Va da sé che là dove le cose e le loro reciproche relazioni sono concepite non fisse ma mutevoli, anche i loro riflessi mentali, i concetti, sono egualmente soggetti a mutamento e trasformazione; e che lungi dall’incapsularli in rigide definizioni bisogna svilupparli nel loro processo di formazione sia logico che storico. Apparirà quindi chiaro perchè Marx al principio del primo Libro — là dove parte dalla produzione semplice delle merci come premessa storica del capitale, per giungere poi da questa base al capitale — prenda le mosse appunto dalla merce semplice e non da una forma concettualmente e storicamente secondaria, cioè dalla merce già modificata in termini capitalistici; ciò che Fireman non può assolutamente comprendere. Noi lasceremo da parte questi ed altri punti secondari, che potrebbero dar motivo ad altre e varie obiezioni e andremo immediatamente al nocciolo del problema. Mentre la teoria insegna all’autore che, posto un determinato saggio del plusvalore, il plusvalore è proporzionale alla quantità delle forze-lavoro occupate, l’esperienza gli mostra che, posto un determinato saggio medio del profitto, il profitto è proporzionale al volume del capitale complessivo impiegato. Il fatto è spiegato da Fireman postulando che il profitto sia un fenomeno puramente convenzionale (ciò che per lui significa inerente ad una determinata formazione sociale, e che con questa viva e scompaia); la sua esistenza è puramente legata al capitale, il quale, se ha la forza bastante di assicurarsi un profitto, è costretto dalla concorrenza a estorcerlo ad un saggio identico per tutti i capi tali. Senza eguaglianza dei saggi del profitto non è per l’appunto possibile la produzione capitalistica; premesso tale sistema di produzione, per ogni singolo capitalista la massa del profitto dipende, essendo dato il saggio del profitto, dal volume del suo capitale. D’altra parte il profitto è costituito dal plusvalore, dal lavoro non pagato. E come avviene la trasformazione del plusvalore, il cui volume è in ragione dello sfruttamento del lavoro, in profitto, il cui volume è in rapporto al volume del capitale impiegato?
« Per la semplice ragione che in tutti i rami di produzione, il cui rapporto tra.., capitale costante e capitale variabile è massimo, le merci sono vendute al di sopra del loro valore, mentre in quei rami di produzione il cui rapporto tra capitale costante e capitale variabile, ossia c/v, è minimo, le merci sono vendute al di sotto del loro valore, e soltanto quando il rapporto c/v tocca una determinata grandezza media, le merci vengono vendute al loro vero valore... Una tale divergenza di singoli prezzi dai loro rispettivi valori costituisce una contraddizione con il principio del valore? Niente affatto. Giacché, per il fatto che i prezzi di alcune merci superano il loro valore esattamente di tanto di quanto i prezzi di altre merci scendono al di sotto, la somma totale dei prezzi rimane eguale alla somma complessiva dei valori.., e “ in ultima istanza “ la divergenza scompare ». La divergenza è un « fatto perturbatore »; « e nelle scienze esatte un fatto perturbatore calcolabile non è mai considerato tale che possa infirmare una legge ».
Si confrontino con questa spiegazione i passi del cap. IX dedicati all’argomento e si vedrà che effettivamente Fireman ha in tal modo messo il dito sul punto decisivo. Ma quanti altri sviluppi intermedi pur dopo quella scoperta fossero ancora necessari per mettere Fireman in grado di elaborare la piena, evidente soluzione del problema, lo dimostra la immeritata freddezza con cui fu accolto quello scritto così notevole. Quanti si interessarono al problema, tutti ebbero timore di bruciarsi le dita. E ciò si spiega non soltanto per la forma incompiuta in cui Fireman ha lasciato la sua scoperta, ma anche per le innegabili manchevolezze e della sua interpretazione della teoria di Marx e della critica generale da lui su tale base formulata.
Quando si presenta l’occasione di far brutta figura in una questione difficile, il sig. professor Julius Wolf di Zurigo non manca mai di approfittarne. L’intero problema, egli ci racconta (Conrads Jahrbucher, terza serie, p. 352 sgg.), si risolve con il plusvalore relativo. La produzione del plusvalore relativo dipende dall’aumento del capitale costante in confronto a quello variabile. « Un accresci mento del capitale costante ha come presupposto un accrescimento della forza produttiva degli operai. Ma poiché questo aumento della forza produttiva (tramite la riduzione di prezzo dei mezzi di sussistenza) comporta un aumento del plusvalore, viene a stabilirsi un rapporto diretto fra un plusvalore crescente e una crescente partecipazione del capitale costante al capitale complessivo. Un incremento nel capitale costante corrisponde ad un incremento nella forza produttiva del lavoro. Pertanto, a capitale variabile immutato e a capitale costante in aumento, il plusvalore deve aumentare conforme all’insegnamento di Marx. Tale era il problema a noi dato da risolvere».
Veramente in cento passi del primo Libro Marx dice proprio il contrario, e l’affermazione che, secondo Marx, il plusvalore relativo cresca, in caso di capitale variabile decrescente, nella proporzione in cui si accresce il capitale costante, è così strabiliante che riesce impossibile con un’espressione parlamentare. In ogni riga il sig. Julius Wolf mostra di non avere la minima nozione, né relativa né assoluta, di ciò che sia il plusvalore, sia assoluto, che relativo; egli stesso del resto confessa: « Si ha qui a prima vista l’impressione di trovarsi in un groviglio di assurdità », ciò che, incidentalmente, è l’unica osservazione veritiera di tutto il suo scritto.
Ma che importa tutto questo? Il signor Julius Wolf è così fiero della sua geniale scoperta che non può tralasciare di tributare per ciò postuma lode a Marx e di esaltare questa sua personale imperscrutabile sciocchezza come « una nuova prova dell’acutezza e profondità, con cui Marx ha concepito la sua critica dell’economia capitalistica ».
Ma c’è ancora di meglio: il signor Wolf aggiunge: «Ricardo ha affermato sia: a eguale impiego di capitale, eguale plusvalore (profitto), che: a eguale impiego di lavoro, eguale plusvalore (nel totale). Di qui era sorto il problema: come si concilia l’una con l’altra proposizione? Marx non accettò il problema in quella forma. Indubbiamente egli ha dimostrato (nel. terzo volume) che il secondo enunciato non è un corollario incondizionato della legge del valore ma che anzi è con questa in contraddizione e perciò... è da ripudiare ».
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