«Ebbene, signori» disse Osvaldo il Fattore «vi prego, non prendetevela, se a quello là io rispondo per le rime e lo metto un po’ a posto: alla forza si risponde solo con la forza.

Quel Mugnaio ubriacone ci ha raccontato ora in che modo fu gabbato un falegname, certo per farmi dispetto, perché anch’io sono di quel mestiere. Adesso, col vostro permesso, voglio rendergliela pari e patta, parlando proprio da tanghero come lui. Dio voglia che gli si spezzi l’osso del collo! Viene a cercarmi la paglia nell’occhio, ma non s’accorge che nel suo c’è una trave.»

RACCONTO DEL FATTORE (*).

Qui comincia il Racconto del Fattore.

A Trumpington, non lontano da Cambridge, scorre un ruscello con sopra un ponte, e sul ruscello c’è un mulino, nel quale (racconto la verità io!) abitava da parecchio tempo un mugnaio. Era un mugnaio tronfio e vanitoso come un pavone. Sapeva suonare la cornamusa, andare a pesca, rabberciare le reti, costruire i coppi al tornio, fare alla lotta e tirare con l’arco. Appeso alla cintura portava un trinciante bislungo con la lama che tagliava come una spada, e in saccoccia si teneva un bel punteruolo. Non c’era pericolo che qualcuno lo toccasse: perfino nelle mutande si teneva nascosto un coltello di Sheffield! (2) Aveva la faccia rotonda, il naso camuso e il cranio pelato come una scimmia. Al mercato cercava sempre d’attaccar briga. Bastava che uno con la mano gli sfiorasse una gamba, che lui subito giurava di volersi vendicare. Era in realtà un ladro di grano e di farina, e uno di quelli matricolati, che sanno bene come truffare. Di soprannome si chiamava Simoncino Boria.

Aveva una moglie che discendeva da nobile stirpe… Il padre di lei era il parroco del paese, il quale aveva sborsato anche parecchie piastre di rame, affinché Simoncino si decidesse a imparentarsi col suo sangue. Lei era stata allevata in un convento di monache, perché Simoncino (a sentir lui) non avrebbe mai voluto per moglie una donna che non fosse beneducata e vergine, in modo da tutelarsi nella sua dignità di possidente. E lei era arrogante e sfacciata come una cornacchia.

Era uno spettacolo vedere quei due insieme nei giorni di festa: lui partiva con una mantellina intorno al collo, e lei gli camminava dietro vestita di rosso; e della stessa stoffa erano le brache di Simoncino. Nessuno s’arrischiava a chiamarla se non col nome di «madama». Non c’era nessuno che, passando per la strada, osasse farle un complimento o uno scherzo, per non farsi accoppare da Simoncino col trinciante, col coltello o lo stiletto, perché i gelosi son sempre tipi pericolosi… o, almeno, così essi vorrebbero far pensare alle loro mogli. Lei, poi, essendo di nascita piuttosto torbida, era scostante come l’acqua d’una fogna, e piena di boria e di disprezzo. Credeva che ogni signora la dovesse riverire, per via del suo casato e dell’educazione avuta al convento.

Quei due non avevano che una figlia, di vent’anni, salvo un bambino di sei mesi, un bel maschietto che stava ancora nella culla. La ragazza era soda e ben piantata, col naso camuso, occhi grigi come il vetro, chiappe grosse, poppe tonde e sporgenti, ma soprattutto bellissimi capelli, non vi racconto storie.

Il parroco del paese, appunto perché lei era bella, aveva in mente di lasciarla sua erede, sia dei poderi che della casa, e faceva il difficile per trovarle marito. S’era messo in testa di sistemarla in alto con qualcuno che fosse di sangue nobile, perché i beni di Santa Chiesa vanno spesi per il sangue che di Santa Chiesa discende; e lui voleva trattarlo bene, il suo santo sangue, anche a costo di divorarla, la Santa Chiesa.

Il mugnaio, intanto, faceva affari d’oro col grano e con l’orzo di tutta la campagna dei dintorni, e specialmente con un grande collegio di Cambridge, chiamato Soler Hall, (3) il quale pure mandava a macinare grano e orzo da lui. Un giorno, d’improvviso, accadde che l’economo di questo collegio s’ammalasse gravemente, tanto che ormai la gente pensava che sarebbe morto. Allora il mugnaio si mise a rubare farina e grano cento volte più di prima: se prima aveva rubato con una certa discrezione, ora faceva il ladro senza ritegno, tanto che ad un certo punto intervenne a protestare anche il rettore. Ma il mugnaio se ne infischiò, giurando che ciò non era vero.