Ora dalla terza sezione di questo terzo Libro risulta che un siffatto          « saggio invariabile del profitto » attribuito a Marx è una pura fantasia, e che la tendenza alla caduta del saggio del profitto ha cause diametralmente opposte a quelle indicate dal Dr. Stiebeling. Il quale non dubito parli in perfetta buona fede; ma quando ci si vuole occupare di questioni scientifiche, si ha innanzitutto il dovere di imparare a leggere, nei termini esatti in cui l’autore le ha scritte, le opere che si intende utilizzare, senza vedervi cose che non vi si trovano.

Risultato di tutto questo lavoro di ricerca: anche a proposito della questione in esame è ancora e soltanto la scuola di Marx che ha prodotto qualcosa. Sia Fireman che Conrad Schmidt, leggendo questo terzo Libro, potranno ciascuno per la sua parte sentirsi soddisfatti del loro lavoro.

Londra, 4 ottobre 1894.

F. Engels


CONSIDERAZIONI SUPPLEMENTARI

Da quando il terzo Libro del Capitale è stato sottoposto al giudizio del pubblico, ha dato luogo ad interpretazioni molteplici e di natura diversa. Non c’era altro da attendersi. Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche. Per coloro invece che vogliono effettivamente comprendere, l’originale stesso era la cosa più importante: per essi la mia rielaborazione avrebbe avuto al massimo il valore di un commentario e per giunta di un commentario a qualche cosa di non pubblicato, d’inaccessibile. Alla prima controversia sarebbe stato pur sempre necessario far ricorso al testo originale, ed alla seconda ed alla terza sarebbe stato inevitabile la sua pubblicazione in extenso.

Tali controversie sono naturali per un lavoro che apporta tanti contributi nuovi e per di più nella forma di una prima stesura rapidamente abbozzata e, in parte, lacunosa. E a questo proposito il mio intervento può certo essere utile, per dissipare difficoltà di interpretazione, per mettere in luce dei punti di grande interesse che nel testo non hanno sufficiente rilievo, per aggiungere alcune importanti integrazioni al testo scritto nel 1865, richieste dalle mutate condizioni del 1895. Vi sono infatti già due punti per i quali mi sembra necessaria una breve spiegazione.

1. Legge del valore e saggio del profitto.

Era da attendersi che la soluzione della contraddizione apparente fra questi due fattori avrebbe dato luogo a discussioni tanto prima che dopo la pubblicazione del testo di Marx. Più di uno aspettava un vero miracolo e rimane deluso perchè in luogo dell’attesa magia si trova di fronte una mediazione semplice e razionale, prosaicamente sensata, del contrasto. Il più felice di questi delusi è naturalmente il ben noto illustre Loria. Egli ha finalmente trovato il punto d’appoggio archimedico dal quale perfino uno gnomo del suo calibro può sollevare e frantumare la compatta e gigantesca costruzione di Marx. Forse che, egli grida indignato, questa sarebbe una soluzione? Questa è una pura mistificazione! Gli economisti, quando parlano di valore, parlano del valore che si stabilisce realmente nello scambio. «Del valore a cui le merci non si vendono, né possono vendersi mai (Questo e i due corsivi seguenti sono di Engels. Le parole: « né possono vendersi mai» sono riportate in italiano nel testo) nessun economista che abbia fior di senno si è occupato né vorrà mai occuparsi... Coll’asserire che il valore a cui le merci non si vendono mai è proporzionale al lavoro in esse contenuto, che cosa ha egli fatto se non ripetere sotto una forma invertita la tesi degli economisti ortodossi, che il valore a cui le merci si vendono realmente non è mai proporzionale al lavoro in esse impiegato ?... Né punto vale a salvarla l’osservazione del Marx, che il prezzo totale delle merci coincide pur sempre, nonostante la divergenza dei prezzi dai valori singoli, col loro valore totale, ossia colla quantità di lavoro contenuto nella totalità delle merci stesse. Imperocchè essendo il valore null’altro che il rapporto di scambio fra una merce ed un’altra, il concetto stesso di un valore totale è un assurdo, un nonsenso... una contradictio in adjecto».

Proprio all’inizio del suo lavoro Marx dice che lo scambio potrebbe equiparare due merci unicamente in virtù di un elemento di uguale natura e di uguale grandezza in esse contenuto, precisamente la massa di lavoro di uguale grandezza in esse contenuta. Ed ora egli si contraddice gravemente affermando che le merci si scambiano secondo un rapporto semplice completamente diverso dalla massa di lavoro in esse contenuta. « Quando mai si ebbe una riduzione all’assurdo così piena, un fallimento teorico più completo? quando mai suicidio scientifico fu con maggior pompa e con più grande solennità consumato?» (Nuova Antologia, 1° febbraio 1895, pp.