l'intuizione del grande artista, dà voce a istanze e a idee che erano nell'aria, ma che nessun altro scrittore era riuscito a esprimere con tanta forza. Tuttavia, bisogna stare attenti, a proposito di questi testi, a non sopravvalutarne i significati ideologici e a fare di Ibsen un convinto riformatore e un ideologo della società. Slataper l'aveva intuito già agli inizi del Novecento quando aveva scritto13 a proposito de I pilastri della società: «occupiamoci meno della società: pensiamo ad essere onesti noi (...) Così come Ibsen era riuscito ad affermare che l'arte è individualità, e onestà purificatrice di se stessa, afferma anche positivamente che la vita è vita di individui, onestà, fedeltà di individui a se stessi». Il discorso di Ibsen è tutto sull'individuo e all'interno dell'individuo: è quest'ultimo che, trovando la verità di se stesso, riesce a trasformare anche la società. Quella che apparve allora in Casa di bambola la rivolta contro una concezione sbagliata del ruolo della moglie nel matrimonio, era prima di tutto la presa di coscienza di una donna nei confronti di una realtà sempre più complessa e sempre più difficile da capire. Nella crisi di Nora, Ibsen colse la crisi dell'individuo, privato delle sue certezze e costretto a vivere in un mondo ostile e impenetrabile.
Il discorso di Casa di bambola venne approfondito da Ibsen in Spettri, che suscitò al suo apparire grande scandalo perché apparve un dramma «a tesi» sulla sifilide come malattia ereditaria, mentre la sifilide era solo un pretesto per cogliere — ancora una volta — la crisi di un personaggio femminile, Elena Alving, che aveva tradito se stessa e la sua verità di donna per non mettersi in contrasto con le convenzioni della società. Insomma, anche qui, Ibsen difendeva le ragioni dell'individuo contro quelle della morale sociale. Come, del resto, fa nell'opera successiva, Un nemico del popolo, creando un personaggio, quello del dottor Stockmann, che, pur nelle sue contraddizioni e nella sua sconfitta, lascia un segno di onestà e di verità a coloro che continueranno, dopo di lui, la sua stessa battaglia. Un personaggio rappresentato nei suoi limiti, oltre che nei suoi meriti, in modo tale che la sua verità apparisse «adombrata e enigmatica»14. Ibsen, in altre parole, sottrae a Stockmann Varia di eroe senza macchia e solo dedito al bene comune per farne proprio l'emblema di un uomo che, nonostante tutte le sue debolezze, combatte fino in fondo per difendere le ragioni della verità e dell'onestà, pur conoscendo il prezzo altissimo da pagare.
Dopo Un nemico del popolo, Ibsen apre con L'anitra selvatica una stagione nuova della sua drammaturgia, ritornando peraltro «al tono lirico e ai mezzi allegorici»15 di Brand e di Peer Gynt, ma con uno spirito nuovo e con una consapevolezza stilistica diversa. In questo senso ha ragione George Steiner quando sostiene16 che: «con la finta foresta e la caccia immaginaria del vecchio Ekdal nell'Anitra selvatica, il dramma torna a servirsi di una efficace mitologia e azione simbolica che erano scomparse dal teatro fin dai tardi drammi di Shakespeare. Con La casa dei Rosmer, La donna del mare e Hedda Gabler, Ibsen riuscì nell'impresa tentata da tutti i maggiori drammaturghi dopo la fine del xvn secolo, e che nemmeno Goethe e Wagner avevano realizzato pienamente: creò una nuova mitologia e le convenzioni teatrali per esprimerla. È questa la maggiore conquista di Ibsen, e non è stata finora, compresa interamente». In realtà non solo non è stata compresa, ma spesso è stata equivocata. D'altra parte, al suo apparire, L'anitra selvatica suscitò molte perplessità sia sul piano dei contenuti che su quello stilistico. Se, tuttavia, su quest'ultimo punto era scontato che l'originalità di Ibsen non fosse subito colta, sarebbe stato più facile comprendere il mutamento sostanziale dell'atteggiamento del poeta nei confronti della realtà. Ma per farlo bisognava rinunciare o mettere in secondo piano l'immagine dell'Ibsen moralista e riformatore che si era imposta all'attenzione di tutti, anche se — lo ripetiamo — essa era fuorviante. La novità profonda dì L'anitra selvatica è che Ibsen, come ha visto17 con grande finezza Mario Apollonio, rinuncia a qualsiasi moralismo: «al poeta-profeta sostituisce l'immagine di un se stesso mite e dolente, smarrito puerilmente nei sogni: e si ritrova fanciullo alle soglie della vecchiaia». L'autobiografismo del dramma, dove non c'è più la contrapposizione pur enigmatica fra verità e menzogna, spinge L'anitra selvatica verso un teatro sempre più inquietante e moderno nella rappresentazione del mondo, oltre che risolto in una stupefacente sintesi di realismo e di simbolismo. In questa direzione, L'anitra selvatica non è solo uno dei capolavori assoluti di Ibsen, ma anche il modello di una teatralità ormai novecentesca, che non a caso ha esercitato una straordinaria influenza sui maggiori autori di questo secolo.
La casa dei Rosmer rappresenta un'accentuazione, se così si può dire, della linea drammaturgica inaugurata da L'anitra selvatica e un altro capolavoro. Per Croce18 era anzi «il capolavoro». Un dramma che, rivelando l'impossibilità di conciliare moralità e istinto, cristianesimo e paganesimo, svela al contrario che «la tragicità consiste nella superiorità della morale sulla vita, nel fatto che la coscienza è più forte dell'energia vitale e la soffoca con una potenza irresistibile, finendo tuttavia a sua volta per morire d'inedia»19. Un conflitto colto da Ibsen in due personaggi fra i più emblematici del suo teatro: il pastore Rosmer, nel quale l'istinto morale ha soffocato quello vitale, e Rebeccca West, nella quale, invece, l'urgenza degli ardori vitali ha prevalso su qualsiasi esigenza etica. Ma il loro non è solo un conflitto ideologico perché Ibsen lo cala in un'atmosfera inquietante e misteriosa, che non casualmente ha suscitato l'interesse di psicanalisti come Freud e Groddeck, piena di presagi, di simboli e di riferimenti allegorici. Tutti elementi, questi ultimi, che l'autore usa con una sapienza drammaturgica mai più superata neanche da Strindberg, e che, soprattutto, non restano, neppure per un attimo, astratti. L'originalità, ma in particolare «la forza di Ibsen sta proprio nell'accostamento di una immagine precisa e consapevole della vita con l'ambiente fisico e gli oggetti più adatti a sottolinearla e drammatizzarla»20.
La donna del mare è stata considerata, nonostante la sua fortuna scenica, una parentesi o un'eccezione nello sviluppo dell'ultimo Ibsen, che, secondo molti critici, si abbandonerebbe a una sorta di ottimistico panteismo che gli è sostanzialmente estraneo. Ma è un'interpretazione non solo riduttiva, ma fuorviante perché considera solo un aspetto del testo: la componente «marina» e dà del finale un'interpretazione troppo facile, insistendo sulla scelta da parte di Ellida del marito e non dello Straniero.
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