Mentre nel racconto del Cappellano della Monaca le forme eroiche vengono relegate al chiuso ambiente d’un pollaio, si snodano col loro sentimentalismo e la loro astratta moralità le leggende pie: il
«miracolo» dello scolaretto ucciso dagli ebrei, ornato dalla Priora di diminutivi e frasette puerili e malcelata bigotteria; quello di Santa Cecilia, avvolto dalla Seconda Monaca in un’atmosfera tutta conventuale; l’episodio di Virginio narrato dal Medico; e infine le storie di Costanza e di Griselda, rispettivamente attribuite al Commissario di Giustizia e allo Studente, in cui si sfiora la più pura allegoria.
Il punto di riferimento di questa vasta gamma di materiale narrativo non è la soggettività del poeta, ma la comunità umana protesa, nel suo pellegrinaggio, in una conquista sempre nuova e irraggiungibile. Una quotidianità calda di vita, magari grottesca e volgare, ma anche lo spirito e il sogno vi si alternano in un gioco di opposizioni e di corrispondenze continue. Cavalieri in duello per la mano di una nobile dama, mariti traditi e amanti sconciamente beffati, innocentissime mogli calunniate, la strega che si cambia in donna bellissima: sono queste le immagini suscitate dagli uomini, le illusioni da loro create. Il poeta, incasellando ciascuna nel suo linguaggio caratteristico, si limita a riferircele con un sorriso imperscrutabile, ingannatore, ironico e pietoso insieme.
Tema dominante, anche se non unico, è l’amore: ora sottomesso a una specie d’istinto animale, ora imbrigliato nel culto degli ideali cortesi e cavallereschi, ora rarefatto in un’astrazione impossibile. Ciascuna visione si contrappone all’altra senza possibilità di soluzioni definitive: finché il pellegrinaggio continua, non vi possono essere soluzioni.
Ora è la donna che pretende il dominio assoluto sull’uomo, ora è l’uomo che sottopone la donna a crudelissime prove; in certi casi matrimonio e amore si escludono a vicenda (come aveva insegnato Andrea Cappellano, il grande teorico dell’amore cortese), in altri casi invece si compenetrano in una idealità nuova. Ma sono soltanto «punti di vista», soluzioni provvisorie, che si esauriscono nel frammento narrativo, ignorando il disegno e la finalità di cui esso fa parte.
Anche le visioni degli ecclesiastici, lontane dall’idealità cristiana da cui invece dovrebbero essere permeate, rimangono nel relativismo dell’esistenza del pellegrinaggio: sia quelle del Frate e del Cursore, pervase di reciproco astio e spirito vendicativo, che quella dell’Indulgenziere, col suo cinismo e la sua gretta cupidigia.
Mentre nei racconti della Priora e della Seconda Monaca il sentimento religioso scade in vacuo sentimentalismo, in quello del Monaco la concezione tomistica e dantesca della Fortuna (non cieca distributrice di venture buone o cattive, ma avveduto strumento, «general ministra», della Provvidenza e della Giustizia divina) viene lamentosamente evocata in senso fatalistico e meccanico.
Soltanto il sermone finale del Parroco, pur con la sua esasperante insistenza su citazioni testuali anziché su esperienze vive, riesce a porsi al di fuori e al di sopra della progressiva e indefinita dilatazione del pellegrinaggio. Sulla via della penitenza, indicata dal più povero fra gli ecclesiastici, tutti i problemi si risolvono, ma si dissolvono anche tutte le immagini e tutte le illusioni. E la poesia ormai si fa muta.
Ermanno Barisone.
Note dell’Introduzione.
Nota 1. Confer W.C. Curry, “Chaucer and the Mediaeval Sciences”, New York, O.U.P., 1926.
Nota 2. “Four Quartets”, I, vv. 44-45.
Nota 3. I ““Canterbury Tales”” sono scritti in versi (per lo più “heroic couplets”), tranne due, il “Racconto di Melibeo” e il “Racconto del Parroco”, che sono scritti in prosa.
Nota 4. In uno dei suoi primi esperimenti poetici, “An ABC”, un poemetto in versi abbecedari, il Chaucer aveva tradotto un componimento di Guillaume Deguilleville, intitolalo appunto “Le Pèlerinage de la Vie Humaine”.
Nota 5. In passato l’idea d’una «cornice» che racchiudesse una serie di racconti parve suggerita al Chaucer dal “Decameron”. Pur riconoscendo nei ““Canterbury Tales””
l’evidente influsso di alcune opere minori del Boccaccio, oggi si tende ad escludere che poeta inglese conoscesse del novelliere italiano appunto il capolavoro, animato peraltro da uno spirito completamente diverso.
Nota 6.
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