Un giorno il vescovo lo colse appunto nell'atto di fare la carità e disse a sua sorella sorridendo:
«Ecco Géborand che si compra un soldo di paradiso».
Quando si trattava di carità non disarmava neanche di fronte a un rifiuto, trovando parole che facevano riflettere. Una volta, in un salotto della città, andava facendo la questua per i poveri. Vi si trovava, tra gli altri, un certo marchese di Champtercier, vecchio, ricco e avaro, il quale riusciva a essere insieme, ce n'erano molti di questa razza, ultra-realista e ultra-volterriano. Arrivato vicino a lui, il vescovo gli toccò il braccio:
«Signor marchese, bisogna che mi diate qualcosa anche voi». Il marchese si voltò e rispose asciutto:
«Ho i miei poveri, monsignore».
«Datemeli», ribatté il vescovo.
Un giorno, nella cattedrale, fece questa predica:
«Fratelli carissimi, miei buoni amici, vi sono in Francia un milione e trecentoventimila case di contadini che hanno solo tre aperture, unmilioneottocentomiladiciassette che ne hanno due, una porta e una finestra, e, per ultimo, trecentoquarantaseimila stamberghe che ne hanno solo una, la porta. E questo per via di una cosa che chiamano imposta sulle porte e sulle finestre... Mettete delle povere famiglie, delle vecchie, dei bambini, in quelle abitazioni, e vedrete che febbri! Che malattie! Via! Dio dona l'aria agli uomini, la legge gliela vende. Io non accuso la legge, ma benedico Iddio. Nell'Isère, nel Var, nelle due Alpi, le Alte e le Basse, i contadini non hanno nemmeno carriole e trasportano il letame sulla schiena; non hanno candele e bruciano legni resinosi e pezzi di corda inzuppati nella ragia. Fanno il pane per sei mesi e lo cuociono con lo sterco bovino secco. D'inverno rompono il pane a colpi di scure e lo rammolliscono lasciandolo nell'acqua ventiquattro ore per poterlo mangiare. Fratelli miei, abbiate pietà! Vedete come si soffre intorno a voi...».
Nativo della Provenza, aveva con facilità imparato tutti i dialetti del Mezzogiorno. Diceva:
«Eh bé? moussu, sès sagé?», come nella bassa Linguadoca. «Onté anaras passa?», come nelle basse Alpi. «Puerte un bouen moutou embe un bouen froumage grase», come nell'alto Delfinato. E questo piaceva molto al popolo e aveva contribuito non poco ad aprirgli i cuori di tutti. Nella capanna e sulla montagna era come a casa sua. Sapeva dire le cose più nobili negli idiomi più volgari. Parlando tutte le lingue entrava in tutte le anime.
Del resto, con le persone della buona società si comportava come con i popolani. Non condannava mai nulla affrettatamente, senza tener conto della circostanza. Diceva: «Vediamo per quale via è passata la colpa».
Essendo un ex-peccatore, come amava qualificarsi sorridendo, non aveva quegli scatti d'indignazione propri del rigorismo, e professava apertamente, tra un aggrottarsi di sopracciglia dei virtuosi feroci, una dottrina che si potrebbe riassumere press'a poco così:
«L'uomo ha sopra di sé la carne che è insieme il suo fardello e la sua tentazione. Egli se la trascina dietro e insieme le cede.
«Deve sorvegliarla, contenerla, reprimerla, non obbedirle se non in casi estremi. In quest'obbedienza ci può essere ancora della colpa; ma la colpa commessa in queste condizioni è veniale. È una caduta, ma una caduta in ginocchio che può finire in preghiera.
«Essere santi è un'eccezione: essere giusti è la regola. Errate, mancate, peccate, ma siate giusti.
«Peccare il meno possibile è la legge dell'uomo. Non peccare del tutto è il sogno dell'angelo. Tutto ciò che è terrestre è sottomesso al peccato. Il peccato è una gravitazione».
Quando la gente gridava forte e s'indignava per un nonnulla, diceva:
«Oh! Questo mi ha tutta l'aria di un delitto che tutti commettono. Ecco che le ipocrisie spaventate s'affrettano a protestare e a mettersi al riparo».
Era indulgente con le donne e con i poveri sui quali grava il peso della società umana. Diceva: «Le colpe delle donne, dei fanciulli, dei servi, dei deboli, degli indigenti, degli ignoranti, sono le colpe dei mariti, dei padri, dei padroni, dei forti, dei ricchi e dei sapienti».
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