Io bevevo, teso come un folle, nel suo occhio, cielo livido in cui nasce l'uragano, la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.
Un lampo... poi la notte! - O fugace bellezza, il cui sguardo m'ha ridato improvvisamente la vita, non ti rivedrò che nell'eternità?
Altrove, ben lungi da qui, tardi, troppo tardi, forse mai! Io non so dove fuggi, tu ignori dove io vada. O te che avrei amato, o te che lo sapevi!
94 • LO SCHELETRO CONTADINO (Torna all'indice)
_I
In quelle vecchie tavole d'anatomia sparse sui lungo-Senna polverosi ove, come un'antica mummia, dorme più di un libro cadaverico;
disegni ai quali la gravità e il mestiere d'un vecchio artista, ad onta dello squallore del soggetto, ha saputo infondere la Bellezza,
accade di vedere - il che completa quei misteriosi orrori - Scorticati e Scheletri dar di vanga come contadini.
_II
Dal terreno che frugate, funebri e rassegnati braccianti, con tutta la forza delle vostre vertebre e dei vostri muscoli spellati,
dite, che strana messe ricavate, forzati strappati al camposanto, e di quale proprietario dovete empire il granaio?
Volete forse (d'un destino troppo duro emblema chiaro e spaventevole) dimostrare che neppure nella fossa il sonno promesso è sicuro,
che il Nulla ci tradisce e tutto, anche la Morte, ci mente e che per l'eternità, ahimè, dovremo
in qualche ignoto paese scorticare la terra grama e affondare una pesante vanga col nudo piede sanguinante?
95 • IL CREPUSCOLO DELLA SERA (Torna all'indice)
Ecco la bella sera, amica del criminale: arriva complice, a passi da lupo; il cielo si chiude lentamente, come una grande alcova, e si trasforma in belva l'uomo impaziente.
O sera, cara sera, desiderata da colui le cui braccia, senza mentire, possono dire: «Anche oggi abbiamo faticato.» - È la sera che dà qualche sollievo agli spiriti divorati da un dolore selvaggio, al pensatore ostinato la cui fronte si piega, all'operaio ingobbito che ritorna al suo letto.
Intanto si stanno svegliando pesantemente demoni malsani, come fossero uomini d'affari e, volando, vanno a sbattere contro imposte e tettoie. Attraverso le luci che il vento tormenta la Prostituzione si riaccende nelle vie e come un formicaio disserra tutte le sue uscite. Dovunque si apre un occulto sentiero, simile al nemico che tenta un colpo di mano: s'agita in seno alla città di fango come un verme che ruba all'uomo il suo nutrimento. Si sentono, qua e là, soffiare le cucine, mugghiare i teatri, ronfare le orchestrine; i ristoranti a prezzo fisso, dei quali il giuoco è l'attrattiva maggiore, s'empiono di puttane e di ruffiane (loro complici); e i ladri, che non hanno mai requie, presto inizieranno il loro lavoro: che è di forzare con dolcezza le porte e le casseforti, per campare qualche giorno, per vestire le amanti.
Raccogliti, anima mia, in questo momento grave e cerca di chiuder l'orecchio a quel grande ruggito. È l'ora che le sofferenze dei malati s'acutizzano, la scura Notte li prende alla gola: chiudono il loro destino, s'incamminano verso l'abisso comune; l'ospedale si riempie dei loro sospiri - Più d'uno non verrà più a cercare, accanto al fuoco, presso un'anima malata, la minestra che odora.
E i più son quelli che non han mai conosciuto la dolcezza d'un focolare: che non han mai vissuto.
96 • IL GIOGO (Torna all'indice)
Su logore poltrone cortigiane vecchie, pallide, le sopracciglia dipinte, l'occhio pigro e fatale, civettano e fanno dalle magre orecchie cadere un tintinnìo di metallo e di pietre preziose;
intorno ai tappeti verdi visi senza labbra, labbra senza colore, mascelle senza denti, e dita percorse da una febbre infernale che fregano la tasca vuota o il seno palpitante;
sotto sporchi soffitti una fila di lampadari fiochi e grandi lampade che proiettano le loro luci sulle fronti tenebrose di poeti illustri venuti qui a sperperare i loro sudori di sangue:
ecco la nera visione che in un sogno notturno vidi svolgersi sotto il mio sguardo acuto. E vidi me stesso, in un canto dell'antro taciturno, appoggiato sui gomiti, freddo, muto, invidioso
della passione tenace di quella gente, della funebre allegria di quelle vecchie puttane, e di tutto quel traffico, alla mia presenza, dell'antico onore e della bellezza.
E il mio cuore ebbe paura di invidiare quei disgraziati in corsa fervida verso l'abisso spalancato; e che, ubriachi del proprio sangue, preferiscono alla morte il dolore ed al nulla l'inferno.
97 • DANZA MACABRA (Torna all'indice)
A Ernest Christophe
Fiera come una persona viva della sua nobile statura, col suo gran mazzo di fiori, il fazzoletto e i guanti, ella ha la noncuranza e la disinvoltura d'una civetta magra e stravagante.
Si vide mai al ballo una vita così sottile? Il suo vestito esagerato, nella sua ampiezza regale, cade largamente su un piede secco che chiude uno scarpino infiocchettato, grazioso come un fiore.
Il nodo che fa pompa all'orlo delle sue clavicole come un ruscello lascivo strisciante contro la roccia, difende pudicamente dai lazzi le funebri grazie ch'essa tiene a coprire.
I suoi occhi profondi son fatti di vuoto e di tenebre, e il suo cranio, artificiosamente ornato di fiori, oscilla mollemente sulle sue fragili vertebre. Oh, incanto d'un nulla follemente agghindato!
Ti diranno una caricatura coloro che, amanti ebbri della carne, non comprendono l'eleganza senza nome dell'umana armatura. Ma tu rispondi, grande scheletro, ai miei gusti più cari.
Vieni forse a tubare, con la tua possente smorfia, le feste della Vita, o un'antica voglia, speronando ancora la tua vivente carcassa, ti spinge, credula, al sabba del Piacere?
Al canto dei violini, alla fiamma delle candele, speri dunque di cacciare il tuo incubo beffardo, e vieni a chiedere che il torrente delle orge rinfreschi l'inferno acceso nel tuo cuore?
O inesauribile pozzo di stoltezza e di colpe! Eterno alambicco dell'antico dolore. Attraverso il traliccio curvo delle tue costole vedo, ancora errante, l'insaziabile aspide.
Ma temo che tutta la tua civetteria non troverà un compenso degno dei tuoi sforzi: chi, fra questi cuori mortali, capirà lo scherzo? Le grazie dell'orrore non inebriano che i forti.
L'abisso dei tuoi occhi, pieno d'orribili pensieri, esala vertigine, e i cauti ballerini non contempleranno senza nausee amare il sorriso eterno dei suoi trentatré denti.
E tuttavia, chi non ha stretto fra le sue braccia uno scheletro, chi non s'è nutrito con le cose della tomba? Che importano profumo, abito, abbigliamento? Chi fa il disgustato, mostra di credersi bello.
Baiadera senza naso, sgorbio irresistibile, di' dunque a questi ballerini che fanno i contrariati: «Malgrado cipria e rossetto, ballerini che vi volete fieri, puzzate tutti di morte. Scheletri azzimati,
Antinoi sfioriti, dandy glabri, cadaveri verniciati, vitaioli canuti, siete trascinati, nel gioco universale della danza macabra, verso luoghi che nessuno conosce!
Dai freddi lungo-Senna alle rive brucianti del Gange la mandria dei mortali salta e s'inebria, e non vede da un buco del soffitto spuntare la tromba dell'Angelo sinistramente aperta come un nero schioppo.
In ogni clima, sotto qualsiasi sole, risibile Umanità, la Morte mira le tue contorsioni e sovente, come fai tu, profumandosi di mirra, mischia la sua ironia alla tua insania.»
98 • L'AMORE DELLA MENZOGNA (Torna all'indice)
Quando, o cara e indolente, ti vedo procedere, al canto degli strumenti che si frange al soffitto, sospeso il passo armonioso e lento e girata tutt'intorno la noia dello sguardo, profondo;
quando, ai fuochi del gas che la colora, contemplo la tua pallida fronte, che abbellisce un morboso fascino, e le faci della sera incendiano d'aurora i tuoi occhi stregati come in un ritratto,
mi dico: Com'è bella e come bizzarramente fresca! La grave memoria, pesante e regale torre, l'incorona, e il suo cuore, come una pesca ammaccata è maturo, similmente al suo corpo, per un amore raffinato.
Sei forse il frutto d'autunno dai sapori regali, la funebre urna in attesa di lagrime, il profumo che fa sognare oasi lontane, il cuscino carezzevole, il canestro di fiori?
Io so che vi sono occhi pieni di malinconia che non celano alcun segreto prezioso: bei cofani senza gioielli, medaglioni senza reliquie, più vuoti e più profondi di voi medesimi, o cieli!
Ma non basta, per rallegrare un cuore che fugge la verità, che tu sia l'apparenza? Che importano la tua stupidità, la tua indifferenza? Maschera o ornamento, ti saluto: io adoro la tua bellezza.
99 (Torna all'indice)
Non ho dimenticato, vicino alla città, la nostra casa bianca, piccola e tranquilla, la sua Pomona di gesso e la sua Venere vetusta, che cercavano di nascondere in un boschetto gramo le nudità delle membra. E il sole la sera, sfavillante e superbo, dietro il vetro cui s'infrangeva il suo fascio di luce, sembrava, grande occhio spalancato nel cielo curioso, contemplare le nostre cene lunghe e silenziose, spandendo con larghezza i suoi bei riflessi di cero sulla tovaglia frugale, sulle tende di lino.
100 (Torna all'indice)
Alla serva dal gran cuore che t'ingelosiva, e che dorme il suo sonno sotto un'umile aiuola, dovremmo qualche volta portare un po' di fiori. I morti, i poveri morti hanno grandi dolori; e quando, potatore di vecchi alberi, Ottobre soffia il suo malinconico vento attorno ai loro marmi, devono pensare i vivi ben ingrati a dormire, come fanno, al caldo, sotto le coperte, mentre che essi, divorati da neri incubi, senza compagni di letto, senza poter chiacchierare, vecchi scheletri gelati rosi dai vermi, sentono sgocciolare la neve dell'inverno, il secolo andar via, senza che amici o famigliari pensino a rimpiazzare i brandelli che pendono alla loro grata.
Se una sera, quando il ceppo sibila e canta, tranquilla io la vedessi sedersi nella sua poltrona; se una notte azzurra e fredda di dicembre la trovassi rannicchiata in un angolo della mia stanza e, seria, venuta dal suo letto eterno, covare il ragazzo fattosi grande col suo occhio materno: che cosa potrei rispondere a quest'anima pia, vedendole cadere lagrime dalle palpebre vuote?
101 • BRUME E PIOGGE (Torna all'indice)
O fini d'autunno, inverni, primavere impastate di fango, stagioni che addormono, io vi amo e vi lodo d'avviluppare la mia anima e il mio cervello in un sudario vaporoso e in una vaga tomba.
In quest'ampia piana in cui il freddo vento si sfrena e nelle lunghe notti stride la banderuola, la mia anima, meglio che nella tepida primavera, aprirà largamente le sue ali di corvo.
Nulla è più dolce al cuore colmo di cose funebri, su cui da tempo scendono le brine, o scialbe stagioni, regine dei nostri climi,
dall'aspetto perenne delle vostre tenebre - se non, una sera senza luna, addormentare, uniti su un letto di fortuna, questo nostro dolore.
102 • SOGNO PARIGINO (Torna all'indice)
A Costantin Guys
_I
Di quel terribile paesaggio (tale che mai mortale ne vide uno) stamattina l'immagine, vaga e remota, mi rapisce.
Il sonno è gremito di miracoli! Per un singolare capriccio avevo bandito da queste fantasie le irregolarità del mondo vegetale.
E gustavo, nel mio quadro, pittore fiero del mio genio, l'inebriante monotonia del metallo, del marmo e dell'acqua.
Babele di scalee e d'arcate, era un palazzo infinito, ricco di bacini e di cascate volgenti all'oro opaco e brunito;
cateratte pesanti come tende di cristallo stavano sospese, folgoranti, a muraglie di metallo.
Non alberi, colonnati cingevano gli stagni dormienti in cui naiadi giganti si specchiavano come donne.
Lame d'acqua azzurra si stendevano fra lungofiume rosa e verdi per milioni di leghe sino ai confini dell'universo;
ed erano pietre inaudite, flutti magici, immensi specchi abbacinati da quel che riflettevano!
Nel firmamento Gangi indifferenti e taciturni versavano il tesoro delle loro urne in abissi di diamante.
Architetto delle mie fantasticherie, a mio capriccio facevo passare un oceano domato sotto un tunnel di gemme.
E tutto, anche il nero, sembrava forbito, chiaro, iridato: il liquido incastonava la sua gloria nel raggio cristallizzato.
Nessun astro, nessun ricordo di sole neppure all'occidente, per illuminare quei prodigi splendenti di un proprio fuoco.
E su quelle mobili meraviglie incombeva (novità terribile: tutto all'occhio, niente all'orecchio) un silenzio d'eternità.
_II
Nel riaprire gli occhi pieni di fiamme ho veduto l'orrore della mia tana, e sentito rientrare nella mia anima la punta delle maledette tribolazioni;
la pendola dai funebri accenti sonava brutalmente mezzogiorno, e riversava il cielo le sue tenebre sul triste mondo intorpidito.
103 • CREPUSCOLO DEL MATTINO (Torna all'indice)
La diana cantava nei cortili delle caserme e il vento del mattino soffiava sui lampioni.
Era l'ora che lo sciame dei torbidi sogni torce sui letti i bruni adolescenti; e, come un occhio pieno di sangue che palpita e trema la lampada forma una macchia rossa sul chiaro del mattino: l'anima, sotto il peso del corpo greve e aspro, imita il cimento della lampada e del giorno. L'aria è percorsa dal brivido delle cose che svaniscono come in un volto in lagrime la brezza che asciuga: l'uomo è stanco di scrivere e la donna d'amare.
Qua e là, dalle case, s'alza il fumo. Le cortigiane, palpebre livide, bocche aperte, dormivano il loro sonno animale; le mendicanti, trascinando i seni magri e freddi, soffiavano sulle braci e sulle dita. Era l'ora in cui tra freddo e miseria rincrudiscono le doglie della gestante. Come un singhiozzo soffocato da un sangue schiumoso, da lungi, il canto del gallo lacerava l'aria di brume; un mare di nebbia bagnava gli edifici e gli agonizzanti in fondo agli ospedali davano, in soprassalti ineguali, i loro ultimi rantoli. Rotti dalle fatiche d'amore i libertini tornavano alle loro case.
In veste rosa e verde l'aurora, tremando, avanzava lenta sulla Senna deserta e cupamente Parigi, stropicciandosi gli occhi, imbracciava i suoi attrezzi, vegliardo laborioso.
IL VINO
104 • L'ANIMA DEL VINO (Torna all'indice)
Una sera l'anima del vino cantava nelle bottiglie: «Uomo, caro diseredato, io ti lancio, dalla mia prigione di vetro e dalle mie vermiglie chiusure, un canto pieno di luce fraterna!
So bene quanta fatica, quanto sudore, quanto sole cocente ci vuole, sulla collina che arde, per darmi vita e anima: ma non sarò né malevolo né ingrato,
perché provo una gioia immensa quando scendo nella gola d'un uomo sfinito dal lavoro, e il suo caldo petto si fa dolce tomba dove mi trovo assai meglio che in una fredda cantina.
Non odi risuonare i ritornelli domenicali e la speranza che bisbiglia nel mio seno palpitante? I gomiti sul tavolo, le maniche rimboccate tu, felici, mi glorificherai;
io accenderò lo sguardo della tua donna affascinata; ridarò forza e colori a tuo figlio: sarò, per questo fragile atleta della vita, l'olio che rassoda i muscoli dei lottatori.
Ti scenderò dentro, ambrosia vegetale, grano prezioso gettato dall'eterno Seminatore, perché dal nostro amore nasca la poesia, che verso Dio spunterà come un raro fiore!»
105 • IL VINO DEGLI STRACCIVENDOLI (Torna all'indice)
Spesso, al chiarore rossastro d'un lampione di cui il vento sbatte la fiamma e tormenta il vetro, nel cuore d'un vecchio sobborgo, labirinto fangoso dove l'umanità brulica in fermenti tempestosi,
vedi uno straccivendolo procedere, dondolando la testa, incespicando e urtandosi ai muri come un poeta, e, senza tener in alcun conto gli spioni, suoi sudditi, dare tutto il suo cuore a gloriosi progetti.
Pronunzia giuramenti, detta leggi sublimi, umilia i malvagi, solleva le vittime e s'inebria degli splendori della propria virtù sotto il cielo sospeso come un baldacchino.
Sì, angustiati da pene famigliari, rotti dalla fatica e affranti dagli anni, sderenati, piegati sotto una massa di rifiuti che vomita confusamente l'enorme Parigi,
riemergono, odorosi di bótte, seguiti da compagni incanutiti nelle battaglie, i baffi pendenti come vecchie bandiere. Gli stendardi, i fiori e gli archi trionfali
sorgono dinanzi a loro per solenne magìa! E nella splendente e assordante orgia delle trombe, del sole, delle grida e dei tamburi riportano la gloria a un popolo ebbro d'amore!
È così che, sfolgorante Pàttolo, il vino fa fluire l'oro in mezzo alla vana Umanità; attraverso la gola dell'uomo canta le sue prodezze e regna per mezzo dei doni come fanno i veri re.
A spegnere il rancore e cullare l'indolenza di tanti vecchi che muoiono, maledetti, in silenzio, Dio, preso dal rimorso, creò il sonno; l'Uomo ha aggiunto il Vino, figlio sacro del Sole.
106 • IL VINO DELL'ASSASSINO (Torna all'indice)
Mia moglie è morta, son libero! Posso bere finalmente a sazietà. Quando rientravo senza un soldo, i suoi urli mi penetravano sin dentro alle fibre.
Sono felice come un re, l'aria è pura, il cielo meraviglioso... Abbiamo avuto un'estate così, quando mi sono innamorato di lei!
Per spegnere questa sete che mi strazia ci vorrebbe tanto vino quanto ne può contenere la sua tomba; e non è dire poco:
l'ho buttata in fondo a un pozzo e in più le ho gettato addosso tutte le pietre del parapetto. Potrò dimenticarla?
In nome dei teneri giuramenti che nessuno può sciogliere per riconciliarci come ai tempi della nostra ebbrezza, io implorai un appuntamento, la sera, in una strada scura. E venne - folle creatura. Siamo tutti, chi più chi meno, dei folli!
Era ancora così graziosa, anche se tanto stanca, e io, l'amavo troppo. Ecco perché le dissi: esci da questa vita.
Nessuno può capirmi. Mai uno di questi ubriachi inebetiti, pensò, nelle sue notti morbose, di fare del vino un sudario?
Crapuloni invulnerabili, automi di ferro, mai, né l'estate né l'inverno, hanno conosciuto il vero amore
coi suoi neri incantesimi, il suo seguito infernale d'allarmi, le sue fiale di veleno, le sue lagrime, il suo strepito di ossa e di catene!
- Eccomi solo, libero! Questa sera sarò ubriaco fradicio: senza paura né rimorsi mi stenderò per terra
e dormirò come un cane! Il carro di grandi ruote carico di pietre e di fango, il treno infuriato può ben
schiacciare la mia testa colpevole e troncarmi a metà. Io me ne infischio di Dio come del Diavolo e della Sacra Mensa.
107 • IL VINO DEL SOLITARIO (Torna all'indice)
Lo sguardo strano d'una donna galante che scivola verso di noi come il bianco raggio che la luna oscillante invia al lago increspato quando vuol bagnarvi la sua pigra bellezza;
l'ultima borsa di monete fra le dita del giocatore, il lascivo bacio della magra Adelina; i suoni d'una musica languida e dolcissima, simile al grido lontano del dolore umano
non valgono i balsami penetranti che tu, bottiglia fonda, esprimi dalla tua fecondità rigonfia per il cuore assetato d'un pio poeta.
Tu gli dai la vita, la giovinezza, la speranza - e l'orgoglio, tesoro dei mendichi, che ci rende trionfanti, simili agli Dei!
108 • IL VINO DEGLI AMANTI (Torna all'indice)
Oggi lo spazio è splendido! Senza morsi né speroni o briglie, via, sul vino, a cavallo verso il cielo divino e incantato!
Come due angeli che tortura un rovello implacabile oh, nel cristallo azzurro del mattino, seguire il lontano meriggio!
Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale, in un delirio parallelo,
sorella, nuotando affiancati, fuggire senza riposi né tregue verso il paradiso dei miei sogni.
FIORI DEL MALE
109 • LA DISTRUZIONE (Torna all'indice)
Incessantemente, vicino a me, s'agita il Demonio, e mi vagola dattorno come un'aria impalpabile; io l'inghiotto e sento che mi brucia i polmoni e li riempie d'un desiderio eterno e colpevole.
Conoscendo il mio grande amore per l'Arte prende, qualche volta, le sembianze della più seducente delle donne, e con speciosi pretesti da ipocrita avvezza le mie labbra ai filtri più infami.
Lontano dallo sguardo di Dio, mi porta, ansante, rotto dalla stanchezza, nelle profonde e deserte piane della Noia,
e getta sui miei occhi confusi vesti lordate, ferite aperte, tutto il sanguinoso apparato della Distruzione!
110 • UNA MARTIRE (Torna all'indice)
Disegno di ignoto
In mezzo a flaconi, a stoffe laminate e mobili voluttuosi, a marmi, quadri, abiti profumati dalle pieghe sontuose,
in una camera tiepida ove, come in una serra, l'aria è rischiosa e fatale, e mazzi di fiori nelle loro bare di vetro esalano l'ultimo spiro,
un cadavere decapitato versa, simile a un fiume, sul cuscino sazio, un sangue rosso, vivo, che la tela beve come un avido prato.
Simile alle pallide visioni che suscita l'ombra e che ci avvincono gli occhi, la testa, con la massa della sua scura criniera e i suoi gioielli preziosi
riposa sul comodino da notte, come un ranuncolo: uno sguardo, vuoto e bianco come il crepuscolo sfugge dagli occhi arrovesciati.
Sul letto, il tronco nudo, senza scrupoli, rivela nel più completo abbandono il segreto splendore e la bellezza fatale che la natura gli diede;
una calza rosa, ornata d'oro, è rimasta sulla gamba, come un ricordo: la giarrettiera, come un occhio segreto che brucia, dardeggia uno sguardo di diamante.
Lo strano aspetto di questa solitudine e d'un grande, languido ritratto, dall'occhio e dall'atteggiamento provocanti, rivelano un amore tenebroso,
una gioia colpevole, delle feste bizzarre piene di baci infernali, di cui godeva lo sciame degli angeli dannati volteggianti fra le pieghe delle tende;
e tuttavia, a vedere la magrezza elegante della spalla dal contorno risentito, l'anca un po' puntuta e la vita guizzante come un rettile irritato,
come risulta giovane... La sua anima esasperata e i suoi sensi, morsi dal tedio, s'erano aperti alla muta assetata dei desideri ardenti e perduti?
E l'uomo vendicativo che, da viva, malgrado tanto amore non hai potuto saziare, sfogò sulla tua carne inerte e compiacente l'immenso suo desiderio?
Rispondi, impuro cadavere! E, sollevandoti con braccio febbrile per le trecce irrigidite, testa paurosa, dimmi, ha egli sui tuoi denti freddi impresso un ultimo addio?
- Via dal mondo schernitore, via dalla folla impura e dai magistrati curiosi, dormi in pace, strana creatura, nella tua tomba misteriosa;
il tuo sposo vaga per il mondo e la tua forma immortale gli veglia accanto, quando dorme; ti sarà fedele e costante sino alla morte, come tu lo sei a lui.
111 • DONNE DANNATE (Torna all'indice)
Coricate sulla sabbia come armento pensoso volgono gli occhi verso l'orizzonte marino e i piedi che si cercano, le mani ravvicinate hanno dolci languori e brividi amari.
Le une, cuori innamorati di lunghe confidenze, nel folto dei boschetti sussurranti di ruscelli, vanno riandando l'amore delle timide infanzie e incidendo il legno verde dei giovani arbusti;
altre, camminano lente e gravi come suore attraverso le rocce piene di apparizioni, dove Sant'Antonio vide sorgere, come lava, i seni nudi e purpurei delle sue tentazioni;
e ve n'è che ai bagliori di resine stillanti, nel muto cavo di vecchi antri pagani, ti chiamano in soccorso delle loro febbri urlanti, o Bacco, che sai assopire gli antichi rimorsi.
Altre, il cui petto ama gli scapolari e nascondono il frustino entro le lunghe vesti, mischiano, nelle notti solitarie e nei boschi scuri, la schiuma del piacere e le lagrime degli strazi.
O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,
o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango per i vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i vostri cuori.
112 • LE DUE BUONE SORELLE (Torna all'indice)
La Dissolutezza e la Morte sono due sgualdrine amabili, prodighe di baci e piene di salute, il cui fianco eternamente vergine e fasciato di stracci, preso da un perenne travaglio, non ha mai partorito.
Al poeta sinistro, nemico delle famiglie, favorito dell'inferno, artigiano malmesso, tombe e lupanari mostrano sotto le loro volte un letto che il rimorso non ha mai frequentato.
Bara ed alcova, feconde di bestemmie, a volta a volta ci offrono, come buone sorelle, piaceri terribili e dolcezze paurose.
Quand'è che vuoi sotterrarmi, Dissolutezza dalle immonde braccia? E quando, Morte, sua rivale in bellezza, verrai a innestare sui suoi mirti infetti i tuoi neri cipressi?
113 • LA FONTANA DI SANGUE (Torna all'indice)
Mi pare, a volte, che il mio sangue fiotti come una fontana dai ritmici singhiozzi.
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