E in verità, cercando l'essenza del male e volendo amare un mostro perfetto, veramente, vecchio mostro, io t'amo.
EPIGRAFI
13 • VERSI PER IL RITRATTO DI HONORÉ DAUMIER (Torna all'indice)
Colui di cui ti offriamo l'immagine e la cui arte, fra tutte la più sottile, ci insegna a ridere di noi stessi, è un saggio, o lettore,
un satirico, un beffardo; ma l'energia che usa a dipingere il Male con il suo seguito prova la bellezza del suo cuore.
Il suo riso non è la smorfia di Melmoth o di Mefisto sotto la torcia di Aletto: che li brucia, ma ci agghiaccia.
Il loro riso non è, ahimè, che la dolorosa caricatura della gioia, mentre il suo, franco e aperto, brilla a testimonianza della sua bontà!
14 • LOLA DI VALENZA (Torna all'indice)
Fra le tante bellezze che dovunque si mostrano capisco, amici, che il desiderio oscilli; ma in Lola di Valenza si vede scintillare l'incanto inatteso d'un gioiello rosa e nero.
15 • SUL «TASSO DI CARCERE» DI EUGÈNE DELACROIX (Torna all'indice)
Il poeta in prigione, disordinato, malaticcio, il piede su un manoscritto, misura con lo sguardo infiammato dal terrore la scala di vertigine in cui si perde il suo animo.
Le risa inebrianti di cui il carcere risuona portano la sua ragione verso lo strano e l'assurdo; il Dubbio lo circuisce, e la ridicola Paura, orribile, multiforme, gli sta sempre dattorno.
Questo genio chiuso in un abituro malsano, queste smorfie, e grida, e spettri il cui sciame turbina, tumultuoso, dietro le sue orecchie,
questo sognatore risvegliato dall'orrore del suo alloggio, ecco il tuo emblema, Anima di oscuri sogni che la Realtà soffoca tra le sue quattro mura!
POESIE VARIE
16 • LA VOCE (Torna all'indice)
La mia culla stava appoggiata alla biblioteca, cupa Babele in cui romanzo, scienza, favola, tutto, cenere latina e polvere greca, si mischiava. Io ero alto come un in-folio. Due voci mi parlavano. L'una, ferma e insidiosa, diceva: «La terra è un dolce pieno di sapore; io posso (e allora il tuo piacere non avrebbe fine) darti un appetito altrettanto grande.» E l'altra: «Vieni, oh, vieni a viaggiare nei sogni, al di là del possibile, al di là del conosciuto.» E questa cantava come il vento delle spiagge, fantasma, chissà di dove venuto, che vagando carezzava e insieme atterriva l'orecchio. Ti risposi: «Oh sì, dolce voce!» È da allora che data, ahimè, quella che si può definire la mia piaga e la mia fatalità. Dietro le scene dell'immensa vita, nel più scuro dell'abisso, vedo chiaramente dei mondi strani e, vittima della mia estatica chiaroveggenza, mi trascino dietro dei serpenti che mi mordono le scarpe. È da allora che, come i profeti, teneramente amo il deserto ed il mare; che rido nei lutti e piango nelle feste, trovando un gusto soave nel vino più amaro; che, spesso, prendo i fatti per finzioni e, gli occhi al cielo, finisco nelle buche. Ma la Voce, per consolarmi mi dice: «Tienti i tuoi sogni; i saggi non ne hanno di più belli che i pazzi.»
17 • L'IMPREVEDUTO (Torna all'indice)
Arpagnone, che vegliava il padre agonizzante, dice fra sé e sé, meditabondo, davanti alle labbra già bianche: «Mi sembra che in solaio abbiamo un numero sufficiente di vecchie assi.»
Celimene geme e dice: «Buona sono, di cuore e, naturalmente, Dio mi ha fatto bellissima.» - Il suo cuore? Indurito come un prosciutto cotto e cotto alle fiamme eterne!
Un involuto gazzettiere che si crede un luminare, dice al povero, che ha annegato nelle tenebre: «Dove lo vedi tu questo creatore del Bello, questo Redentore che ricopri di lodi?»
Ancora e meglio, conosco un tipo di gaudente che sbadiglia giorno e notte; e si lamenta, e piange, il fatuo, l'impotente, ripetendo: «Oh, voglio diventare virtuoso, comincerò fra un'ora.»
Da parte sua, l'orologio a voce bassa: «Il dannato è maturo. Ma avverto vanamente questa carne corrotta. L'uomo è cieco, sordo, fragile, come un muro abitato e tarlato da un insetto!»
E poi appare Qualcuno che tutti avevano negato e che si rivolge a loro, fiero e beffardo: «Voi vi siete, io penso, comunicati abbastanza nel mio ciborio, durante la gioiosa Messa nera...
Ognuno di voi mi ha eretto un tempio nel suo cuore; voi avete, di nascosto, baciato la mia natica immonda! Riconoscete Satana dal suo riso vittorioso, enorme e laido come il mondo!
Avete forse, ipocriti sorpresi, potuto credere che ci si possa burlare del padrone, e che con lui si possa barare; e che si possano avere due premi insieme: esser ricchi e salire al cielo?
È necessario che la preda ripaghi il vecchio cacciatore che si annoia nell'attesa della ricompensa. Vi porterò, compagni della mia triste gioia attraverso la crosta
di terra e di roccia, e la massa confusa delle vostre ceneri, in un palazzo grande come me, fatto tutto d'un solo blocco, in una pietra dura:
esso è costruito con l'universale Peccato e contiene il mio orgoglio, il mio dolore e la mia gelosia.» Intanto, un Angelo appollaiato sull'universo celebra la vittoria
di quelli il cui cuore dice: «Benedetta sia la tua frusta, Signore, e benedetto, o Padre, il dolore. Nelle tue mani la mia anima non è un vano trastullo, e la tua Prudenza è infinita.»
Il suono della tromba è così delizioso nelle sere solenni di celesti vendemmie, che s'infiltra come un'estasi in tutti coloro di cui essa va cantando le lodi.
18 • IL RISCATTO (Torna all'indice)
Due campi ha per pagarsi il suo riscatto l'uomo, il tufo profondo e ricco, che con il ferro della ragione egli deve smuovere e dissodare;
per ottenere anche una sola rosa, per strappare qualche spiga, bisogna che li innaffi senza posa con le lagrime salate della sua fronte grigia.
L'uno è l'Arte, l'altro l'Amore. - Per propiziarsi il giudice, quando sarà il giorno della giustizia inflessibile,
bisognerà mostrargli granai colmi di messi e fiori le cui forme e colori guadagnino il suffragio degli Angeli.
19 • A UNA MALABRESE (Torna all'indice)
I tuoi piedi son fini come le tue mani, le tue anche, ampie, da far invidia alle più belle bianche; il tuo corpo è dolce e caro all'artista pensoso; più neri della carne sono i tuoi occhi vellutati. Nei paesi caldi e azzurri dove il tuo Dio t'ha fatta nascere, tutto il tuo lavoro è accendere la pipa del tuo signore, riempire con acqua fresca ed essenze rare i vasi, cacciare dal suo letto le zanzare vaganti e, poi che il mattino fa cantare i platani, comprare al mercato gli ananassi e le banane. Lungo il giorno porti dove vuoi i tuoi piedi nudi, canticchiando sommessamente vecchie arie sconosciute; e, quando scende la sera dal mantello scarlatto, posi dolcemente il corpo su una stuoia, e allora i tuoi vaghi sogni si riempiono di colibrì e si fanno come te, graziosi e fioriti. Perché, felice fanciulla, vuoi vedere la nostra Francia, terra troppo popolosa e sofferente, e ai marinai dalle forti braccia affidando la vita, vuoi dire a lungo addio ai tamarindi che ti sono così cari? A mezzo vestita di mussola leggera, rabbrividente sotto la neve e la grandine, come rimpiangeresti i tuoi ozi liberi e dolci, se un busto brutale imprigionandoti i fianchi, dovessi nel nostro fango rimediare la cena, e vendere il profumo delle tue grazie esotiche, l'occhio assorto inseguendo nelle nostre sporche nebbie i fantasmi sparsi dei tuoi alberi assenti...
SUPPLEMENTO AI FIORI DEL MALE
1 • A THÉODORE DE BAINVILLE 1842 (Torna all'indice)
Tu hai afferrato il crine della Dea con tale impeto che ti si sarebbe preso, al vedere quella tua aria di dominio e quella tua bella noncuranza, per un giovane ruffiano che atterra la sua amante.
L'occhio chiaro e infiammato dalla precocità hai mostrato il tuo orgoglio d'architetto in costruzioni la cui audacia misurata anticipa la tua maturità.
Poeta, il sangue ci sfugge da ogni poro: forse l'abito del Centauro che mutava ogni vena in funebre ruscello
era tinto tre volte nelle bave sottili di quei vendicativi e mostruosi rettili che Ercole infante strangolava nella culla?
2 • LA PIPA DELLA PACE (Torna all'indice)
Imitazione da Longfellow
_I
Ora Gitche Manito, Signore della Vita, il Possente, discese la verde prateria, l'immensa prateria dai poggi montagnosi, e là, sulle rocce della Cava Rossa, dominando lo spazio, bagnato di luce, si ergeva diritto, in piedi, grande e maestoso.
Così, convocò le genti senza fine, più numerose delle erbe e delle sabbie. E con la terribile mano spezzò un pezzo di roccia e ne ricavò una pipa superba: poi, in riva al ruscello, in un fascio enorme di canne ne scelse una lunga per farsene un cannello.
Per empirla cavò da un salice la scorza; e lui, l'Onnipossente, il Creatore della Forza, ritto in piedi, accese, come fosse un divino fanale, la Pipa della Pace. Alto sulla Cava, fumava, eretto, superbo e intriso di luce. Era per tutte le genti il segnale supremo.
Lentamente saliva quel fumo divino nell'aria mattutina, odoroso, ondeggiante. Fu, dapprima, nient'altro che una tenebrosa striscia; poi il vapore s'azzurrò e ispessì, e sbiancò: e salendo e ingrandendo incessantemente andò a spezzarsi al duro soffitto del cielo.
Dalle più lontane cime delle Montagne Rocciose, dai laghi del Nord di onde rumoreggianti, da Tawasentha, valle impareggiabile, sino a Tuscoloosa, profumata foresta, videro tutti il segnale, il fumo alzarsi immenso e quieto nel mattino vermiglio.
Dicevano i Profeti: «Vedete la striscia di vapore che, simile a mano imperante, oscilla e in nero si distacca tremando contro il sole? È Gitche Manito, Signore della Vita, che dice ai quattro cantoni della prateria immensa: «Vi chiamo tutti, guerrieri, al mio consiglio.»
Per vie d'acqua, per strade di pianura, dai quattro angoli da cui soffiano i venti, tutti i guerrieri, di ciascuna tribù, tutti, accolto il segno della mobile nube, vennero docili alla Cava Purpurea ove Gitche Manito gli fissava l'incontro.
I guerrieri stavano nella verde prateria, in assetto e cipiglio di guerra, maculati come fogliame d'autunno; e l'odio, che porta a combattere gli uomini, l'odio che ardeva un tempo gli occhi dei loro padri, incendiava ancora le loro pupille d'un fuoco fatale.
I loro occhi erano pieni d'un odio ereditario. Or Gitche Manito, Signore della Terra, li guardava con pietà, così come un buon padre, nemico del disordine, che vede i figli combattersi e mordersi. Tale Gitche Manito per tutti quei popoli.
Steso egli su di essi, la sua destra possente per soggiogare il loro cuore e la loro angusta natura, per smorzare la loro febbre all'ombra della sua mano; poi disse loro, con la voce maestosa, simile a quella d'un'acqua tumultuante, che cadendo manda un suono mostruoso, sovrumano!
_II
«O mia posterità, deplorevole e amata! O figli miei, ascoltate la divina ragione. È Gitche manito, Signore della Vita, che parla, colui che portò nella vostra patria l'orso, il castoro, la renna ed il bisonte.
Io vi ho reso caccia e pesca agevoli; perché mai, però, il cacciatore si fa assassino? Fui io a rendere la palude ricca d'uccelli; perché, indocili figli, non v'accontentate? Perché l'uomo dà la caccia al vicino?
Sono stanco, stanco delle vostre orribili guerre. Le vostre preghiere, persino i vostri giuramenti non sono che misfatti. C'è un pericolo in voi: sta nei vostri umori opposti, mentre nell'unione sta la vostra forza. Fraternamente dunque vivete in pace fra di voi.
Riceverete presto, dalla mia mano, un Profeta, che verrà ad istruirvi e a soffrire con voi. La sua parola farà della vita una festa; ma se disprezzerete la sua perfetta saggezza, sarete destinati, poveri figli reprobi, ad essere distrutti.
Cancellate nei flutti i colori delittuosi. Sono fitte le canne e la roccia dura: ognuno può cavarne la sua pipa. Ma, più guerre né sangue. Vivete ormai da fratelli e uniti fumate la Pipa della Pace!»
_III
D'improvviso, gettate le armi a terra, lavano nel ruscello i colori di guerra che lucevano sulle loro fronti crudeli e trionfanti.
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