Un facchino mi indicò la banchina e vi giunsi che il treno si metteva in moto. Due impiegati della stazione cercarono di sbarrarmi la via, ma io li evitai e saltai sul predellino dell’ultima vettura.

Tre minuti più tardi, mentre il treno filava rombando sotto le gallerie del Nord, un controllore maleducato mi interpellò. Da costui ottenni un biglietto per Newton-Stewart, nome che mi si presentò alla memoria per miracolo; dovetti però passare dallo scompartimento di prima classe, in cui mi ero accomodato, in uno di terza “fumatori” occupato da un marinaio e da una grossa donna con un bambino. Il controllore s’allontanò irritato, e io, asciugandomi la fronte, feci notare ai miei vicini, nel più stretto linguaggio degli scozzesi, ch’era un affare ben difficile afferrare un treno.

Recitavo già la mia parte.

— Io domando e dico, se si può essere più maleducati di quel controllore! — esclamò la donna. — Per fortuna però c’è qualche bravo scozzese per sistemarlo! Non voleva farmi pagare il biglietto per questa John Buchan

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1993 - I Trentanove Scalini

piccolina che avrà un anno giusto nel mese di agosto, e impedire al signore di sputare?

Il marinaio approvò con aria flemmatica; così che io incominciai la mia nuova vita in un’atmosfera di rivolta alle autorità… E mi ricordai che otto giorni prima giudicavo il mondo noiosissimo!

3.

L’avventura dell’albergatore letterato

Quel giorno un tempo magnifico per viaggiare nel Nord: c’era un bel cielo azzurro, tutti i biancospini erano fioriti, e io mi domandavo come, allorché ero ancora un uomo libero, avessi potuto rimanere sempre a Londra, rinunciando a godere di un paese così bello. Non osando comparire nella vettura-ristorante, acquistai a Leeds un cestino da viaggio che divisi fraternamente con la grossa donna. Approfittando della stessa fermata comprai i giornali del mattino, i quali recavano pronostici per il Derby e le prime notizie della stagione di cricket, oltre a qualche trafiletto sugli affari balcanici e sulla visita della squadra inglese a Kiel.

Dopo avere scorso i giornali, levai di tasca il piccolo taccuino di Scudder e lo esaminai. Era fitto di note, composte principalmente da segni algebrici, tra i quali spiccava, qua e là, un nome in caratteri ordinari. Ad esempio, le parole “Hoffgaard”, “Lunéville” ritornavano spesso e, più ancora, la parola “Pavia”.

Ora, siccome non potevo supporre che Scudder avesse fatto qualche cosa, senza una ragione, mi persuasi che le note dovevano essere scritte in codice convenzionale. La crittografia è una cosa che mi ha sempre molto interessato, e di cui m’ero servito un po’ anch’io in altri tempi, come agente di informazioni a Delagoa Bay e durante la guerra boera. Posso dire inoltre d’avere qualche attitudine per gli scacchi, le sciarade e i giochi analoghi, e mi lusingavo d’avere d’una discreta abilità nel decifrare i crittogrammi.

Quello che avevo sott’occhio mi pareva dovesse appartenere al genere numerico, nel quale le lettere dell’alfabeto vengono rappresentate mediante serie di segni; ma siccome qualunque uomo un po’ intelligente è in grado di trovare la chiave di un documento del genere in un’ora o due di applicazione, non potevo credere che Scudder si fosse accontentato di un procedimento così semplice.

Perciò mi misi a studiare le parole scritte in tutte le lettere, poiché è John Buchan

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possibile comporre un comunissimo crittogramma numerico servendosi di una parola-chiave che suggerisce la serie di lettere.

I miei tentativi durarono parecchie ore, ma nessuna delle parole in questione mi aiutò. Allora mi addormentai per risvegliarmi a Dumfrier appena in tempo per saltare dal treno e cacciarmi in quello per Galloway.

Sulla banchina c’era un uomo il cui volto mi parve poco rassicurante; ma egli non mi degnò d’un solo sguardo. Ne capii la ragione quando scorsi la mia faccia nello specchio d’un distributore automatico. Con la mia carnagione scura, i miei vecchi abiti, e le mie maniere grossolane, rassomigliavo, come una goccia d’acqua, a uno di quei contadini delle montagne che si pigiano nelle vetture di terza classe.

Viaggiai con una mezza dozzina di tipi del genere, in un’atmosfera odorosa di tabacco ordinario e di pipe di gesso. Costoro tornavano dal mercato e non parlavano che di prezzi. Li intesi intrattenersi sulla quantità di agnelli nati nelle vallate del Cairn, del Deuch e di altri dieci o dodici fiumi altrettanto ignoti.

I miei compagni di viaggio avevano, per la maggior parte, abbondantemente pranzato, ed esalavano un forte odore di whisky; ma nessuno fece attenzione a me. Viaggiammo lentamente attraverso una regione di piccole vallate boscose; poi attraverso una grande estensione di deserti scoperti, rotti qua e là da uno splendore di acque stagnanti, e chiusi tra alte cime azzurrine elevantisi sull’orizzonte verso Nord.