La sua miseria intanto, aumentava. Dovette vender libri, oggetti rimastigli del bel tempo antico, e infine il mandolino.

Le lezioni venivano a mancargli perché egli s'inselvatichiva, fuggiva i compagni, non frequentava l'Università né le poche persone che conosceva.

Fu in quel tempo che gli giunse una strana lettera di sua madre, e che egli ripensò con intensità a Radion Raskolnikoff, al cui destino paragonò ancora il suo.

La lettera, scritta malamente da sua madre, diceva così:

«Amatissimo figlio,

È da un mese e più che tu mi hai scritto una cartolina, e dopo non ho saputo più nulla di te, la qual cosa mi tiene inquieta e pensierosa; penso che tu sii malato o che ti sia capitata altra disgrazia. Ti mando questo vaglia di lire trenta; ti faccio sapere che sono stata ventidue giorni in casa del signor Tedde, ad assistere la moglie che era in parto.

Tra il compenso e le mancie avute il giorno del battesimo, ho messo su quasi quaranta lire; te ne mando trenta, perché le altre dieci occorrono a me.

Il signor Tedde ha avuto un bambino maschio, bellissimo, che ha tanti capelli come non ne avevo visto mai in un bambino appena nato.

Lo abbiamo chiamato Nicola Andrea, e il Tedde, che è allegro come un pesce, ti saluta caramente.

Inoltre ti faccio sapere che è morta Millèna Ibbas, la moglie di Larentu Verre. Poveretta, era molto buona, era innocente come una bambina, e tutti, in paese, hanno pianto per la sua morte. Dicono che in questi ultimi tempi, Larentu Verre, che è sempre ubbriaco, la maltrattasse molto, perché non ha avuto figli. Mi assicurano che Millèna diceva sempre a suo marito: "Giacché vuoi dei figliuoli, perché non riconosci Andrea? Dio ti ha castigato appunto per il tuo peccato". E che egli rispondeva: "Lo riconoscerò quando tu creperai". Io credo però che queste sieno dicerie del paese; ad ogni modo forse è meglio per lei che Millèna sia morta. Larentu Verre sembra tuttavia molto triste: l'ho veduto ieri; indossa il cappotto, col cappuccio calato sul viso, e tiene la barba lunga, in segno di lutto. Ti dirò ora come e perché l'ho veduto. È venuto ieri a casa nostra, sull'imbrunire, e mi ha proposto di andar serva nello stazzo, perché zia Coanna è molto vecchia e non ha più forze. Io non gli nascosi la mia meraviglia e gli dissi che zia Coanna mi avrebbe mangiata viva. Egli allora mi disse: zia Coanna starà al suo posto. Allora io replicai: no, sarebbe uno scandalo se io venissi ad abitare allo stazzo: la gente è maligna e mormore-rebbe. Egli rispose: lascia che la gente mormori; del resto l'acqua non mancherà al molino.

Con queste parole egli voleva dire che avrebbe finito con lo sposarmi.

Allora io gli dissi che avrei scritto a te per sapere il tuo parere.

Egli, alquanto arrabbiato, disse: sta a vedere che quel morto di fame faccia lo schifiltoso!

Io lo pregai di lasciarmi prima pensar bene ai casi miei; e questa mattina mi informai bene da Anna Ibbas, la cugina di Millèna, che frequenta lo stazzo. Le chiesi: per l'anima della povera morta, informami bene che intenzioni ha verso di me Larentu Verre.

Anna mi confidò che Larentu Verre aveva buone intenzioni, e che egli aveva espresso a zia Coanna il desiderio di sposarmi, perché nello stazzo occorre una padrona.

Quella serpe di zia Coanna, mi disse Anna Ibbas, ha protestato ed ha gri-dato: "Sei pazzo! Non occorre sposarla, quella donna! Proponile di venir qui al tuo servizio, ché non le sembrerà neanche vero!".

Può darsi che tutto questo sia falso, ma Anna Ibbas è una donna divota, rassomiglia alla morta, e la credo sincera; quindi ho quasi deciso di non ac-cettare la proposta di Larentu Verre. Però desidero prima sapere cosa tu ne pensi.