49). Edmonds, Thompson, Hodgskin ( Ed. it. cit., p. 57. Hodgskin è da correggere in Hopkins. Vedi la nota a p. 23 della stessa edizione della Miseria della filosofia), ecc. ecc. «e ancora quattro pagine di eccetera», Da questa congerie di scritti, ne scelgo solo uno a caso: An Inquiry into the Principles of the Distribution of Wealth, most conducive to Human Happiness, di William Thompson; nuova edizione, Londra, 1850. Questo scritto composto nel 1822 comparve per la prima volta nel 1824. Anche qui la ricchezza appropriata dalle classi non produttive viene ovunque designata come sottrazione dal prodotto del lavoratore, e ciò con espressioni abbastanza forti. «La aspirazione costante di ciò che noi chiamiamo società consisteva nell’indurre con l’inganno o la persuasione, la paura o la costrizione, il lavoratore produttivo a compiere il lavoro, dietro compenso della più piccola parte possibile del prodotto del suo stesso lavoro» (p. 28). «Perché il lavoratore non deve ricevere l’intero prodotto assoluto del suo lavoro?» (p. 32). «Questo compenso che i capitalisti estorcono al lavoratore produttivo sotto il nome di rendita fondiaria o profitto, viene preteso per l’uso del suolo o di altri oggetti... Poichè tutte le materie fisiche, sulle quali, o per mezzo delle quali, il lavoratore produttivo non possessore, che non possiede altro che la sua capacità di produrre, può far valere questa sua capacità di produzione, sono in possesso di altri, i cui interessi sono opposti ai suoi e il cui con senso è una condizione preliminare della sua attività, non dipende forse e non deve dipendere dalla grazia di questi capitalisti, quale parte dei frutti del suo stesso lavoro essi vogliono che tocchi a lui come risarcimento per questo lavoro? (p. 125)... rispetto alla grandezza del prodotto trattenuto, si chiamino tassazione, profitto o furto... queste sottrazioni» (p. 126) ecc.

Confesso di scrivere queste righe non senza una certa vergogna. Che la letteratura anticapitalistica inglese degli anni venti e trenta sia così totalmente sconosciuta in Germania, nonostante che Marx già nella Misère de la philosophie abbia fatto direttamente riferimento ad essa, e molte cose — l’opuscolo del 1821, Ravenstone, Hodgskin ecc. — abbia più volte citato nel primo volume del Capitale — questo ancora passi. Ma che non soltanto il literatus vulgaris, «il quale realmente non ha ancora imparato nulla», si aggrappi disperatamente alle falde di Rodbertus, ma anche il professore in carica e titolo, il quale «si pavoneggia della sua erudizione», abbia dimenticato la sua economia classica fino al punto di rimproverare seriamente Marx di avere sottratto a Rodbertus cose che si possono leggere già in A. Smith e in Ricardo, ciò dimostra quanto in basso sia caduta oggi la scienza economica ufficiale.

Ma che cosa di nuovo ha detto Marx sul plusvalore? Come avviene, che la teoria del plusvalore di Marx sia caduta come un fulmine a ciel sereno, e ciò in tutti i paesi civili, mentre le teorie di tutti i suoi predecessori socialisti, Rodbertus compreso, sono scomparse senza lasciar traccia?

La storia della chimica ci può offrire un ‘utile esempio.

Ancora verso la fine del secolo scorso dominava, com’è noto, la teoria flogistica, secondo la quale l’essenza di ogni combustione consisteva nel fatto che dal corpo comburente si separa un altro corpo ipotetico, una materia combustibile assoluta, che veniva designata con il nome di flogisto. Questa teoria riusciva a spiegare la maggior parte dei fenomeni chimici allora conosciuti, se pure, in molti casi, non senza qualche violenza. Ora, nel 1774 Priestley descrisse una specie di aria «che trovò così pura, ossia così immune da flogisto, che l’aria comune al suo confronto appariva già corrotta». Egli la chiamò: aria deflogistizzata. Poco dopo Scheele in Svezia descrisse la stessa specie di aria, e ne dimostrò la presenza nell’atmosfera.