E pensano a ricostruire gratuitamente le loro case quando vanno in rovina. Per questo è un paese benedetto da Dio! In un secolo filato nemmeno un omicidio!».
Nei villaggi più avidi di guadagno e di raccolto diceva:
«Guardate quelli di Embun! Se un padre invalido, al tempo del raccolto, ha i suoi figlioli sotto le armi e le figliole a servizio in città, il curato lo raccomanda dal pulpito e la domenica, dopo la messa, tutti gli abitanti del paese, gli uomini, le donne e i fanciulli, vanno a mietere nel campo del disgraziato e trasportano la paglia e il grano nel granaio».
E alle famiglie divise per questioni di interesse e di eredità diceva: «Guardate i montanari di Devolny! Un paese tanto selvaggio che il canto dell'usignolo si sente solo ogni cinquant'anni. Eppure quando in una famiglia muore il padre, i figli maschi vanno via in cerca di fortuna e lasciano la proprietà alle femmine perché trovino marito».
Nei paesi, invece, dove c'è una passione per le cause e i contadini spendono tutto in carta bollata diceva:
«Prendete esempio dai buoni valligiani di Queyras! Son tremila anime, Dio santo, ma sembra una piccola repubblica. Mai visti il giudice né l'usciere. Il sindaco fa tutto: distribuisce le imposte, tassa ciascuno secondo coscienza, compone le liti gratuitamente, divide i patrimoni senza chiedere per sé alcun compenso, emette sentenze senza pretendere nulla e tutti gli obbediscono, perché è un uomo giusto fra persone semplici».
Così, nei paesi dove non c'era ancora il maestro di scuola, egli portava ancora ad esempio gli abitanti di Queyras:
«Sapete come fanno?», diceva. «Poiché un paese piccolo, dodici, quindici famiglie, non può sempre permettersi di mantenere un maestro, hanno maestri pagati da tutta la vallata: maestri che vanno di paese in paese, trattenendosi otto giorni qui, dieci giorni là; e insegnano. Perfino alle fiere li ho visti. Si riconoscono dalle penne da scrivere che portano infilate nel nastro del cappello. Quelli che insegnano a leggere soltanto, ne hanno una sola, quelli che insegnano a leggere, a far di conto, due, quelli invece che insegnano a leggere, a far di conto e il latino, ne hanno tre. Questi, poi, sono dei veri sapienti. Ma che vergogna vivere nell'ignoranza! Fate come i valligiani di Queyras!».
Così parlava, grave e paterno, improvvisando parabole quando si trovava a corto di esempi, mirando dritto allo scopo, con poche frasi e molte immagini, che era poi l'eloquenza di Gesù Cristo, convinto e persuasivo.
IV • LE OPERE PARI ALLE PAROLE (torna all'indice)
La sua conversazione era affabile e gaia. Si metteva al livello delle due anziane donne che gli vivevano accanto. Se rideva, il suo riso era quello di uno scolaro.
La signora Magloire aveva l'abitudine di chiamarlo Vostra Altezza. Un giorno egli si alzò dalla poltrona e andò a prendere un libro nella sua biblioteca. Il libro si trovava su uno degli scaffali più alti. E poiché il vescovo era di statura piuttosto bassa, non riusciva a raggiungerlo. «Signora Magloire», disse, «portatemi una seggiola. La mia Altezza non arriva fino a quello scaffale».
Una sua lontana parente, la contessa di Lo, si lasciava di rado sfuggire l'occasione di elencargli quelle che ella chiamava «le speranze» dei suoi tre figli. Aveva molti parenti attempati e prossimi alla morte dei quali i suoi figli dovevano essere gli eredi. Così il più giovane dei tre avrebbe intascato da una prozia ben centomila franchi di rendita; il secondo sarebbe subentrato nel titolo di duca allo zio; il primogenito, poi, sarebbe succeduto a suo nonno nella dignità di pari. Il vescovo, di solito, stava ad ascoltare in silenzio queste innocenti e perdonabili millanterie materne. Ma una volta che sembrava essere più assorto del consueto, la signora di Lo, che andava appunto facendo per l'ennesima volta l'elenco di tutte quelle eredità e di tutte quelle «speranze», si interruppe e, con un po' d'impazienza:
«Mio Dio, cugino! Ma a che pensate dunque?».
«Penso», rispose il vescovo, «a qualche cosa di singolare che si legge in sant'Agostino: "Riponete la vostra speranza in Colui al quale non dovete succedere"».
Un'altra volta, leggendo il necrologio di un gentiluomo del paese, nel quale si faceva sfoggio, per tutta una pagina, oltre alle benemerenze del defunto, di tutti i titoli feudali e nobiliari dei parenti, esclamò:
«Che buone spalle ha la morte! Guardate che bella soma di titoli le fanno allegramente portare! Bisogna proprio che gli uomini abbiano molto spirito per mettere così la tomba al servizio della loro vanità!».
Aveva, all'occasione, un modo dolce di fare dell'ironia, che quasi sempre però racchiudeva un senso serio. Durante una quaresima, un giovane vicario venne a predicare nella cattedrale di D. Fu abbastanza eloquente. Il soggetto della sua predica fu la carità. Invitò i ricchi ad aiutare i bisognosi in modo da risparmiarsi le pene dell'inferno che dipinse coi più tetri colori, e a guadagnarsi così il paradiso che descrive come desiderabile e incantevole. C'era, nell'uditorio, anche un ricco mercante a riposo, un poco usuraio, il signor Géborand, che aveva accumulato due milioni fabbricando panno pesante, saglia, e fez. In vita sua, Géborand, non aveva mai fatto l'elemosina a un povero. Dal giorno della predica, tutti avevano notato invece che alla domenica non mancava mai di dare un soldo alle vecchie mendicanti sulla porta della cattedrale. Erano in sei a disputarsi questo soldo.
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