Al passaggio delle due vecchie signore le giovanette tremavano e abbassavano gli occhi.
Anche monsignor de Rohan era diventato, a sua insaputa, oggetto di attenzione da parte dell'educandato. A quell'epoca, in attesa del vescovado, era stato fatto gran vicario dell'arcivescovo di Parigi ed era sua abitudine venire abbastanza spesso a cantare nelle funzioni delle monache del Petit-Picpus. Nessuna delle giovani recluse poteva vederlo per colpa della tenda di saia, ma aveva una voce dolce, un po' esile, che ormai tutte riconoscevano e distinguevano. Era stato moschettiere, e poi si diceva che fosse assai piacente, pettinato molto bene con dei bei capelli castani sistemati a ricciolo intorno alla testa, che aveva un'altissima magnifica cintura di moire e una sottana di taglio estremamente elegante. Insomma, teneva molto occupate tutte quelle immaginazioni di sedici anni.
Da fuori non arrivava nel convento nessun rumore. Eppure un anno vi giunse il suono di un flauto. Fu un vero avvenimento e le educande del tempo se ne ricordano ancora.
Qualcuno nelle vicinanze suonava il flauto, un flauto che suonava sempre lo stesso motivo: un motivo oggi quasi dimenticato: O mia Zétulbé, vieni a regnare sulla mia anima, e si sentiva anche due o tre volte durante la giornata. Le ragazze passavano le ore ad ascoltare, le madri vocali erano sconvolte, i cervelli lavoravano, le punizioni fioccavano. Durò vari mesi. Le educande erano tutte più o meno innamorate del musicista sconosciuto. Tutte sognavano di essere Zétulbé. Il suono del flauto proveniva dalla parte di rue Droit-Mur ed esse avrebbero dato ogni cosa, avrebbero tutto compromesso, tentato di tutto per vedere non fosse che per un secondo, per intravedere il «giovanotto» che suonava in modo tanto delizioso il flauto e che, senza saperlo, faceva vibrare le loro anime. Ci furono alcune che, scappando da una porta di servizio, salirono al terzo piano in modo da guardare dalle aperture. Impossibile. Una arrivò perfino, facendo passare il braccio sopra la testa attraverso la griglia, ad agitare un bianco fazzoletto. Due furono ancora più ardite. Trovarono il modo di arrampicarsi sul tetto, e di arrischiarvisi, giungendo finalmente a vedere il «giovanotto». Si trattava di un vecchio signore emigrato, cieco e rovinato, che suonava il flauto nella sua soffitta per ingannare la noia.
VI • IL CONVENTO PICCOLO (torna all'indice)
C'erano, nel recinto del Petit-Picpus, tre edifici ben distinti, il Convento Grande, abitato dalle monache, il Pensionato, dove stavano le educande, e infine quello che veniva chiamato il Convento Piccolo. Era un gruppo di abitazioni con giardino dove abitavano insieme ogni sorta di vecchie suore di vari ordini, rimasugli di chiostri distrutti dalla rivoluzione; riunione di tutte le sfumature, nere, grigie e bianche; di tutte le comunità e di tutte le varietà possibili; si sarebbe potuto chiamarlo, se un simile accostamento di parole fosse permesso, una specie di convento arlecchino.
Fin dai tempi dell'impero era stato permesso a tutte quelle povere figliole disperse e spaesate di rifugiarsi sotto le ali delle bernardine-benedettine. Il governo pagava loro una piccola pensione; le dame del Petit-Picpus le avevano accolte con grande sollecitudine. Era una confusione strana. Ognuna seguiva la propria regola. A volte alle educande era permesso, come ricreazione speciale, far loro visita: ragion per cui quelle giovani memorie ricordano ancora, tra l'altro, madre santa Basilia, madre santa Scolastica e madre Giacobbe. Una di quelle rifugiate si trovava quasi a casa propria: era una monaca di Sainte-Aure, l'unica sopravvissuta dell'ordine. L'antico convento delle dame di Sainte-Aure occupava infatti, all'inizio del XVIII secolo, proprio la stessa casa del Petit-Picpus in seguito appartenuta alle benedettine di Martin Verga. Quella santa donna, troppo povera per portare lo sfarzoso abito del suo ordine che era una tunica bianca con uno scapolare scarlatto, l'aveva messo addosso a un manichino che mostrava a tutti con compiacimento e che alla sua morte lasciò alla casa. Nel 1824, di quell'ordine restava solo una monaca; ora è rimasta solo una bambola.
Oltre alle degne madri, anche alcune anziane non religiose, come per esempio madame Albertine, avevano ottenuto dalla priora il permesso di ritirarsi nel Convento Piccolo. Madame de Beaufort d'Haut-Poul e la marchesa Dufresne erano tra queste. Un'altra era conosciuta nel convento soltanto per il gran rumore che faceva soffiandosi il naso. Le educande la chiamavano «Signora Fracassona».
Più o meno negli anni 1820-1821 madame de Genlis, che in quel periodo redigeva una piccola rassegna periodica intitolata «L'Intrépide», chiese di entrare come pensionante nel convento del Petit-Picpus.
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