Sono indicati come:
Bank Acts (talvolta anche Bank Committee) 1857, e rispettivamente 1858.
All’edizione del quarto Libro — la storia della teoria del plusvalore — mi accingerò non appena mi sarà in qualche modo possibile.
Nella prefazione del secondo Libro del Capitale dovetti trattare con quei signori che avevano allora sollevato gran rumore con la pretesa di aver scoperto in Rodbertus « la fonte segreta e un più grande predecessore di Marx ». Io offrii loro l’occasione di indicare « a che cosa può servire l’economia di Rodbertus »; e li sfidai a dimostrare « che non soltanto senza pregiudizio della legge del valore, ma piuttosto sul fondamento di essa, può e deve formarsi un uguale saggio medio di profitto. Quegli stessi signori, che allora, per motivi soggettivi od oggettivi, e in genere tutt’altro che scientifici, magnificavano il buon Rodbertus come una stella economica di primissima grandezza, sono ancora oggi senza eccezione debitori di una risposta. Al contrario altri hanno ritenuto che valesse la pena di occuparsi della questione.
L’affronta, nella sua critica del secondo Libro (Conrads Jahrbucher, XI,5,1885, pp. 452-65) il prof. W. Lexis, senza intendimento peraltro di darle una diretta soluzione. Egli afferma: « La soluzione di quella contraddizione » (precisamente la contraddizione fra la legge del valore di Ricardo-Marx e l’uniformità del saggio medio del profitto) « è impossibile, se le varie specie di merci vengono considerate isolatamente e il loro valore viene posto uguale al loro valore di scambio e questo a sua volta uguale o proporzionale al loro prezzo ». A suo parere la soluzione è possibile soltanto alle seguenti condizioni: « Che per le singole specie di merci si rinunci ad assumere a misura del valore il lavoro, che la produzione delle merci venga intesa nel suo complesso, e la sua distribuzione considerata per le classi dei capitalisti e degli operai nel loro complesso... Del prodotto complessivo la classe operaia non riceve che una certa parte....,. la parte rimanente — quella che tocca ai capitalisti — costituisce, nel pensiero di Marx, il plusprodotto e pertanto anche... il plusvalore. I membri della classe capitalistica si dividono fra di loro plusvalore, non già secondo il numero degli operai da essi impiegati, ma in proporzione del volume del capitale da ciascuno apportato, includendo nel computo del valore-capitale anche i beni fondiari ». I valori ideali di Marx, determinati dalle unità di lavoro incorporate nelle merci non corrispondono ai prezzi, ma possono « essere considerati come punto iniziale di uno spostamento, che conduce ai prezzi effettivi. I quali sono condizionati dalla regola che capitali di eguale grandezza esigono eguali retribuzioni ». Donde, fra i capitalisti alcuni riceveranno per le loro merci prezzi più elevati, altri prezzi minori dei valori ideali. « Poiché però decurtazioni e aggiunte di plusvalore si compensano reciprocamente nell’interno della classe capitalistica, la grandezza complessiva del plusvalore è la medesima che se tutti i prezzi fossero proporzionati ai valori ideali delle merci ».
Come si vede la questione qui è ben lungi dall’essere risolta, ma nel complesso è posta rettamente, anche se in forma fiacca e piatta. In realtà è più di quanto fossimo in diritto di aspettarci da un autore, che, come il Nostro, si presenta con una certa fierezza come un « economista volgare »; la sua impostazione è addirittura sorprendente, se la si raffronta coi risultati a cui sono giunti altri economisti volgari di cui tratteremo più avanti. L’economia volgare dell’autore è veramente di natura particolare. Egli dice che il reddito del capitale potrebbe essere dedotto con il procedimento indicato da Marx, ma che nulla impone simile concezione. Al contrario. L’economia volgare offre una spiegazione per lo meno più plausibile: « i venditori capitalistici, ossia il produttore di materie prime, il fabbricante di manufatti, il commerciante all’ingrosso e quello al minuto, realizzano un utile nei loro affari, in quanto ciascuno vende a più caro prezzo di quanto comperi, cioè aumenta di una certa percentuale il prezzo di costo delle proprie merci. Soltanto l’operaio non è in grado di ottenere un simile supplemento di valore, ma, per effetto della sua posizione sfavorevole di fronte al capitalista, si trova nella necessità di vendere il suo lavoro per il prezzo che gli costa, vale a dire per l’importo dei mezzi di sussistenza indispensabili.., così che le maggiorazioni di prezzo conservano tutta la loro importanza nei confronti dei salariati compratori e determinano il trasferimento alla classe capitalistica di una parte del valore del prodotto complessivo ».
Non occorre un eccessivo sforzo per vedere che tale spiegazione del profitto del capitale svolta in termini di « economia volgare » sfocia praticamente negli stessi risultati della teoria del plusvalore di Marx; che secondo la tesi di Lexis gli operai si trovano esattamente nella stessa « sfavorevole situazione » postulata da Marx; che essi sono altrettanto defraudati, giacché non è dato loro ciò che è concesso al non lavoratore, di vendere al di sopra del prezzo; e che sulla base di siffatta teoria si può costruire un socialismo volgare per Io meno altrettanto plausibile di quello edificato qui in Inghilterra sulla base della teoria del valore d’uso e dell’utilità marginale di Jevons e Menger. Giungo perfino a supporre che se il signor George Bernard Shaw venisse a conoscenza di simile teoria del profitto, sarebbe capace di ghermirla a due mani e, congedando Jevons e Karl Menger, riedificare su quella pietra la chiesa fabiana dell’avvenire.
In realtà la teoria di Lexis non è che una trascrizione di quella marxistica. Da quale fondo sono ricavati tutti questi aumenti sui prezzi? Dal « prodotto complessivo » degli operai. E ciò è dovuto al fatto che la merce « lavoro » o, come Marx dice, la forza-lavoro, deve essere venduta al di sotto del suo prezzo. Infatti, se la proprietà comune a tutte le merci è di avere un prezzo di vendita superiore al loro costo di produzione, e se il lavoro, unico fra le merci a far eccezione alla regola, è venduto sempre e soltanto al suo costo di produzione, allora il suo prezzo di vendita viene ad essere inferiore a quello che è di norma nel mondo dell’economia volgare. L’extra profitto che in conseguenza tocca al capitalista, o alla classe capitalistica, consiste precisamente in ciò, e in ultima analisi non può prodursi che per la circostanza che l’operaio, dopo aver prodotto l’equivalente del prezzo del proprio lavoro, deve produrre un’ulteriore quota di prodotto per la quale non viene pagato, plusprodotto, prodotto di lavoro non retribuito, plusvalore. Lexis è persona molto cauta nella scelta delle sue espressioni. In nessun luogo dice direttamente che la concezione esposta è la sua; se però così fosse, sarebbe evidente che qui non abbiamo a che fare con uno dei soliti economisti volgari che, come egli stesso ricorda, a parere di Marx « sono nella migliore delle ipotesi soltanto imbecilli senza speranza» , ma con un marxista travestito da economista volgare.
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