Sul berretto s’era cucita una veronica. E teneva davanti in grembo una bisaccia piena zeppa d’indulgenze, giunte calde calde da Roma. La sua voce era belante come quella d’una capra. Ma barba non ne aveva e non ne avrebbe mai avuta, perché era pulito e liscio come uno appena raso. Credo che fosse un castrone o una cavalla. Ma quanto al suo lavoro, non c’era mercante d’indulgenze pari a lui, neanche a cercarlo da Berwick fino a Ware. (44) Teneva nella sua sacca una federa e sosteneva ch’era il manto della Madonna; diceva anche di avere un brandello della vela di San Pietro quando ancora andava per mare, prima che lo prendesse con sé Gesù Cristo. Aveva una croce d’ottone ornata di sassetti e, dentro un vetro, alcune ossa di porco. Con queste reliquie, appena trovava qualche povero parroco di campagna, faceva in un giorno più soldi lui che il parroco in due mesi. E così, con false lusinghe e trucchi, gabbava parroco e fedeli. Però bisogna dire la verità: in chiesa alla fin fine era un egregio ministro del culto. Al mattutino sapeva leggere magnificamente l’epistola o la leggenda d’un santo, ma meglio d’ogni altra cosa cantava l’offertorio, perché sapeva che dopo quel canto c’era la predica, e bisognava sciogliere bene la lingua per poi spillar quattrini, cosa in cui riusciva perfettamente. Ecco perché cantava allegramente con quanto fiato aveva in gola.

Così in poche parole vi ho fedelmente riferito il ceto, l’equipaggiamento e il numero dei componenti la brigata, ed anche il motivo per cui s’erano adunati a Southwark nell’ottima osteria del ‘Tabarro’, attigua a quella della ‘Campana’. Ma adesso è ora che vi racconti cosa facemmo la sera che arrivammo alla locanda, per poi parlarvi della nostra partenza e di tutto il seguito del nostro viaggio.

Prima però vi prego, per piacere, di non accusarmi di malcreanza se di queste cose vi parlo schietto e se, riferendovi le parole e i gesti di quella gente, ne uso anch’io le stesse espressioni. Voi lo sapete meglio di me: chi vuol raccontare quel che ha sentito da un altro, deve ripetere più da vicino che può ogni parola che lo riguardi, per rozza e sboccata che sia, altrimenti cade per forza nel falso e deve inventare le cose cercando nuove parole. Si trattasse anche di suo fratello, non deve mai tirarsi indietro: bisogna che dica le parole proprio come sono. Cristo stesso nel vangelo parla schietto, ma non mi direte che si tratta di malcreanza. Anche Platone dice, a chi sappia leggerlo, che le parole devono corrispondere ai fatti.

Vi prego inoltre di perdonarmi se in questo racconto non ho disposto le persone nel giusto ordine, secondo il rango a cui appartengono. Ma sono un po’ corto di mente: ormai dovreste averlo capito.

Il nostro Oste, dunque, fece a tutti grandi accoglienze e, senza perder tempo, ci sistemò per la cena, servendoci le pietanze più squisite; il vino era forte e noi lo bevemmo volentieri. Era proprio affabile con tutti, questo nostro Oste, degno di fare il maggiordomo di palazzo. Era un uomo grande e grosso, con gli occhi sporgenti, il miglior cittadino che esistesse a Cheapside: (45) franco nel parlare, saggio, ben istruito, non mancava certo di virilità, ed era per di più un vero bontempone. Dopo cena cominciò scherzando a parlare di passatempi e fra l’altro, dopo che avevamo sistemati i conti, disse:

«Benvenuti, signori, veramente di cuore! Vi do la mia parola, non vi racconto storie: quest’anno non avevo ancora visto, in questa locanda, una compagnia di gente così simpatica. Se mi riuscisse, vorrei trovare il modo di farvi divertire. Ecco, m’è venuta un’idea che vi potrà piacere e non vi costerà nulla. Voi andate a Canterbury… bene, che Dio vi protegga e il martire benedetto vi faccia la grazia! Immagino che, cavalcando per via, vi racconterete storie e novelle, perché non c’è davvero gusto né piacere a far la strada muti come pietre. Voglio perciò suggerirvi, come dicevo, un modo di passare il tempo piacevolmente.