Quello non è il suo posto, è il mio».
E si recò subito alla prigione, discese nella segreta del «saltimbanco», lo chiamò per nome, lo prese per mano; gli parlò. Passò tutta la giornata con lui dimenticando il pranzo, il letto, pregando Dio per l'anima del condannato e il condannato per la propria. Gli disse le più grandi verità, che sono le più semplici. Gli fu padre, fratello, amico: vescovo soltanto per benedirlo. Gli insegnò tutto rassicurandolo e consolandolo. Quell'uomo sarebbe morto disperato. La morte era per lui un abisso. Ritto, fremente su quella soglia lugubre, indietreggiava con orrore. Non era abbastanza ignorante per essere assolutamente indifferente. La sua condanna, una scossa profonda per lui, aveva rotto qua e là quel diaframma che ci separa dal mistero delle cose che chiamiamo vita. Da quelle brecce fatali egli continuava a guardar fuori da questo mondo e non vedeva che tenebre. Il vescovo gli mostrò una luce.
Il giorno dopo, quando andarono a prendere quell'infelice, il vescovo era là. Lo seguì, mostrandosi agli occhi della folla con la mantellina viola, la croce episcopale al collo, fianco a fianco con quel poveretto legato con le corde. Salì con lui sulla carretta, con lui salì al patibolo. Il condannato, triste e accasciato il giorno prima, era raggiante. Sentiva la propria anima riconciliata e sperava in Dio. Il vescovo l'abbracciò e nel momento in cui stava per calare la lama gli disse:
«Dio resuscita colui che l'uomo uccide; colui che i suoi fratelli scacciano ritrova il padre. Pregate, credete, entrate nella vita! Là è il Padre...».
Quando discese dal palco aveva qualcosa nello sguardo che costringeva il popolo a farsi da parte. Non si sapeva se colpisse più il suo pallore o la sua serenità. Rientrando nell'umile sua dimora che chiamava sorridendo il suo palazzo, disse alla sorella:
«Torno dalla cerimonia pontificale».
Siccome le cose sublimi sono anche spesso le meno comprese, vi fu qualcuno in città che, commentando la condotta del vescovo, disse: È un'affettazione. Ma non fu che una malignità da salotto. Il popolo, che non trova malizia nelle azioni sante, ne fu commosso e l'ammirò.
Quanto al vescovo, l'aver visto la ghigliottina fu un vero colpo e ci volle molto tempo prima che egli si riavesse. Si può considerare con indifferenza la pena di morte, si può non pronunciarsi, dire di sì e di no, finché non si è vista con i propri occhi una ghigliottina; ma quando se ne vede una, la scossa è violenta e bisogna decidersi a prender partito pro o contro. Alcuni ammirano, come il De Maistre, altri esecrano come il Beccaria. La ghigliottina è il concretizzarsi della legge; essa si chiama punizione, non è neutra e non vi permette di rimaner neutrali. Chi la scorge freme del più misterioso dei fremiti. Tutte le questioni sociali drizzano attorno alla mannaia i loro punti interrogativi. Il patibolo non è visione. Il patibolo non è un'impalcatura, non è una macchina, non è un meccanismo inerte fatto di legno, di ferro e di corde. Sembra che sia, in qualche modo, un essere dotato di chissà quali cupe iniziative.
1 comment