Così, ad esempio, anni prima che accadesse, fra le stelle era stata scritta la morte dì Ettore, e quella di Achille, di Pompeo e di Cesare, ancor prima che nascessero; e la distruzione di Tebe; e la morte di Ercole, di Sansone, Turno e Socrate… Ma la mente degli uomini è così ottusa, che nessuno in quel libro sa leggervi chiaro.
Il sultano, dunque, convocò il suo consiglio privato e insomma, per farvela breve, manifestò il suo desiderio ai consiglieri, dicendo francamente che, se non avesse ottenuto presto la grazia di possedere Costanza, ne sarebbe sicuramente morto: gli trovassero dunque in fretta qualche rimedio per la sua vita.
Ognuno allora disse la sua, argomentando e sentenziando per ogni verso, adducendo sottilissime ragioni e parlando perfino di magia e d’impostura. Ma alla fine, per venire a una conclusione, non seppero trovar altro mezzo o altra via d’uscita che il matrimonio.
S’accorsero però subito d’una grave difficoltà (e con ragione, a dire il vero), dovuta all’enorme differenza fra le due legislazioni, e glielo dissero: «Nessun principe cristiano sarebbe mai contento di maritare sua figlia secondo i soavi precetti a noi insegnati dal nostro profeta Maometto».
Ed egli rispose: «Piuttosto che perdere Costanza, mi farei cristiano senza esitazione! Io devo essere suo, non mi rimane scelta. Perciò, vi prego, lasciate in pace i vostri argomenti: salvatemi la vita e non trascurate di trovare colei che la mia vita ha in suo potere, perché in questo dolore io non posso più durare a lungo».
A che serve indugiare oltre? Basti dirvi che per mezzo di trattative e d’ambasciate, con la mediazione del papa, di tutta la Chiesa e di tutta la nobiltà, fu stabilito, a detrimento del maomettismo e a vantaggio della diletta legge di Cristo, quanto segue: che il sultano e i suoi baroni e tutti i suoi sudditi si sarebbero fatti cristiani, ed egli avrebbe avuto Costanza in matrimonio, con non so quanto in dote, ma tanto certamente da costituire una sufficiente contropartita. Il patto fu giurato da ambedue le parti, ed ora, bella Costanza, ti guidi Dio onnipotente!
Qualcuno s’aspetterebbe, immagino, che descrivessi minutamente i preparativi che l’imperatore, nella sua magnificenza, fece per sua figlia madonna Costanza. Ben si comprende, però, come non sia possibile riferire in breve tutto quel che si fece in occasione d’un tale avvenimento. Certo è che ad accompagnarla furono mandati vescovi, baroni, dame, cavalieri di gran nome ed altri illustri personaggi; e fu annunziato per tutta la città che ognuno, con gran devozione, avrebbe dovuto pregare Cristo, affinché accogliesse nella sua grazia quel matrimonio e proteggesse per viaggio la spedizione.
Giunse quindi il giorno della partenza; giunse, dico, il triste e fatale giorno in cui non c’era più da indugiare, e ognuno e tutti erano pronti a mettersi in cammino. Costanza, affranta dal dolore, s’alzò pallidissima e si preparò a partire, ben vedendo che ormai non le restava altro. Ah, c’è da stupirsi che lei scoppiasse a piangere, dovendo andare in un paese straniero, lontano dagli amici che le volevano tanto bene, e legarsi in soggezione a un uomo di cui non sapeva nulla? Non per dire, mariti buoni ve ne sono, e ve ne sono sempre stati, ma le mogli devono almeno prima conoscerli!
«Padre,» disse lei «l’infelice tua piccola Costanza, la tua giovane figlia, teneramente cresciuta nel tuo affetto, e tu, madre mia, che, dopo Cristo lassù, su tutte le cose sei la mia gioia sovrana… ecco Costanza, vostra figlia, si raccomanda a voi per sempre, ora che deve andare in Siria e che forse non vi rivedrà mai più. Ahimè, devo ormai partire per quel barbaro paese, giacché così voi volete, ma almeno Cristo, che morì per la nostra redenzione, mi conceda la grazia di poter adempiere al suo comando! A me, sventurata donna, non importa morire. Le donne sono nate in soggezione e penitenza, e per rimanere sotto il dominio dell’uomo.»
Credo che nemmeno a Troia, quando Pirro ne abbatté le mura o quando Ilio andò in fiamme, né a Tebe, quando la città cadde, e neppure a Roma, fra le stragi d’Annibale che per tre volte vinse i Romani, s’udisse un pianto commovente e pietoso come in quella camera al momento della partenza! Ma piangesse o meno, lei ormai doveva partire.
O primo mobile, (10) crudele firmamento, che col tuo moto quotidiano spingi e scagli, da oriente a occidente, tutto ciò che per natura seguirebbe un altro corso! La tua spinta in tal modo dispose il cielo, che, fin dal principio di quell’orrendo viaggio, il crudele Marte aveva ormai distrutto quel matrimonio. O malaugurato tortuoso ascendente, per cui Marte, ahimè, irrimediabilmente cadde dal suo angolo giù nella tetra casa dello Scorpione! O tu Marte, malefico “Atazir”! (11) O fragile Luna, che con infelice moto invano ti congiungi con chi non ti vuole, ben potevi rimanere invece d’andar via!…
Ahimè, imprudente imperatore di Roma! Non c’era un astrologo in tutta la città? Non un periodo migliore per questa circostanza? Non c’era forse scelta per il viaggio, specie per gente di così alto rango, una volta saputo l’oroscopo natale? Ahimè, troppo ignoranti siamo, o troppo lenti!
Ecco dunque che l’infelice bella fanciulla venne solennemente accompagnata alla nave, con tutti gli onori. «Ebbene, Gesù Cristo sia con tutti voi!» disse lei.
E quelli: «Buon viaggio, bella Costanza!» e fu tutto, mentre lei si sforzava d’apparire tranquilla. Così lasciamola salpare e intanto proseguiamo col racconto.
La madre del sultano, ch’era un vero pozzo di vizi, avendo spiato il fermo proposito di suo figlio d’abbandonare l’antica religione, convocò subito il consiglio, e tutti vennero a sentire che cosa volesse. Quando l’assemblea fu radunata, lei si mise a sedere e incominciò a parlare.
«Signori,» disse «voi sapete tutti che mio figlio è sul punto d’abbandonare le sante leggi del Corano, dettate dal messaggero di Dio, Maometto. Ebbene io faccio voto al gran Dio che mi strapperò la vita dal corpo, piuttosto che la legge di Maometto dal cuore!
Che può venire a noi da questa nuova religione, se non schiavitù e penitenza corporale? E perché essere poi trascinati all’inferno per aver rinnegato a Maometto la nostra fede? Dunque, signori, volete assicurarmi d’approvare il mio parere ed avere con me salvezza eterna?»
Approvarono e giurarono tutti quanti che, sia da vivi che da morti, sarebbero sempre stati dalla sua parte, e ciascuno s’impegnò a fare il possibile per convincere anche i propri amici a sostenerla. Allora lei, ormai decisa a por mano all’impresa di cui vi parlerò, si rivolse loro con queste parole: «Subito fingeremo di ricevere il battesimo…
non ci farà gran male un poco d’acqua fredda! Poi io darò una gran festa, in modo che il sultano non sospetti nulla. E allora, povera la sua immacolata moglie cristiana… ne avrà di rosso da lavare, quand’anche con sé avesse una fontana!»
O sultana, ceppo d’iniquità! Virago, Semiramide seconda! (12) O serpente sotto forma di donna, simile al serpente incatenato negli abissi dell’inferno! O femmina ingannatrice, tutto ciò che ammorba virtù e innocenza, per tua malizia, alligna in te, covo di tutti i vizi! O Satana, gonfio d’invidia dal giorno che fosti escluso dal nostro lascito, tu conosci bene l’antica via per giungere alla donna! Tu che inducesti Eva a trascinarci in schiavitù, ora infrangi questo cristiano matrimonio. Ahimè, per sempre ahimè, della donna ti fai strumento per le tue scelleratezze!
La sultana, che così rampogno e maledico, lasciò intanto che di nascosto il suo progetto prendesse corso… ma perché farla tanto lunga? Un giorno si recò a cavallo dal sultano, e gli disse che aveva deciso di abiurare la sua fede e che voleva ricevere il battesimo dalle mani del sacerdote, pentita d’esser rimasta pagana per tanto tempo. E lo pregò infine di concedere a lei l’onore di festeggiare gli ospiti cristiani, dicendo: «Farò tutto il possibile per compiacerli!».
Rispose il sultano: «Sia come volete …».
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