Portava una cintura a strisce, tutta di seta, e sui fianchi un grembiule pieghettato, bianco come il latte fresco del mattino. Anche la sua camicetta era bianca, e tutta ricamata, davanti e dietro e intorno al colletto, di seta nera come il carbone, sia all’interno che all’esterno. Le orlature della sua cuffia bianca erano della stessa foggia del colletto, con un grosso fiocco di seta bello alto. Certo aveva l’occhio vanerello, con due sopracciglia sottili e ben speluzzate, inarcate e nere come una prugnola. A vederla, era più gaia d’un giovane pero in fiore e più morbida della lana d’un agnello. Le pendeva dalla cintura una borsa di cuoio, con tasselli di seta e palline d’ottone che sembravano perle.

Nessuno al mondo, neanche a cercare da tutte le parti, avrebbe mai potuto immaginarsi una pupa così graziosa o una donnina come quella. La sua carnagione era più splendente della moneta uscita fresca fresca dal conio della Torre (7). In quanto a voce, la sua era acuta e armoniosa come quella d’una rondine posata sul granaio. E

inoltre sgambettava e giocava come un capriolo o una manzetta che corre dietro alla madre. Aveva la bocca dolce come il rosolio o il miele, oppure come le mele distese sul fieno o nella paglia. Era bizzosa come una vispa cavallina, lunga come un albero maestro e dritta come un fuso. Portava in basso sul colletto una spilla grossa come la borchia d’uno scudo; le scarpe affibbiate in alto lungo la gamba. Insomma era una mammola, una pupillina, degna di stare nel letto d’un signore e di sposare un ricco possidente.

Ebbene, messeri e signori miei, volle il caso che un giorno il cortese Nicola si mettesse a scherzare e a trastullarsi con questa donnina, mentre il marito si trovava ad Osney. (8) Gli studenti, si sa, son birbe e furbacchioni… Ad un certo punto quello, quatto quatto, l’acchiappò per quella cosa e le disse: «Presto, se non me ne tolgo la voglia, con tutta questa mia passione nascosta, amor mio, io scoppio!». E stringendola forte alle cosce, soggiunse: «Amami subito, amore, altrimenti muoio e che Dio mi salvi!».

Lei spiccò un salto come un puledro chiuso in un recinto e, voltando via velocemente la testa, disse: «Non ti bacerò mai, parola mia!

Basta, smettila… smettila, Nicola, altrimenti griderò e chiamerò aiuto! Via, togli le mani, per cortesia!».

Nicola allora incominciò a chiederle scusa, e le parlò così abilmente e fu così efficace nelle sue proposte, che lei alla fine gli promise il suo amore e gli giurò, per San Tommaso di Kent, (9) che si sarebbe messa a sua disposizione appena avesse trovato il momento buono. «Mio marito è così geloso, che se tu non sai aspettare e te ne fai accorgere, io sono spacciata» disse; «bisogna che tu sia molto prudente in questa faccenda.»

«Non preoccuparti» disse Nicola; «uno studente avrebbe speso piuttosto male il suo tempo, se non riuscisse a darla da intendere a un falegname!»

E si misero dunque d’accordo, ripromettendosi, come vi ho già detto, d’aspettare il momento buono. Avendo così stabilito tutto, Nicola la palpeggiò bene per le anche e dolcemente la baciò, poi prese il suo salterio e attaccò a suonare e a cantare.

Accadeva poi che alla festa questa brava moglie si recasse in parrocchia per le sue pratiche cristiane, con la fronte che le risplendeva chiara come il giorno, tutta lavata dopo il lavoro… Ebbene in quella chiesa c’era un sagrestano che si chiamava Assalonne.

(10) Aveva infatti i capelli ricci che brillavano come l’oro, slargati a forma di grosso ventaglio aperto, con la sua bella riga dritta e precisa; la carnagione rossa, e gli occhi chiari come quelli delle oche. Sulle scarpe portava intagliato il rosone di San Paolo (11) e andava elegantemente a spasso in brache rosse. Era sempre tutto lindo e attillato, con una tunica di color chiaro e una fila bella spessa di occhielli, e sopra, una leggera cotta, bianca come un fiore sul ramo. Che Dio m’abbia in gloria, era un ragazzo sempre allegro! Sapeva inoltre praticar salassi, tagliare i capelli o fare la barba, e compilare un contratto di terreni o una ricevuta. Era capace di ballare alla moda di Oxford in una ventina di maniere, dimenando le gambe per tutti i versi; suonava canzoni col ribechino, accompagnandosi talvolta con una vocetta acuta, e sapeva suonar bene anche la chitarra. Non c’era in tutta la città birreria o bettola dove lui non bazzicasse con piacere, specie se la locandiera era una donna allegra. Ma, a dir proprio la verità, gli facevano un po’ schifo le scoregge, e di parlare non gli andava tanto…

A parte ciò, Assalonne era un tipo vivace e gaio, e alla festa andava con l’incensiere a dar l’incenso alle donne della parrocchia, lanciando a tutte sguardi amorosi, specialmente alla moglie del falegname. Solo a guardarla, la vita gli pareva bella: era così attraente, dolce e appetitosa… vi assicuro che se lei fosse stata un topo e lui un gatto avrebbe fatto presto ad acchiapparla! Così vivo era il desiderio nel suo cuore, che ad un certo punto quest’allegro sacrista, Assalonne insomma, non volle più saperne delle offerte di altre donne e cortesemente disse di no a tutte.