A passi lenti attraversò la strada finché non arrivò da un fabbro che si chiamava mastro Gervasio e che nella sua fucina costruiva arnesi per arare. In quel momento era tutto indaffarato ad affilare vomeri e lame. Assalonne bussò piano e disse: «Aprimi, Gervasio, presto!».
«Perché, chi sei?»
«Sono io, Assalonne!»
«Ma come, Assalonne! Per la santa croce di Cristo, perché mai ti alzi tanto di buon’ora, eh? “Benedicite!” Cos’é che non va? Eh sì, lo sa Dio che qualche donnina allegra ti ha mandato qui di premura! Per San Neot, (17) sai bene quello che voglio dire!»
Ad Assalonne non importava un cavolo di tutte quelle burle e neanche gli rispose.
Aveva molto più filo da torcere di quanto Gervasio credesse, e gli disse: «Mio caro amico, prestami quel ferro rovente che hai lì dentro il fornello: ne ho bisogno un momento e te lo riporto subito».
Gervasio rispose: «Certo, neanche fosse oro o una borsa di soldi ancora da contare…
certo che lo puoi prendere, quant’è vero che faccio il fabbro! Ma, corpo di Cristo, che te ne vuoi fare?».
«Sia come sia» disse Assalonne «quel che me ne faccio, te lo dirò domani!» E, preso il ferro dalla parte ch’era freddo, se la squagliò quatto dalla porta e se ne andò sotto il muro di casa del falegname.
Si mise prima a tossicchiare, e poi bussò alla finestra, come aveva già fatto una volta.
Alison disse: «Chi è che bussa a questo modo? Scommetto che è un ladro!».
«Oh, no!» disse lui «Dio non voglia, mio dolce tesoro, sono io, il tuo Assalonne, mia cara!» E soggiunse: «Ti ho portato un anello d’oro. Che Dio mi salvi, è un dono di mia madre, ed è molto bello, tutto ben lavorato. Se mi dai un bacio, te lo regalo!».
Nicola, che in quel momento s’era alzato per orinare, pensò che l’opera sarebbe stata davvero completa se anche a lui, prima d’andarsene, quello avesse baciato il sedere.
Salì in fretta sulla finestra, e al buio sporse fuori il deretano, dai lombi fin sotto l’osso delle cosce.
Disse in quell’istante il sacrista Assalonne: «Parla, mio dolce uccellino, non so dove sei!».
E Nicola, svelto, gli mollò una gran scoreggia con uno schianto come quello d’un tuono… l’altro per poco non rimase accecato dal rombo, ma pronto, col ferro rovente, colse Nicola proprio in mezzo alle chiappe! Il ferro era ancora così infuocato, che gli portò via quasi una spanna di pelle, ed egli credette di morire dal dolore e, come impazzito, si mise a gridare: «Aiuto! acqua! acqua! aiuto, per amor di Dio!».
Il falegname allora balzò dal sonno e, sentendo che qualcuno urlava «acqua!» come un forsennato, pensò: «Ah, ecco che arriva il diluvio di Noè!». E senza dir altro saltò su, tagliò in due la corda con la scure, e tutto precipitò: non fece davvero in tempo a liberarsi del pane e della birra prima d’arrivare a terra, sul pavimento… e là rimase svenuto.
Alison e Nicola si slanciarono sulla strada gridando: «Aiuto! Accorrete!». E subito tutti i vicini, dal primo all’ultimo, corsero a vedere quell’uomo che giaceva ancora in deliquio, pallido e smorto, perché nella caduta s’era rotto un braccio. Ma il suo male dovette tenerselo: appena cercò di parlare, venne sopraffatto immediatamente dal cortese Nicola e da Alison, i quali dissero a tutti che lui era impazzito e nella sua fantasia s’era talmente fissato col diluvio di Noè, da comprare per scempiaggine tre tinozze, e le aveva appese lassù al soffitto, pregando anche loro due d’andare, per amor di Dio, a sedersi nel solaio per fargli compagnia! Tutti si misero a ridere di quella sua fantastica idea, e guardarono e contemplarono il soffitto, prendendo tutto il suo male in burla.
Anche più tardi ebbe un bel dire quel falegname: nessuno volle mai sentire le sue ragioni; tanto si scalmanò intorno a bestemmiare, che alla fine tutta la città lo credette davvero pazzo. Gli studenti poi, facendo lega l’uno con l’altro, andavano in giro a dire:
«Quello lì, mio caro fratello, è matto!». E tutti si mettevano a ridere di quel baccano.
Così, pur con tutte le sue precauzioni e la sua gelosia, il falegname ebbe la moglie disonorata, a lei Assalonne baciò l’occhio di dietro, e Nicola rimase col sedere scottato.
Questa storia è finita, e Dio salvi tutta la compagnia!
Qui finisce il Racconto del Mugnaio.
Note del “Racconto del Mugnaio”.
Nota 1. Cioè con voce forte, prepotente, come quella degli attori che recitavano la parte di Pilato nelle sacre rappresentazioni.
Nota 2.
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