E diceva anche: «A quelli che non sanno insegnate più cose che potete; la società è colpevole di non impartire l'istruzione gratuita, è responsabile della tenebra che produce. Quell'anima è piena d'ombra, ed ecco che commette il peccato. Il colpevole non è colui che commette il peccato, ma colui che ha fatto l'ombra».
Come si vede aveva un suo modo strano di giudicare le cose. Ho il sospetto che l'avesse preso dal Vangelo.
Un giorno sentì parlare in un salotto di un processo penale in fase di istruzione che sarebbe stato presto discusso. Un poveretto, per amore di una donna e del fanciullo che da lei aveva avuto, senza mezzi, si era messo a battere monete false. Il falso monetario, allora, era punito con la pena di morte. La donna era stata arrestata mentre cercava di spacciare la prima moneta falsa fabbricata dall'uomo. Avevano preso lei; avevano le prove soltanto contro di lei. Lei sola poteva accusare il suo amante e perderlo confessando tutto. Negò. Insistettero. S'ostinò a negare. Il procuratore del Re allora ebbe un'idea. Immaginò un'infedeltà dell'amante e riuscì, con frammenti di lettere abilmente montati, a convincere la poveretta che aveva una rivale e che quell'uomo la ingannava. Solo allora, esasperata dalla gelosia, ella aveva denunciato l'amante, confessato tutto, fornito tutte le prove. L'uomo era perduto. Stava per essere processato ad Aix con la sua complice. Si raccontava il fatto e tutti si compiacevano dell'abilità del magistrato. Puntando sulla gelosia era riuscito a far scaturire la verità dalla collera e venir fuori la giustizia dalla vendetta. Il vescovo ascoltava in silenzio. Alla fine chiese:
«Dove saranno giudicati quest'uomo e questa donna?».
«Alla corte d'assise».
E poi: «Dove si processerà quel procuratore del Re?».
Accadde a D. un fatto tragico.
Un uomo fu condannato a morte per omicidio. Era un disgraziato non molto istruito, ma neanche ignorante, che aveva fatto il giocoliere nelle fiere e lo scrivano pubblico. Il processo impressionò molto la città. Alla vigilia del giorno fissato per l'esecuzione del condannato, il cappellano della prigione s'ammalò. Ci voleva un prete per confortare gli ultimi momenti del condannato. S'andò a cercare il parroco. Sembra che questi rifiutasse dicendo: «Non è cosa che mi riguardi. Non ho niente a che vedere con questa grana e con quel giocoliere; anch'io sono ammalato. Non è comunque quello il mio posto».
Questa risposta fu riferita al vescovo il quale disse:
«Il signor curato ha ragione.
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