E qui egli indaga chi di noi due — io o Marx — abbia sbagliato, non pensando affatto, naturalmente, di esser lui a vagare in pieno errore.

Farei torto ai miei lettori e disconoscerei del tutto il comico della situazione, se volessi sciupare una sola parola su questo stupefacente passo. Soltanto aggiungo: con la stessa sfrontatezza con cui già a quel tempo sapeva annunciare ciò che « Marx aveva indubbiamente dimostrato nel terzo Libro », egli coglie l’occasione per riferire un preteso pettegolezzo da professori, secondo il quale il citato studio di Conrad Schmidt « sarebbe ispirato direttamente. da Engels ». Signor Julius Wolf! Può essere consuetudine nel mondo in cui Lei vive e si agita, che una persona che abbia posto ad altri pubblicamente un problema ne comunichi in segreto la soluzione ai propri amici. Che Lei ne sia capace, posso facilmente crederlo. Ma che nel mondo in cui io mi muovo non occorra abbassarsi a simili miserie, glielo dimostra la presente prefazione.

Marx era appena morto, che subito il signor Achille Loria pubblicava un articolo su di lui nella Nuova Antologia (aprile 1883): innanzitutto una biografia infarcita di dati inesatti, quindi una critica della sua attività pubblica, politica e letteraria. La concezione materialistica della storia di Marx è ivi falsata e deformata con una sicurezza che fa sospettare un ambizioso disegno. E questo disegno fu realizzato nel 1886, quando lo stesso signor Loria pubblicò un volume, La teoria economica della costituzione politica, in cui annunciava ai suoi sbalorditi contemporanei come sua personale scoperta la teoria marxista della storia così radicalmente e premeditatamente sfigurata nel 1883. La teoria marxista è ivi abbassata a un livello di notevole filisteismo; e le citazioni ed esemplificazioni storiche abbondano di spropositi, che non si lascerebbero passare ad uno scolaro di quarta; ma che importa tutto ciò? La scoperta che in ogni luogo e tempo le situazioni e gli eventi politici trovano la loro spiegazione nelle corrispondenti condizioni economiche, fu opera — ivi si dimostra — per nulla affatto di Marx nell’anno 1845, ma del signor Loria nel 1886. Questo, almeno egli è felicemente riuscito a dar ad intendere ai suoi compatrioti e anche — poiché il suo libro apparve in francese — a taluni francesi; sicché ora in Italia egli può andar tronfio come autore di una nuova teoria storica che fa epoca, finché i socialisti italiani non trovino il tempo di strappare all’illustre Loria le penne di pavone rubate.

Ma questo non è che un piccolo esempio della maniera del signor Loria. Egli ci assicura che tutte le teorie di Marx poggiano su un consaputo sofisma che Marx non recede davanti a paralogismi, pur sapendoli tali e così via. E dopo che con tutta una sequela di simili grossolane barzellette ha fornito ai suoi lettori il necessario per considerare Marx come un arrivista alla Loria che mette in scena le sue medesime trovate con gli stessi scorretti mezzucci da ciarlatano del professore padovano, egli può confidar loro un importante segreto; ed eccoci così ricondotti al saggio del profitto.

Il signor Loria dice: secondo Marx, la massa del plusvalore (che Loria qui identifica con il profitto) prodotta in un’impresa capitalistica industriale, dipende dal capitale variabile ivi impiegato, non producendo il capitale costante alcun profitto. Ma ciò è in contrasto con la realtà: giacché in pratica il profitto è in ragione non del capitale variabile, ma del capitale complessivo. E Marx stesso se ne avvede (I, cap. XI) e ammette che in apparenza i fatti contraddicono la sua teoria. Ma come risolve la contraddizione? Rinviando i suoi lettori ad un successivo volume non ancora apparso. A proposito del qual volume già in precedenza Loria aveva detto ai suoi lettori che non riteneva che Marx avesse mai pensato un solo istante di scriverlo; ed eccolo ora gridare trionfalmente: « Non a torto io ho affermato che questo secondo volume con cui Marx minaccia continuamente i suoi avversari senza che esso appaia, questo volume può essere un ingegnoso espediente ideato dal Marx a sostituzione degli argomenti scientifici ». E chi non si è ancora convinto che Marx si trova sullo stesso piano di ciarlatanismo scientifico dell’illustre Loria, è davvero un incorreggibile senza rimedio.

Questo dunque abbiamo imparato: secondo il signor Loria la teoria marxista del plusvalore è assolutamente inconciliabile con la realtà di un saggio generale ed uniforme del profitto. Apparve allora il secondo Libro, e con esso la questione da me pubblicamente posta proprio su questo stesso punto. Se il signor Loria fosse stato uno di noi timidi tedeschi, si sarebbe trovato in imbarazzo. Ma egli è un meridionale ardito, originario di un paese caldo, dove — come egli può testimoniare — la sfrontatezza è in un certo senso una condizione naturale. Il problema del saggio del profitto è pubblicamente posto. Il signor Loria lo ha pubblicamente dichiarato insolubile. E appunto per questo egli supererà se stesso dandone pubblicamente la soluzione.

Tale miracolo fu compiuto con un articolo dedicato al citato scritto di Conrad Schmidt (Conrads Jahrbucher, nuova serie, XX, p. 272 sgg.). Avendo appreso da Schmidt come si determina il profitto commerciale, tutta la materia gli si è d’un colpo rischiarata. « Poiché la determinazione del valore mercé  la durata del lavoro avvantaggia quei capitalisti che impiegano in salari una quota più larga dei loro capitali, il capitale improduttivo» (deve intendersi commerciale) « può esigere da questi capitalisti privilegiati un più elevato interesse » (deve intendersi profitto) « e portare l’eguaglianza fra i singoli capitalisti industriali... Così ad es., se i capitalisti industriali A, B, C, applicano alla produzione ciascuno 100 giornate lavorative e rispettivamente 0, 100, 200 unità di capitale costante, e se il salario di 100 giornate lavorative racchiude in sé 50 giornate lavorative, ogni capitalista riceve un plusvalore di 50 giornate lavorative, e i saggi del profitto sono del 100% per il primo capitalista, del 33,3% per il secondo, e del 20% per il terzo. Se poi un quarto capitalista D accumula un capitale improduttivo di 300, che estorce un interesse» (profitto) « del valore di 40 giornate lavorative da A e di 20 giornate lavorative da B, il saggio del profitto per i capita listi A e B precipiterà al 20% come quello del capitalista C, e D con un capitale di 300 riceverà un profitto di 60, ossia un saggio del profitto del 20%, al pari degli altri capitalisti ».

Con sorprendente destrezza l’illustre Loria risolve, in un batter d’occhio, quel medesimo problema che dieci anni prima aveva dichiarato insolubile. Purtroppo egli non ci ha svelato il segreto che dà al « capitale improduttivo il potere non soltanto di sottrarre agli industriali questo loro extraprofltto eccedente il saggio medio del profitto, ma anche di conservarlo, proprio come il proprietario terriero intasca sotto forma di rendita fondiaria l’eccedenza del pro fitto del fittavolo.