E’ proprio vero che la vecchiaia ha i suoi vantaggi: con l’età s’acquistano insieme saggezza ed esperienza, e un vecchio potrà esser vinto nella corsa ma non nel buonsenso… Così Saturno, per calmare ogni contesa e ogni timore, per quanto ciò fosse contrario alla sua natura, si mise a cercare un rimedio per tutta questa controversia.

«Mia cara figlia Venere» disse Saturno «il mio corso, che compie un giro così lungo, ha più potere di quanto non si pensi! Sotto il mio influsso la gente annega miseramente in mare, viene rinchiusa sottoterra in prigione, strangolata e appesa per il collo; son opera mia i mormorii e le ribellioni dei contadini, (11) i brontolii e i segreti avvelenamenti; son io che, quando mi trovo nel segno del Leone, vendico e castigo tutti i torti, e mando alla rovina alti castelli, e faccio crollare torri e muraglie su minatori e falegnami! Perfino Sansone ho ucciso sotto il peso della colonna! E son opera mia le fredde malattie, gli oscuri tradimenti e tutte le vecchie congiure; basta il mio sguardo a generare pestilenza… Perciò non piangere: ci penserò io a fare in modo che Palemone, il tuo cavaliere, ottenga la sua donna, come gli hai promesso. Anche se Marte deve aiutare il suo protetto, dovrete pur fare la pace una buona volta: voi due non avete lo stesso carattere, ecco perché oggi vi trovate in lite. Io però sono il tuo avo, e sono pronto al tuo volere: non piangere più ora; vedrai che ogni tuo desiderio verrà appagato.»

Ma lasciamo gli dèi su in cielo, e Marte e Venere dea dell’amore, e passiamo invece al grande evento per il quale in effetti abbiamo cominciato.

EXPLICIT TERCIA PARS.

SEQUITUR PARS QUARTA.

Ci fu gran festa quel giorno in Atene: la bella stagione di maggio rese la gente così allegra, che tutto quel lunedì venne trascorso fra giostre e danze e nel nobile servizio di Venere. Siccome però sarebbe stato necessario alzarsi presto per assistere al torneo, appena fu notte tutti andarono a riposare.

L’indomani, non era ancora neppure giorno che già dappertutto nelle locande si sentiva un gran scalpiccìo e tintinnìo di cavalli e armature, e su destrieri e palafreni diverse schiere di baroni incominciarono ad avviarsi a palazzo. Si vedevano bizzarre e fastose armature d’ogni tipo, tutte lavorate con fregi in oro e in acciaio; scudi scintillanti, testiere e bardature; elmi dorati, usberghi e cotte stemmate; baroni in parato sui loro corsieri, cavalieri del seguito e scudieri che inchiodavano lance e affibbiavano elmetti, mettevano bandoliere agli scudi e allacciavano cinghie (dovunque occorresse qualcosa non restavano davvero in ozio); cavalli che mordicchiavano sbavando le briglie d’oro e svelti armaioli che correvano avanti e indietro con martelli e lime; militi a piedi e popolani armati di bastoni, così accalcati che a stento riuscivano a muoversi; e poi zufoli, trombe, nacchere e chiarine che suonavano come in una sanguinosa battaglia.

Il palazzo era ormai pieno da cima a fondo di gente, tre qui, dieci là, a questionare e a far scommesse su questo o quello dei cavalieri tebani; chi sosteneva che sarebbe andata in un modo e chi in un altro; chi parteggiava per quello dalla barba nera, chi per il calvo e chi per quello dai capelli folti; questi dicevano che il tale era d’aspetto fiero e si sarebbe battuto a fondo, quelli che il talaltro aveva un’ascia d’almeno venti libbre… E

continuarono così a far previsioni per un bel pezzo dopo che il sole era spuntato.

Il grande Teseo, svegliato dalle musiche e dal frastuono, rimase nelle stanze del suo splendido palazzo finché non gli furono condotti, con uguali onori, i due cavalieri tebani. S’affacciò allora a un balcone, vestito che pareva un dio in trono, mentre la gente ammassandosi accorreva per vederlo e rendergli omaggio e ascoltarne gli ordini e le disposizioni. Un araldo da un palco ordinò con un «olà!» di far silenzio e, quando ogni rumore fu cessato, annunziò così la volontà del potente duca:

«Il signor nostro, nella sua alta discrezione, ha pensato che sarebbe un inutile spargimento di nobile sangue battersi in questo torneo come in una mortale battaglia: per impedire quindi che vi siano morti, ha deciso di modificare il suo primo proposito.

Nessuno dunque, pena la vita, potrà scagliare o portare dentro lo stadio frecce, pugnali o stiletti; nessuno potrà estrarre o recare al fianco corte spade aguzze per stoccheggiare; né, alcuno con lancia affilata potrà fare a cavallo più d’una corsa contro il suo avversario: potrà battersi se vorrà, ma a piedi, e soltanto per difendersi. Chi avrà sfortuna verrà preso e non ucciso, ma portato nel recinto appositamente collocato ai due lati, e dovrà rimanere fuori combattimento. Se per caso cadrà prigioniero o rimarrà ucciso il capo d’una delle due parti, il torneo verrà subito sospeso. Dio sia con voi!

Presto, andate, ricordando che soltanto con spade lunghe o mazze potrete battervi… Ai vostri posti ora! Son questi gli ordini del duca.»

Si levò al cielo un gran clamore e tutti esultando gridarono: «Dio salvi il buon duca che non vuole spargimento di sangue!».

Poi, fra suoni di trombe e canti, il corteo s’avviò ordinatamente allo stadio, attraversando la grande città parata non di poveri panni, ma di drappi d’oro. Innanzi, da gran signore, cavalcava il nobile duca con i due tebani ai lati, e dietro venivano la regina ed Emilia, seguite dalla compagnia del tale e del talaltro secondo il grado.

Attraversata dunque la città, essi giunsero per tempo nello stadio; non era ancora trascorso il primo mattino che già tutti erano ai loro posti: Teseo seduto in alto nella sua magnificenza con la regina Ippolita, poi Emilia ed altre dame intorno sulle scalinate, mentre tutto il seguito andava accalcandosi verso il resto dei sedili. Intanto da occidente, attraverso la porta sotto il tempio di Marte, ecco entrare Arcita e i suoi cento cavalieri con lo stendardo rosso; e nello stesso istante ecco Palemone sotto il tempio di Venere, portare baldanzoso l’insegna bianca. Due schiere così perfettamente pari non si sarebbero mai trovate al mondo, neanche a cercare in lungo e in largo; nessuno, per osservatore che fosse, avrebbe mai potuto dire che l’una avesse sull’altra vantaggio di valore, d’età o di rango, tanto erano state accuratamente scelte. E si disposero in due perfette file. Quando ad uno ad uno furono letti tutti i nomi, affinché sul numero non vi fossero dubbi, vennero chiuse le porte e tutti a gran voce gridarono:

«Fate ora il vostro dovere, giovani e prodi cavalieri!».

Ecco, gli araldi smettono di trottare avanti e indietro. Squillano forte trombe e claroni.

Da ponente e da levante ferme s’abbassano le lance in resta, gli speroni pungono: ora si vede chi, giostrando, sa tenersi a cavallo! Cozzano le aste, tremando contro i massicci scudi; qualcuno sente una punta penetrargli nello sterno. Volano spuntoni in alto fino a venti piedi; le spade balzano con bagliori d’argento e scheggiano e spaccano gli elmetti, il sangue sgorga a violenti fiotti rossi e sotto i colpi di poderose mazze le ossa si spezzano. Qualcuno qui si caccia dove più ferve la mischia; là inciampano forti destrieri e tutto precipita, mentre uno vi ruzzola sotto gli zoccoli come una palla; questo combatte a piedi col suo troncone e quello gli si abbatte addosso col suo cavallo, mentre un altro è ferito e preso e trascinato a forza nel recinto, dove, secondo i patti, è costretto a rimanere.