Più che studiato, Andrea aveva letto: Nietzsche, Bourget, Shelley, Sant'Agostino, Orazio, un miscuglio di autori terribili e di poeti soavi, le cui dottrine gli fer-mentavano nella mente come i semi nella terra, quando sta per giungere la primavera.
Da qualche mese egli vivacchiava dando lezioni di italiano e di... mandolino, e menava una vita ritirata e triste.
Perché si era presentato invano al concorso per una borsa di studio, e perché due giornali avevano rifiutato un suo articolo, gli pareva che tutti i suoi sogni fossero caduti.
Non soffriva per la miseria, ricordando la sua infanzia povera, ma si sentiva improvvisamente piccolo, umile, smarrito nel tumulto della grande città.
Un tempo gli era parso di essere un giovine d'ingegno: aveva cominciato a scrivere un romanzo; aveva fatto molti versi, aveva sognato la fortuna: ora più nulla. S'avviliva, si rimpiccioliva, passava rasente ai muri perché non gli si vedessero le scarpe sdrucite, ma non provava rancore né vergogna. In fondo sperava che suo padre (oramai sapeva che zio Larentu era suo padre) si rabbonisse e continuasse a sovvenirlo; ma non voleva umiliarsi per il primo.
Fu in quel tempo — era ai primi d'inverno — che lesse, tradotto in italiano, Delitto e castigo di Dostojewsky. Cominciò a leggere il terribile romanzo una domenica, una sera tiepida ma annuvolata, nebbiosa e triste.
Fin dalle prime pagine, provò una impressione profonda; gli parve di rico-noscersi in Raskolnikoff. Anch'egli miserabile, vicino a perdere le sue poche lezioni per indecenza di vesti e di scarpe.
Gli sembrò si rassomigliassero anche fisicamente: anch'egli alto, con linea-menti fini, e limpidi occhi castanei: e subito sentì una grande simpatia, una pietà accorata, per l'immortale studente russo. Ma a poco a poco questa impressione dileguò non rimase in Andrea che la potente suggestione del terribile racconto. Per due ore egli lesse, visse nel libro con l'anima sospesa angosciosamente.
Ogni parola gli si ripercoteva nel cuore, come una voce in luogo deserto, destandovi echi profondi. Solo allorché cominciò a mancargli la luce grigia del crepuscolo melanconico egli lasciò il volume, si alzò, si scosse. Gli sembrò di ritornare da un mondo lontano, nel quale si dolorasse e si vivesse con terribile potenza: la realtà della sua vita gli apparve in tutta la sua meschinità desolata, ed egli si sentì ancor più piccolo del solito; un piccolo, un meschino essere senza passioni né sogni.
Per qualche momento s'aggirò attorno alla sua cameretta ordinata e pulita, dove le cornici di alcuni graziosi quadretti, e il mandolino capovolto sopra un quaderno di musica, splendevano tenuemente all'ultimo barlume del crepuscolo.
E pensò alla cameretta di Raskolnikoff; quel buco stretto, polveroso, soffocante, che tanta influenza aveva avuto sul destino dello studente assassino, e si domandò se anche nella sua incolore esistenza non influisse la suggestione della sua cameretta borghesemente pulita e comoda.
Accese il lume, ripigliò la lettura e ritornò in quel mondo lontano, nel quale si viveva con terribile potenza di sentimenti. Ad ogni svolger di pagina gli pareva di provare le angoscie, le ansie, i tragici sogni di Raskolnikoff.
Per lunghe ore visse quella strana vita di riflesso, e dimenticò la realtà. Udiva appena un rumore monotono, continuo, cupo, e solo quando gli mancò il lume, e dovette lasciare il libro, si accorse che pioveva dirottamente. Si coricò, ma appena fu al buio, fra quel fragore melanconico di pioggia dirotta, sentì un gran freddo, e di nuovo fu colto da una cupa tristezza, dalla desola-zione della sua vita meschina. Ripensando alla rassomiglianza che aveva creduto scorgere tra lui e lo studente russo, sorrise con amarezza; no, egli era infinitamente piccolo davanti a quel miserabile eroe. E si fece una domanda strana.
— Sarei capace io di un delitto? — No, — si rispose tosto: ma pensò: —
non per onestà, ma per debolezza, per viltà...
Non seppe perché, una figura odiosa passò nella sua mente confusa, come un fantasma fra la nebbia: zia Coanna, la vecchia serva dello stazzo.
Ma fu un momento: l'impressione del romanzo lo riprese tutto: ricordando il brivido che provava quando doveva interromper la lettura per tagliare i fogli del volume, egli si domandò: — Ma perché questo libro mi suggestiona tanto? Impressionerà così tutti i lettori appena intelligenti? O io mi trovo in uno stato speciale, forse anormale, per impressionarmi così?
Gli parve di no.
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