In realtà, secondo la tesi in parola, i commercianti preleverebbero dagli industriali un tributo assolutamente analogo alla rendita fondiaria e determinerebbero in tal modo il saggio medio del profitto. Certo, come ognuno sa, il capitale commerciale è un fattore essenziale per la formazione del saggio generale del profitto. Ma soltanto un avventuriero della penna, che nel suo intimo si ride dell’economia intera, può permettersi di affermare che esso possegga il magico potere di assorbire in sé tutto il plusvalore eccedente il saggio generale del profitto, prima ancora che questo si sia formato, e di convertirlo in rendita fondiaria per se stesso, senza che occorra allo scopo una qualsiasi proprietà fondiaria. Non meno sorprendente è l’affermazione che il capitale commerciale sia capace di scoprire quegli industriali il cui plusvalore raggiunge solo il saggio medio del profitto, e sia fiero di alleviare in certo qual modo la sorte di tali infelici vittime della legge del valore di Marx, vendendo loro i prodotti gratuitamente, perfino senza provvigioni di sorta. Ci vuole un prestigiatore di razza per immaginarsi che Marx abbia bisogno di simili pietosi giochetti!
Ma il nostro illustre Loria brilla in tutta la sua gloria solo nel raffronto con i suoi concorrenti nordici, per es. con il sig. Julius Wolf, che pure non è nato ieri. Che meschino schiamazzatore sembra costui pur con il suo grosso libro Sozialismus und kapitalistische Gesell schaftsordnung, accanto all’italiano! Come è goffo, quasi direi modesto, di fronte alla nobile audacia con cui il Maestro afferma come cosa naturale che Marx, come tutti gli altri, era un sofista, paralogista, fanfarone e ciarlatano dello stampo del sig. Loria stesso; e che, ogniqualvolta è a mal partito, usa dar ad intendere al pubblico di rimettere la conclusione delle sue teorie a un successivo volume, che ben sa in anticipo di non avere né la possibilità né l’intenzione di comporre ! Improntitudine illimitata, agilità da anguilla per sgusciare da situazioni insostenibili, eroico disdegno delle pedate ricevute; prontezza nell’appropriarsi prodotti altrui, sfrontata ciarlataneria pubblicitaria, organizzazione della fama per mezzo di consorterie compiacenti: chi lo supera in tutto questo?
L’Italia è la terra della classicità. Dalla grande epoca in cui spuntò sul suo orizzonte l’alba della civiltà moderna, essa ha prodotto grandi caratteri, di classica ineguagliata perfezione, da Dante a Garibaldi.. Ma anche l’età della decadenza e della dominazione straniera le ha lasciato maschere classiche di caratteri, fra cui due tipi particolar mente elaborati: Sganarello e Dulcamara. La loro classica unità noi la vediamo impersonata nel nostro illustre Loria.
Per finire devo condurre il lettore oltre oceano. A New York il medico George C. Stiebeling ha pure trovato una soluzione del problema, e straordinariamente semplice. Così semplice che nessuno né qui né là l’ha voluta accettare; il che ha provocato in lui una profonda collera e amare lagnanze su tanta ingiustizia, esposte in una lunga sequela di opuscoli e di articoli di rivista diffusi su ambedue le sponde dell’Atlantico. Gli si disse, é vero, nella Neue Zeit, che la sua soluzione si fonda su un errore di calcolo. L’obiezione non riuscì a turbarlo; anche Marx è incorso in errori di calcolo, è ciò nonostante ha ragione in molte cose. Esaminiamo dunque la soluzione di Stiebeling.
« Si suppongano due fabbriche, che lavorano con lo stesso capitale e per identico tempo, ma con una diversa proporzione di capitale costante e di capitale variabile. Il capitale complessivo (c + v) sia posto eguale a y, e si indichi con la x la differenza nel rapporto del capitale costante col capitale variabile. Nella fabbrica I è y = c + v, nella fabbrica II é y = (c - x) + (v + x). Il saggio del plusvalore è quindi Pv : v nella fabbrica I e Pv : (v + x) nella fabbrica II. Si designi come profitto (p) il plusvalore complessivo (pv) di cui si accresce in un dato periodo di tempo il capitale complessivo y ossia c + v; dunque p = pv. Di conseguenza il saggio del profitto è p : y oppure Pv : (c + v) nella fabbrica I e ugualmente p : y oppure Pv : (c – x) + (v + x) vale a dire Pv : (c + v) nella fabbrica II.
Il... problema si risolve dunque col porre in evidenza, in base alla legge del valore, che, impiegando per un identico spazio di tempo capitali eguali ma differenti quantità di lavoro vivente, si origina, dal mutamento del saggio del plusvalore, un eguale saggio medio del profitto »- (Das Wertgesetz und die Profitrate, New York, John Heinrich).
Per quanto bello ed evidente possa essere il confronto sopra riportato, noi siamo costretti a porre una sola domanda al signor Dr. Stiebeling: come sa egli che la quantità di plusvalore prodotto nella fabbrica I è uguale, fino al centesimo, alla quantità del plusvalore prodotto nella fabbrica II ? Egli ci dice esplicitamente che c, v, y, x — cioè tutti gli altri fattori del calcolo — hanno grandezze eguali per ambedue le fabbriche, ma nulla precisa per pv. Né l’ipotesi dell’eguaglianza si può ricavare dal semplice fatto che egli indica algebricamente con pv ambedue le quantità di plusvalore qui presenti; se mai proprio quest’eguaglianza deve essere dimostrata, dato che il signor Stiebeling identifica anche il profitto p con il plusvalore senz’altra spiegazione. Ora, due soltanto sono i casi possibili: o ambedue i p hanno lo stesso valore, e ogni fabbrica produce un’eguale quantità di plusvalore, e dunque con lo stesso capitale complessivo un identico profitto, e allora il signor Stiebeling ha presupposto a priori ciò che deve dimostrare. Oppure, al contrario, una fabbrica produce una quantità di plusvalore maggiore dell’altra, e allora tutto il suo calcolo cade.
Il signor Stiebeling non si è risparmiato né fatica né spese per elevare, sulla base di questo suo errore di calcolo, intiere montagne di calcoli ed esporli quindi al pubblico. Da parte mia gli posso dare la tranquillizzante assicurazione che essi sono quasi tutti egualmente sbagliati e che, allorquando si dà una qualche eccezione alla regola, dimostrano cose del tutto diverse da ciò che l’A, intendeva. Cosi, facendo il confronto dei censimenti americani del 1870 e del 1880, egli effettivamente accerta la caduta del saggio del profitto, ma ne dà una spiegazione del tutto erronea e ritiene di dover rettificare sulla scorta della pratica la teoria di Marx di un saggio del profitto stabile, costantemente invariabile.
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