Qualche minuto dopo riusciva a scoprire l’oca.

L’aveva afferrata per le zampe e stava per ritornare al battello, quando con sua grande sorpresa vide sfuggire dal di sotto di un’ala un piccolo involto che era assicurato con una fibra vegetale lucente, come se fosse coperta da uno strato di seta.

- Cos’č questo?… - chiese, stupito.

Esaminň con viva curiositŕ quel pacchetto: era un pezzetto di tela rigata, un pezzo di quella cotonina usata dagli indiani, accuratamente sugellata con una sostanza gommosa, pesante pochi grammi.

Lo tastň colle dita e s’accorse, con crescente stupore, che conteneva qualche cosa di rigido, come un foglio di carta piegata piů volte od un cartoncino.

- Harry - disse.

Il vecchio battelliere salě sulla sponda, dicendo:

- Cosa desiderate, signor Oliviero? - Tu, che hai viaggiato molto tempo in India con mio padre, sapresti dirmi se gl’indiani usano adoperare le oche come noi i colombi messaggeri?

- Mai, signore.

- Nemmeno i birmani o gli arracanesi?

- No, di questo sono certo.

- Emigrano le oche?

- Tutti gli anni.

- Dunque questi uccelli possono venire molto da lontano.

- Anche dalle isole del sud.

- Guarda cos’aveva quest’oca. -Un pacchetto!

- Con dei documenti, forse.

- Apritelo, signor Oliviero. Non si sa mai…

Il tenente, vinto dalla curiositŕ, lacerň con precauzione la tela e vide sfuggire vari foglietti di carta piegata in quattro, giŕ ingialliti e un po’ umidi. Li raccolse vivamente e li aprě coi dovuti riguardi temendo che si lacerassero. Erano coperti da una calligrafia fitta, ma un po’ grossolana, scritta con un inchiostro verdastro, ma non tutte le parole erano complete. Pareva che l’umiditŕ le avesse guastate, perň si potevano, con un po’ di pazienza, forse ricostruire.

- Cos’č questo? - si chiese il tenente, con crescente stupore. - Come mai questi documenti si trovano sotto un’ala di quell’oca!

- č scrittura inglese - disse il vecchio Harry. - Chi sarŕ il nostro compatriota che ha scritto questi fogli?

- Vediamo.

Il tenente passň rapidamente i foglietti che erano cinque ed in fondo lesse: ŤAli Middel, comandante della Djumna.

ŤDipartimento marittimo del Bengalať.

 

- č un angloindiano di certo - disse il tenente.

- Leggete, signor Oliviero. Chissŕ quale terribile istoria apprenderemo da quei foglietti.

- Ritorniamo nel canotto, Harry. Questo sole ci brucia vivi e puň causarci qualche insolazione.

Lasciarono l’isolotto e ritornarono al battello, sedendosi sulla banchina di poppa, che era la meglio riparata.

Il tenente accese una sigaretta, poi cominciň la lettura di quegli strani documenti, mentre Harry, sedutosi di fronte a lui, porgeva attento orecchio.

UN DRAMMA MISTERIOSO

In testa al primo foglietto, con un carattere chiarissimo, stava scritto in lingua

inglese ed in lingua bengalese:

ŤDa recapitarsi al viceré del Bengala od al presidente della “Young-India” di

Calcuttať.

- Od al presidente della ŤYoung-Indiať! - esclamň il giovane tenente. - Cos’č questa ŤYoung-Indiať? Ne sai qualche cosa tu, Harry, che hai soggiornato lungo tempo in questi paesi?…

- č una potente associazione fondata dai piů ricchi babŕ ossia borghesi del Bengala, che con scuole cerca di civilizzare la razza indiana.

- Continuo:

ŤNon so se questi documenti giungeranno in India o se quando saranno letti io sarň ancora vivo, ma almeno serviranno a punire gl’infami che hanno causato la perdita della mia grab la Djumna e del mio equipaggioť.

- č un bastimento, una grab? - chiese il tenente ad Harry.

- Sě, una piccola nave a tre alberi, colla poppa assai alta.

ŤHo lasciato Diamond-Harbour il 7 agosto del 1816 con un carico di cocciniglia per Singapore, affidatomi dal presidente della “Young-India” ed una cassa di monete d’oro bhagavadi e di rupie d’oro1 del valore di diecimila sterline da consegnarsi al signor James Fulton, domiciliato nell’isola suddetta. ŤConducevo con me, in qualitŕ di marinai, dodici uomini: tre misoriani, sette malabari e due bengalesi; i dieci primi avevano giŕ navigato altre volte senza che mai io avessi avuto a dolermi di loro, ma i due ultimi li avevo imbarcati di recente ed ignoravo che prima avessero fatto parte di quella setta infame e rapace dei fakiri samiassi…ť

 

nota: 1 La rupia d’oro vale 42 lire.

- Cosa sono questi samiassi7. - chiese il tenente, interrompendosi.

- Una setta di bricconi - disse Harry. - Voi sapete che in India vi sono varie classi di fakiri, uomini che si spacciano per santoni e che il popolo superstizioso rispetta. I saniassi sono dei furfanti che sfruttano la superstizione del popolo. Si prendono quello che a loro meglio aggrada senza che nessuno osi rivolgere loro un rimprovero; ma fanno anche di peggio, poiché sovente si radunano in grosse bande e allora saccheggiano, colla violenza, dei villaggi interi. Continuate, signor Oliviero.

ŤDovevo ben presto pentirmi dell’imbarco di quei due traditoriť continuava il documento. ŤNon so in quale modo, l’equipaggio era venuto a sapere che io avevo imbarcato quella cassa contenente le diecimila sterline, quantunque, per precauzione, avessi fatto credere che era piena di rame. ŤDa quel giorno deve essere balenato nella mente dei due antichi saniassi, il desiderio d’impadronirsi della preziosa cassa e di disfarsi di me e dei miei piů fedeli marinai.

ŤAvevo giŕ sorpreso piů volte i due saniassi in intimo colloquio con alcuni miei malabari, ma non avendo alcun sospetto, non vi avevo fatto caso. ŤIl settimo giorno perň, da che noi avevamo lasciato Diamond-Harbour, un grave avvenimento accadde a bordo e mi suscitň i primi sospetti. I miei tre mi soriani, che erano di una fedeltŕ a tutta prova, venivano trovati morti nelle loro amache, coi lineamenti spaventosamente alterati, la pelle del viso cosparsa di chiazze giallastre ed il ventre enormemente gonfio. ŤHo tutti i motivi per credere che a quei disgraziati fosse stato propinato nelle vivande un potente veleno e non esito ad imputare questo primo delitto a Hungse ed a Garrovi, i due saniassi.ť

Qui finiva la parte leggibile del primo foglietto che era il piů grande. La parte inferiore, che doveva essere stata bagnata dall’oca emigrante in una delle sue immersioni in mare, non ostante la materia resinosa che copriva la tela del pacchetto, appariva quasi bianca. Non si vedevano che poche lettere e qualche mezza riga punteggiata, ma assolutamente indecifrabile. Oliviero piegň con cura il foglietto e riprese la lettura del secondo. La prima riga appariva spezzata e doveva essere la continuazione dell’ultimo periodo corroso dall’acqua marina.

Ť… veglio sempre e se prendo qualche ora di riposo, non dimentico di collocare le mie pistole sotto il capezzale.

ŤOrmai non posso piů dubitare: Hungse e Garrovi cercano di corrompere i miei malabari e temo che per paura di subire la sventurata sorte dei miei misoriani e un po’ per aviditŕ, finiranno per volgersi contro il loro capitano. ŤLa Djumna s’avanza sempre piů nell’Oceano Indiano e le terre sono ormai cosě lontane da noi!…

ŤPenso al mio giovane fratello lasciato solo a Serampore. Lo rivedrň ancora?…

Io comincio a dubitarlo, ma confido in Dio.ť

Il secondo foglietto terminava qui, poiché l’acqua marina, che era trapelata anche su questo pezzo di carta, aveva fatto sparire le ultime righe. Gli altri tre foglietti parevano brani del giornale di bordo, strappati a casaccio, poiché avevano i margini irregolari. Erano leggibili nella parte superiore, ma in fondo mancavano anche in questi parecchie righe, specialmente nell’ultimo.

Sul terzo Oliviero lesse:

Ť16 agosto.