Fu portato un libro bretone con i vangeli, e su quel libro il cavaliere giurò senza esitazione che lei era colpevole. Allora, d’improvviso, una mano lo colpì così violentemente fra capo e collo, ch’egli cadde a terra come un sasso e, alla presenza di quanti erano sul posto, gli schizzarono via gli occhi dalla testa. E tutti udirono una voce che diceva: «Hai diffamato, alla presenza dell’Altissimo, l’innocente figlia della Santa Chiesa: tanto hai osato, non dico altro». Di fronte a un simile portento, la folla rimase stupefatta, e tutti, all’infuori di Costanza, furono atterriti dal timore di castighi. Grande fu questo timore, come pure il pentimento di chi aveva ingiustamente sospettato la povera Costanza senza colpa. E finì che, dopo questo miracolo, per intercessione di Costanza, il re e molti altri fra i presenti, grazie alla bontà di Cristo, finalmente si convertirono. Il cavaliere spergiuro fu condannato per la sua impostura con una rapida sentenza di re Alla, anche se poi Costanza fu molto addolorata per la sua morte. E dopo di ciò Gesù, nella sua misericordia, fece sì che Alla sposasse solennemente questa santa donna, così radiosa e pura, la quale in questo modo, per opera di Cristo, diventò regina.

A dire il vero, però, ci fu qualcuno che non rimase affatto contento di questo matrimonio, e chi, se non proprio Donegilda, la prepotente madre del re? Pensò che il cuore le si sarebbe spezzato in due; mai avrebbe voluto che suo figlio facesse una cosa simile; era un’onta per lei ch’egli prendesse in moglie una donna forestiera… Ma non mi va di mettermi ora a fare con veccia e paglia una lunga biada di tiritere! Dovrei forse dirvi chi della famiglia reale fu presente alle nozze o chi venne primo nel corteo, chi suonò la tromba e chi il corno?… Intanto, ogni racconto si sa come va a finire: tutti mangiarono e bevvero, ballarono e cantarono, e si divertirono. Poi se ne andarono a letto, com’era giusto e ragionevole. Le spose infatti, pur con tutte le loro cose sante, di notte devono accettare con pazienza certe piccole necessità che tanto piacciono a chi le ha maritate con l’anello, lasciando la santità da parte, almeno per il momento… non c’è altro da fare.

Ed ecco che ben presto lui la rese incinta e, dovendo partire per la Scozia a combattere contro il nemico, affidò la moglie alle cure d’un vescovo e del castaldo.

Così la bella Costanza progredì, umile e dolce, nel suo stato, finché un giorno dovette mettersi ferma in camera sua ad aspettare la volontà di Cristo… Giunto il momento, partorì un figlio, che fu battezzato al fonte col nome di Maurizio.

Il castaldo chiamò un messaggero e scrisse subito a re Alla come si fosse compiuto il lieto evento, insieme ad altre rapide notizie. L’uomo prese la lettera e si mise immediatamente in viaggio.

Sperando in una ricompensa, quel messaggero passò prima dalla madre del re e, salutandola nel suo linguaggio cerimonioso, le disse: «Signora, ben potete esser felice e lieta, e ringraziare mille volte Iddio! Madonna la regina ha un figlio, a gioia e benedizione di tutto quanto il regno. Ecco, ho qui la lettera sigillata dell’annunzio che devo al più presto consegnare al re. Se qualcosa desiderate per vostro figlio, io son sempre, giorno e notte, il vostro servo».

Rispose Donegilda: «Per il momento, no; però fermati a dormire qui per questa notte.

Ti dirò domani quel che vorrò».

Il messaggero bevve birra e vino a sazietà e, mentre lui ormai dormiva come un porco, gli fu tolta di nascosto la lettera dalla borsa. Venne poi imitata molto abilmente un’altra lettera, sempre diretta al re da parte del castaldo, nella quale, come ora sentirete, l’annunzio fu alterato con gran malizia. Questa lettera diceva, infatti, che la regina s’era sgravata d’una mostruosa creatura così orribile, che nessuno al castello aveva il coraggio di guardarla: quella madre doveva certo essere una strega, capitata là per magia o per qualche incantesimo, e che tutti ormai odiavano starle vicino.

Figuratevi il dolore del re nel vedere quella lettera, eppure, senza rivelare il suo grave dispiacere ad alcuno, rispose scrivendo di suo pugno: «Sia sempre il benvenuto ciò che Cristo mi manda, ormai conosco la sua dottrina! Signore, sia fatta la tua volontà come a te piace; ogni mio desiderio rimetto al tuo comando! Abbiate cura del fanciullo, bello o brutto che sia, come pure di mia moglie, fin quando non sarò di ritorno in patria. Cristo, quando vorrà, potrà mandarmi un altro erede che mi sia di questo più gradito». E, fra sé piangendo, suggellò la lettera che fu subito portata al messaggero, il quale senz’altro se ne partì.

O messaggero riboccante d’ubriachezza, il tuo alito è pesante, le tue gambe tremebonde, tu ormai non tieni certo più alcun segreto! La tua mente è svanita, la tua faccia ha mutato colore e tu sfringuelli come una taccola! Quando in una compagnia comanda l’ubriachezza, non vi sono certamente più nascosti segreti… O Donegilda, la mia lingua non basta a descrivere la tua malizia e il tuo sopruso! Perciò io t’abbandono al diavolo: ci penserà lui a smascherare la tua frode! Bada, femmina… (ma, perdio, mi sbaglio!…) bada, spirito diabolico, io t’avverto, anche se tu sei qui che cammini, la tua anima è già all’inferno!

Il messaggero, dunque, congedatosi dal re, sostò di nuovo alla corte della regina madre, la quale, felicissima, fece il possibile per rimpinzarlo. Egli bevve e s’imbottì bene la cintura, e poi s’addormentò russando, secondo il solito, tutta la notte, fino al sorgere del sole. Ancora una volta la lettera gli fu sottratta, e scambiata con un’altra di questo tono: «Il re ordina immediatamente al suo castaldo, pena l’impiccagione per alto tradimento, di non permettere in alcun modo a Costanza di rimanere entro i confini del regno per più di tre giorni e un quarto di marea. Ma la ponga col bambino e tutta la sua roba sulla stessa nave in cui un giorno la trovò, e la spinga lontano dalla riva, ordinandole di non farsi mai più vedere!».