L'Irreparabile rode col dente maledetto.
-
Ho visto qualche volta, in fondo a un teatro da quattro soldi che un'orchestra, sonora, infiammava, una fata accendere in un cielo infernale un'aurora miracolosa. Ho visto qualche volta, in fondo a un teatro da quattro soldi, un essere tutto luce oro e velo abbattere l'enorme Satana: ma il mio cuore, mai visitato dall'estasi, è un teatro in cui si attende sempre, sempre invano, l'Essere dalle ali di velo.
55 • CONVERSAZIONE (Torna all'indice)
Tu sei un bel cielo d'autunno, chiaro e rosa! Ma la tristezza monta in me come il mare e lascia, rifluendo, sul mio labbro corrucciato, il ricordo cocente del suo fango amaro.
- La tua mano scivola invano sul mio petto che si strugge; ciò che cerca, amica, è un luogo devastato dall'unghia e dal dente feroce della donna. - Non cercare più il mio cuore: le belve l'hanno divorato.
Il mio cuore è un palazzo lordato dalla folla: ci si ubbriaca, ci si ammazza, ci si tira per i capelli. - Un profumo ondeggia attorno al tuo seno nudo.
O Beltà, dura frusta delle anime, tu lo vuoi! Con i tuoi occhi di fuoco, splendenti come feste, tu bruci i brandelli che le belve han risparmiato.
56 • CANTO D'AUTUNNO (Torna all'indice)
_I
Ben presto affonderemo nelle fredde tenebre; addio, viva chiarità delle nostre troppo brevi estati! Sento già cadere con dei lugubri colpi la legna echeggiante sul selciato dei cortili.
L'inverno rientra nel mio essere; collera, odio, brividi, orrore, duro e forzato affanno; e come il sole nell'inferno polare, il mio cuore non sarà più che una massa dura e ghiacciata.
Ascolto fremendo ceppo su ceppo cadere: il patibolo non manda un'eco più sorda. Il mio spirito è come una torre che soccombe sotto i colpi pesanti dell'infaticabile ariete.
Mi sembra, cullato da quei colpi monotoni, che in gran fretta, da qualche parte, si stia inchiodando una bara. Per chi? Ieri era ancora estate; ed ecco, l'autunno. Questo rumore misterioso suona per una partenza.
_II
Amo la luce verdastra dei tuoi lunghi occhi, dolce beltà, ma tutto oggi m'è amaro e nulla, né il tuo amore, né l'alcova, né il caminetto compensano il sole dardeggiante sul mare.
Ma pure, amami, tenero cuore, come una madre, anche se sono ingrato e cattivo; amante o sorella, abbi l'effimera dolcezza d'un glorioso autunno o d'un sole declinante.
Breve compito! Attende, la tomba, avida. Ah, lascia che la fronte posata sulle tue ginocchia, gusti, rimpiangendo la bianca, torrida estate, il raggio giallo e dolce della fine di stagione.
57 • A UNA MADONNA (Torna all'indice)
Ex voto di gusto spagnolo
Voglio innalzare per te, mia Madonna, mia amante, un altare sotterraneo nel profondo della mia disperazione, e scavare, nell'angolo più nero del mio cuore, fuori dal mondano desiderio e dall'occhio schernitore, una nicchia smaltata d'oro e d'azzurro ove tu possa ergerti, Statua piena di stupore. Coi miei versi lucenti, intrecciati d'un puro metallo, con sapienza costellato di rime di cristallo, porrò sul tuo capo una grande corona; e nella mia gelosia, o mortale Madonna, ti taglierò un Mantello, di gusto barbarico, rigido e pesante, foderato di sospetto: così che, come una garitta, chiuda le tue grazie. E non sarà ornato di perle, ma di tutte le mie lagrime! La tua Veste sarà il mio desiderio, fremente, ondulante, il mio desiderio che sale e scende, che si culla sulle cime, si riposa nelle valli, e copre d'un bacio tutto il tuo corpo bianco e rosa. Ti farò, col mio Rispetto, delle belle Scarpe di raso, umiliate dai tuoi piedi divini: imprigionandoli in una molle stretta, ne conserveranno l'impronta come uno stampo fedele? Se io non posso, malgrado la mia arte diligente, farti sgabello d'una Luna d'argento, porrò almeno il Serpente che mi morde i visceri sotto i tuoi piedi, affinché tu calpesti e schernisca, Regina vittoriosa e feconda di redenzioni, questo mostro gonfio di odio e di sputi. Vedrai i miei Pensieri, disposti come i Ceri dinanzi all'altare fiorito della Regina delle Vergini, costellando di riflessi il soffitto dipinto in azzurro, guardarti fissamente con degli occhi di fuoco: e poi che tutto in me ti ammira e ti ama, tutto si farà Benzoino, Incenso, Olibano, Mirra; e senza posa verso di te, vetta bianca e nevosa, in Vapori s'innalzerà il mio Spirito tempestoso.
Infine, per completare la tua figura di Maria, e per mischiare amore e barbarie, nera Voluttà, farò, boia pieno di rimorsi, dei sette Peccati capitali sette Coltelli ben affilati, e come un giocoliere insensibile, prendendo il più profondo del tuo amore come bersaglio, li pianterò nel tuo Cuore ansimante, nel tuo Cuore singhiozzante, nel tuo Cuore ruscellante.
58 • CANZONE DI POMERIGGIO (Torna all'indice)
Sebbene le tue sopracciglia minacciose ti diano un'aria strana, che non è certo quella d'un angelo, o strega dagli occhi allettanti,
io t'adoro, o mia frivola, mia terribile passione, con tutta la devozione del prete per il suo idolo.
Il deserto e la foresta profumano le tue trecce grevi, il tuo capo ha gli atteggiamenti dell'enigma e del segreto.
Il profumo gira sulla tua carne come intorno a un incensiere; tu incanti come fa la sera, ninfa calda e tenebrosa.
Ah, i filtri più forti non valgono nulla a paragone della tua pigrizia, e tu conosci la carezza che fa rivivere i morti.
I tuoi fianchi sono innamorati della tua schiena e dei tuoi seni, e tu affascini i cuscini con le tue pose languide.
Qualche volta, per calmare la tua ira misteriosa, tu distribuisci con serietà il morso e il bacio;
tu mi strazi, o mia bruna, con il tuo riso canzonatore e poi posi sul mio un occhio dolce come la luna.
Sotto i tuoi scarpini di raso e i tuoi affascinanti piedi di seta, io depongo la mia grande gioia, il mio genio e il mio destino,
la mia anima, che tu hai sanato, o colore e luce, esplosione d'ardore nella mia nera Siberia.
59 • SISINA (Torna all'indice)
Immaginate Diana che percorre con un corteo galante i boschi e batte le macchie, petto e capelli al vento, ebbra di strepiti, superba, sfidando i più bravi cavalieri!
Avete visto Théroigne, innamorata di carneficine, che incita all'assalto una gente scalza, guance ed occhi di fuoco, sostenendo la sua parte e salendo, sciabola in pugno, le scalinate regali?
Tale è Sisina! Ma la dolce guerriera ha l'animo tanto pietoso quanto feroce: il suo coraggio, eccitato dalla polvere e dai tamburi,
sa abbassare le armi davanti ai supplici, e il suo cuore, devastato dalla fiamma, ha sempre una riserva di lagrime, per chi se ne mostra degno.
60 • LODI DELLA MIA FRANCESCA (Torna all'indice)
Ti canterò su nuove corde, o piccolo novale che suoni nella solitudine del cuore.
Sii di serti tutta ornata, o donna di delizie per cui sono rimessi i peccati!
Come da un benefico Lete attingerò baci da te, che sei attraversata da magnete.
Quando una tempesta di vizi turbava tutti i sentieri apparisti tu, Dea,
come stella salutare sui naufragi amari... Voterò il cuore ai tuoi altari!
Vasca colma di virtù, fonte di eterna giovinezza, ridà voce ai labbri muti!
Quanto era sudicio bruciasti, quanto rozzo, levigasti, quanto debole, rinforzasti.
Nella fame mia taverna, nella notte mio lume, guidami sempre rettamente.
Aggiungi ora forza a forza, dolce bagno odoroso di soavi profumi!
Splendi attaccata ai miei lombi, o corazza di castità intinta in serafica acqua;
vaso corrusco di gemme, pane saporito, molle cibo, vino divino, Francesca.
61 • A UNA SIGNORA CREOLA (Torna all'indice)
Ho conosciuto nella terra odorosa che il sole carezza, sotto una volta di piante imporporate e di palmizi da cui piove sugli occhi indolenza, una signora creola dalle grazie ignote.
Il suo colorito è pallido e caldo: la bruna incantatrice muove il collo con aria nobilmente manierata, ella è grande e svelta nell'incedere come una cacciatrice, il suo sorriso è tranquillo, i suoi occhi sono fermi.
Se vi portaste, o Signora, al vero paese della gloria, sulle sponde della Senna o della verde Loira, bella degna d'ornare gli antichi castelli,
fareste, al riparo di ombrosi rifugi, nascere mille sonetti nel cuore dei poeti, che i vostri occhi renderebbero più schiavi dei vostri negri.
62 • MOESTA ET ERRABUNDA (Torna all'indice)
Dimmi, talvolta il tuo cuore fugge via, Agata, lontano dal nero oceano dell'immonda città, verso un oceano diverso, splendente di luce, azzurro, chiaro, profondo come la verginità? Dimmi, talvolta il tuo cuore fugge via, Agata?
Il mare, il vasto mare consola le nostre fatiche! Quale demonio ha dotato il mare - dal rauco canto che accompagna l'organo immenso dei venti rimbombanti - di questa capacità sublime d'addormentarci? Il mare, il vasto mare consola le nostre fatiche!
Portami via, vagone, e tu rapiscimi, o nave! Lontano! Lontano! Qui il fango è impastato dalle nostre lagrime! È vero che qualche volta il triste cuore di Agata dice: «Via, dai rimorsi, dai delitti, dalle sofferenze, portami via, vagone, e tu rapiscimi, o nave»?
Come mi sei lontano, paradiso profumato, dove sotto un chiaro cielo tutto è amore e gioia, e tutto ciò che si ama è degno d'essere amato, e nella pura voluttà il cuore si sprofonda! Come mi sei lontano, paradiso profumato!
Ma il verde paradiso degli amori infantili, le corse, le canzoni, i baci, i mazzetti, i violini vibranti dietro le colline, le brocche di vino, la sera, nei boschi - ma il verde paradiso degli amori infantili,
l'innocente paradiso di piaceri furtivi, è già forse più lontano dell'India e della Cina? Si potrà ricordarlo con grida lamentose, e rianimarlo con una voce argentina, l'innocente paradiso di piaceri furtivi?
63 • LO SPETTRO (Torna all'indice)
Come gli angeli dall'occhio fulvo tornerò nella tua alcova e scivolerò silenzioso verso di te con le ombre della notte;
e ti darò, o mia bruna, baci freddi come la luna e ti darò le carezze del serpente che striscia attorno alla fossa.
Nel mattino livido troverai il mio posto vuoto e freddo sino a sera.
Come altri con la tenerezza, io voglio regnare sulla tua giovinezza e la tua vita con il terrore.
64 • SONETTO D'AUTUNNO (Torna all'indice)
Mi dicono i tuoi occhi chiari come il cristallo: «Qual è che consideri il mio maggior merito, o bizzarro amante?» Sii graziosa, taci! Il mio cuore, irritato da ogni cosa tranne che dal candore dell'antico animale,
non vuole rivelarti, cullatrice la cui mano invita a lunghi sonni, né il suo segreto infernale né la sua nera leggenda, scritta con la fiamma. Odio la passione, lo spirito mi strazia!
Oh, amiamoci teneramente. L'amore dalla sua garitta, tende tenebrosamente il suo arco fatale. Conosce ben a fondo gli strumenti della sua vecchia armerìa:
Follìa, orrore, delitto. Pallida margherita, non sei tu forse, come me, simile a un sole autunnale? O mia bianca, fredda Margherita!
65 • TRISTEZZA DELLA LUNA (Torna all'indice)
Questa sera la luna sogna più languidamente; come una bella donna che su tanti cuscini con mano distratta e leggera prima d'addormirsi carezza il contorno dei seni, e sul dorso lucido di molli valanghe, morente, si abbandona a lunghi smarrimenti, girando gli occhi sulle visioni bianche che salgono nell'azzurro come fiori in boccio.
Quando, nel suo languore ozioso, ella lascia cadere su questa terra una lagrima furtiva, un pio poeta, odiatore del sonno,
accoglie nel cavo della mano questa pallida lagrima dai riflessi iridati come un frammento d'opale, e la nasconde nel suo cuore agli sguardi del sole.
66 • I GATTI (Torna all'indice)
I fervidi innamorati e gli austeri dotti amano ugualmente nella loro età matura, i gatti possenti e dolci, orgoglio della casa, come loro freddolosi e sedentari.
Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e l'orrore delle tenebre; l'Erebo li avrebbe presi per funebri corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.
Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti delle grandi sfingi allungate in fondo a solitudini, che sembrano addormirsi in un sogno senza fine;
le loro reni feconde sono piene di magiche scintille e di frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente le loro pupille mistiche.
67 • I GUFI (Torna all'indice)
Sotto i neri tassi che li riparano stanno allineati i gufi come dei stranieri, e dardeggiano all'intorno il loro occhio rosso. Meditano.
Staranno senza muoversi sino all'ora malinconica in cui, spingendo via il sole obliquo, le tenebre regneranno.
La loro posa insegna al saggio che bisogna in questo nostro mondo guardarsi dal tumulto e dal movimento;
l'uomo, inebriato da un'ombra che passa, porta su di sé il castigo del suo aver voluto mutare.
68 • LA PIPA (Torna all'indice)
Sono la pipa d'un autore. S'indovina, a guardare la mia faccia d'Abissinia o di Cafra, che il mio padrone è un gran fumatore.
Quand'è carico di dolori io fumo come la capannuccia in cui si prepara il pasto pel ritorno dell'aratore.
Stringo e cullo la sua anima nella rete azzurra e mobile che sale dalla mia bocca di fuoco
e svolgo un dittamo potente che incanta il suo cuore e guarisce le pene del suo spirito.
69 • LA MUSICA (Torna all'indice)
Spesso la musica mi porta via come fa il mare. Sotto una volta di bruma o in un vasto etere metto vela verso la mia pallida stella.
Petto in avanti e polmoni gonfi come vela scalo la cresta dei flutti accavallati che la notte mi nasconde;
sento vibrare in me tutte le passioni d'un vascello che dolora, il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi
sull'immenso abisso mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia, grande specchio della mia disperazione!
70 • SEPOLTURA (Torna all'indice)
Se, in una notte oscura e greve un buon cristiano, per carità, seppellirà il vostro bel corpo dietro qualche vecchio rudere
all'ora che le caste stelle chiudono i loro occhi appesantiti, il ragno vi tesserà le sue tele, la vipera vi alleverà i suoi piccoli;
voi tutto l'anno udirete sul vostro capo condannato gli urli lamentosi dei lupi
e delle fameliche streghe, le follìe dei vecchi lubrichi e i complotti dei neri malfattori.
71 • UN'INCISIONE FANTASTICA (Torna all'indice)
Questo strano spettro non porta, grottescamente posato sulla sua fronte scheletrica, che un orribile diadema che sa di carnevale. Senza speroni né frustino fiacca un cavallo, spettrale come lui, ronzino d'apocalisse, che sbava dalle froge come un epilettico. Entro lo spazio s'inoltrano entrambi, e schiacciano l'infinito con uno zoccolo avventuroso. Il cavaliere mena una spada fiammeggiante su folle senza nome che la sua cavalcatura calpesta, e percorre, simile a un principe che ispeziona la sua corte, il cimitero immenso e freddo, senza orizzonte, in cui giacciono al lume bianco d'un sole esangue, i popoli della storia antica e moderna.
72 • IL MORTO ALLEGRO (Torna all'indice)
In una terra grassa, piena di lumache, voglio scavarmi una fossa profonda in cui adagiare a piacere le mie vecchie ossa e addormentarmi nell'oblìo come il pescecane nell'ombra.
Odio i testamenti e le tombe; piuttosto che mendicare dagli uomini una lagrima, preferirei, vivo, invitare i corvi a dissanguare ogni punto della mia immonda carcassa.
Vermi! Neri compagni senza orecchie e senza occhi, accogliete un morto che viene a voi libero e allegro; filosofi gaudenti, figli della putrefazione,
passate attraverso la mia rovina senza rimorso e ditemi se resta ancora qualche tortura per questo vecchio corpo senz'anima, morto fra i morti.
73 • LA BOTTE DELL'ODIO (Torna all'indice)
L'Odio è la botte delle pallide Danaidi; la Vendetta invano, con le sue braccia rosse e forti, precipita in fondo alle sue tenebre vuote grandi secchi di sangue e lagrime dei morti:
il Diavolo fa buchi segreti a questi abissi dai quali sfuggirebbero mille anni di sudori e di sforzi, anche se essa sapesse rianimare le sue vittime e, per spremerle ancora, risuscitare i loro corpi.
L'Odio è un ubbriaco in fondo ad una caverna, che sente rinascergli la sete e via via moltiplicarglisi, come l'idra di Lerna, dal liquido che ha ingurgitato.
Ma i bevitori felici sanno chi è il vincitore, e l'Odio è condannato - lamentevole sorte - a non potersi mai addormentare sotto la tavola.
74 • LA CAMPANA INCRINATA (Torna all'indice)
È così amaro e dolce nelle notti d'inverno, ascoltare seduti accanto al fuoco che guizza e manda fumo, levarsi lentamente le memorie del tempo lontano, al suono delle campane che cantano nella nebbia.
Felice la campana dalla gola possente che, sana e vivace malgrado i suoi anni, lancia fedelmente il suo grido religioso come un vecchio soldato in veglia alla propria tenda.
Quanto a me, la mia anima è incrinata, e quando nelle sue pene vuole popolare l'aria fredda delle notti, accade spesso che la sua voce indebolita
sembri il rantolo greve d'un ferito abbandonato sulla riva di un lago di sangue che, sotto un cumulo di morti, senza potersi muovere, spira tra immensi sforzi.
75 • SPLEEN (Torna all'indice)
Pluvioso, irritato contro l'intera città, versa dalla sua urna a grandi zaffate un freddo tenebroso sui pallidi abitanti del vicino camposanto, rovesciando, sui quartieri brumosi, la morte.
Il mio gatto, alla cerca d'un giaciglio sul pavimento, agita incessantemente il suo corpo magro e rognoso; l'anima d'un vecchio poeta erra nella grondaia con la voce triste d'un fantasma infreddolito.
La campana che si lagna e il tizzo che fa fumo accompagnano in falsetto la pendola raffreddata; intanto in un mazzo di carte dall'odore nauseante,
lascito fatale d'una vecchia idropica, il bel fante di cuori e la regina di picche chiacchierano sinistramente dei loro amori defunti.
76 • SPLEEN (Torna all'indice)
Ho più ricordi che se avessi mille anni. Un grosso mobile a cassetti ingombro di bilanci, di versi, di lettere d'amore, di verbali, di romanze e di grevi ciocche di capelli ravvolte entro quietanze, nasconde meno segreti che il mio triste cervello. È una piramide, un'immensa tomba, contiene più morti d'una fossa comune. - Io sono un cimitero aborrito dalla luna, in cui, come rimorsi, si trascinano lunghi vermi accanendosi continuamente sui più cari dei miei morti. Sono un vecchio camerino pieno di rose passe, in cui giacciono in disordine mode sorpassate; e i pastelli miserevoli e i pallidi Boucher, soli, respirano il profumo d'una fiala lasciata aperta.
Nulla eguaglia la lentezza di quei giorni azzoppati quando, sotto i pesanti fiocchi delle annate nevose, la noia, frutto della cupa indifferenza, prende le proporzioni dell'immortalità. - Già tu non sei più, o materia vivente, che un granito circondato da un vago spavento, assopito al fondo d'un Sahara brumoso; una vecchia sfinge ignorata dal mondo noncurante, dimenticata sulle mappe: il suo umore selvaggio non canta ormai che ai raggi del sole che tramonta.
77 • SPLEEN (Torna all'indice)
Sono come il re d'un paese piovoso, ricco ma impotente, giovane e vecchissimo, che disprezzando gli inchini dei maestri s'annoia coi suoi cani come con ogni altro animale. Nulla può allietarlo, né la caccia, né il falcone, né il popolo agonizzante sotto il suo balcone.
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