Chi gli aveva dato la chiave? Che cosa significava?

            Alle sette del mattino, quando la vecchia venne a fare le pulizie, Jean Valjean le diede un'occhiata penetrante, ma non la interrogò. La buona donna non era diversa dal solito.

            Scopando, essa gli disse:

            «Il signore ha sentito qualcuno che entrava stanotte?».

            A quell'età, e in quel viale, le otto di sera sono la notte più nera.

            «Ah, giusto, è vero», egli rispose con l'accento più naturale. «Chi era?».

            «È un nuovo inquilino», disse la vecchia, «che è venuto a stare qui».

            «E come si chiama?».

            «Non so bene. Dumont o Daumont. Un nome così».

            «E che cosa fa, questo signor Dumont?».

            La vecchia lo guardò con i suoi occhietti da faina e rispose:

            «Vive di rendita, come voi».

            Forse ella non aveva alcuna intenzione riposta. Jean Valjean credette di indovinarne una.

            Quando la vecchia fu uscita, fece un rotolo con un centinaio di franchi che erano in un armadio e lo mise in tasca. Per quante precauzioni adottasse in quell'operazione affinché non lo si sentisse maneggiare denaro, una moneta da cento soldi gli sfuggì di mano e rotolò fragorosamente sul pavimento.

            All'imbrunire scese e guardò con attenzione sul viale, da ogni lato. Non vide nessuno. Il viale sembrava assolutamente deserto. È vero che ci si può nascondere dietro gli alberi.

            Risalì.

            «Vieni», disse a Cosette.

            La prese per mano e uscirono entrambi.

 

LIBRO QUINTO • A CACCIA OSCURA, MUTA SILENZIOSA

 

 

I • GLI ZIGZAG DELLA STRATEGIA    (torna all'indice)

 

            Qui, per le pagine che si leggeranno e per altre che incontreremo più tardi, è necessaria un'osservazione.

            Sono già molti anni che l'autore di questo libro, costretto, suo malgrado, a parlare di sé, è assente da Parigi. Da quando l'ha lasciata, Parigi si è trasformata. È sorta una città nuova che gli è in qualche modo ignota. Non ha bisogno di dire che ama Parigi; Parigi è la città natale della sua mente. In seguito a demolizioni e ricostruzioni, la Parigi della sua gioventù, quella Parigi che egli ha religiosamente portato con sé nella memoria, è oggi una Parigi scomparsa. Gli sia permesso di parlare di quella Parigi come se essa esistesse ancora. È possibile che laddove l'autore va conducendo il lettore, dicendogli: «nella tal via c'è la tal casa», non ci siano più oggi né la casa né la via. I lettori verificheranno, se vogliono darsene la pena. Quanto all'autore, egli ignora la Parigi novella, e scrive con la Parigi antica davanti agli occhi in un'illusione che gli è preziosa. È una dolcezza per lui sognare che rimanga dietro di lui qualcosa di ciò che vedeva quand'era nel suo paese, e che non tutto sia svanito. Fintanto che si va e si viene nel paese natale, ci si immagina che quelle strade ci sono indifferenti, che quelle finestre, quei tetti e quelle porte non ci fanno nulla, che quei muri ci sono estranei, che quegli alberi sono alberi qualunque, che quelle case in cui non si entra ci sono inutili, che quei pavé su cui si cammina non sono che pietre. Più tardi, quando non si è più lì, ci si accorge che quelle strade ci sono care, che quei tetti, quelle finestre e quelle porte ci mancano, che quei muri ci sono necessari, che quegli alberi sono i nostri beniamini, che in quelle case in cui non si entrava c'era gente che entrava ogni giorno, e che abbiamo lasciato le nostre viscere, il nostro sangue e il nostro cuore in quel pavé. Tutti quei luoghi che non si vedono più, che non si rivedranno mai forse, e di cui abbiamo serbato l'immagine, assumono un fascino doloroso, ritornano a noi con la malinconia d'una apparizione, ci rendono la terra santa visibile, e sono, per così dire, la forma stessa della Francia; e li amiamo e li evochiamo come sono, com'erano, e ci ostiniamo, e non vogliamo cambiare nulla, perché teniamo alla figura della patria come al viso di nostra madre.

            Ci sia dunque permesso di parlare del passato al presente. Detto questo, preghiamo il lettore di prenderne nota, e continuiamo.

            Jean Valjean aveva subito lasciato il viale e si era immerso nelle stradine, compiendo più giravolte che poteva, tornando ogni tanto sui suoi passi per assicurarsi di non essere seguito.

            Questa manovra è tipica del cervo braccato. Sui terreni su cui possono imprimersi le tracce, questa manovra, tra gli altri vantaggi, ha quello di ingannare i cacciatori e i cani per contropiede. È ciò che nell'arte della caccia si chiama falso imboscamento.

            Era una notte di luna piena. Jean Valjean non ne fu infastidito. La luna, ancora vicinissima all'orizzonte, tagliava nelle strade grandi falde d'ombra e di luce. Jean Valjean poteva scivolare lungo le case e i muri dal lato buio, e osservare il lato chiaro. Non rifletteva forse abbastanza che il lato buio gli sfuggiva. Pertanto, in tutte le viuzze deserte che contornano rue de Poliveau, credette di essere certo che nessuno gli veniva dietro.

            Cosette camminava senza far domande.