Cos’č accaduto?… Mi pare che la Djumna sia perfettamente immobile. Si č arenata su qualche banco?…
ŤSo che ci trovavamo a breve distanza dalla Piccola Andamana ma non so, in queste quarant’otto ore di prigionia, dove il vento abbia trascinato la grab, quindi ignoro dove possa essersi arenata. Il mio cane non urla piů. Ha guadagnato la terra od č morto? Eppure io…ť
La scrittura s’arrestava qui. Non sembrava perň che il rimanente fosse stato roso nell’acqua marina. Forse qualche grave avvenimento aveva impedito allo scrittore di terminare la frase. Piů sotto perň, in fondo al foglietto, nell’ultima riga, si leggevano ancora il nome dello scrittore e della nave, giŕ prima notati dal giovane tenente.
- Piů nulla? - chiese il vecchio Harry, dopo alcuni istanti di silenzio.
- Piů nulla - rispose Oliviero.
- Quale terribile istoria č questa?
Il tenente non rispose: cogli occhi fissi sull’acqua, pareva immerso in profondi pensieri.
- Ma quest’uomo, questo disgraziato capitano, che sia morto, annegato nella sua cabina? - chiese Harry.
- Ma allora come avrebbe potuto affidare questi documenti a quell’oca emigrante? - disse il tenente. - Ciň fa supporre che egli sia riuscito a sfondare la porta della sua cabina.
nota: 1 Barche che portano ordinariamente le grab e che hanno un albero fornito d’una vela quadra.
- č vero, signor Oliviero, ma quel dramma spaventevole č avvenuto il 18 agosto ed ora siamo agli ultimi di settembre cioč č trascorso un mese.
- Ma quell’uomo puň essere sbarcato. Diceva che la nave gli pareva immobile.
- Ma dove sarŕ sbarcato?
— Forse su qualche isola delle Andamane.
- E voi credete che egli sia ancor vivo?
— Si puň sperarlo, Harry.
— Ma gl’isolani delle Andamane lo avranno risparmiato? Voi sapete che quegli indigeni godono una fama tristissima.
- Vediamo, Harry: cosa mi consiglieresti di fare?… Io non ti nascondo che la sorte di questo disgraziato m’interessa assai e che tutto farei perché lo si salvasse. Credi tu che il governo del Bengala possa tentare qualche cosa per far luce su questo dramma terribile?
Il vecchio crollň il capo.
- Se si trattasse di qualche nave da guerra o di qualche capitano dei reali equipaggi, non esiterebbe a mandare qualche incrociatore alle isole Andamane per fare delle ricerche ed a mettere in movimento la polizia per scoprire i colpevoli, ma per un capitano della marina mercantile non muoverŕ un dito, signor Oliviero. Farŕ delle promesse, inizierŕ qualche indagine per cercare i saniassi, ma niente di piů, ve lo assicuro, tanto piů che č giŕ trascorso un mese e che non si hanno prove chiare se quel Middel sia ancora vivo.
- E si lascerebbe cosě impunito un infame delitto e si abbandonerebbe quel disgraziato?
- Il viceré ha ben altro da pensare.
- Ebbene, Harry, agirň per mio conto - disse il giovane tenente. - Giacché la sorte ha fatto cadere in mia mano questi documenti, quel disgraziato non sarŕ abbandonato al suo triste destino.
- Vorreste organizzare una spedizione alle Andamane a vostre spese?
— Mio padre mi ha lasciato una sostanza abbastanza vistosa, perché ne possa impiegare una parte in una buona opera.
- Io vi ammiro, signor Oliviero, ma permettete che il vecchio marinaio vi dia un consiglio.
- Parla, Harry.
- Cercate per ora di ottenere un congedo d’alcuni giorni e rechiamoci a Calcutta a trovare il presidente della ŤYoung-Indiať. Da quell’uomo noi potremo aver delle preziose informazioni sul conto di quel Middel e anche dei larghi aiuti forse.
- E cercheremo anche il fratello di Middel. Serampore non č che a due passi dalla capitale del Bengala e ci sarŕ facile trovarlo.
- Ben detto, signore, ma bisognerebbe mettere le mani sui due saniassi o sui malabari, per sapere dove si trovava la grab quando venne abbandonata. Le Andamane sono molte e, se si dovesse visitare tutto l’arcipelago, non basterebbero sei mesi. Chissŕ!… La ŤYoung-Indiať č un’associazione potente e potrebbe fare delle ricerche.
- Ritorniamo, Harry. Fra tre giorni potremo lasciare PortCanning con un permesso in tasca.
Il vecchio marinaio riprese le pagaie e spinse il battello al largo, risalendo la baia verso settentrione.
IL PRESIDENTE DELLA ŤYOUNG-INDIAť
Tre giorni dopo gli avvenimenti narrati, il giovane tenente ed il vecchio marinaio, montati su un dhumni, percorrevano di galoppo le pianure del delta gangetico, sulla via che da PortCanning mette a Calcutta, passando per la piccola stazione di Sonapore.
Il permesso chiesto al comando di Calcutta era stato subito accordato, ed il generoso tenente si affrettava ad approfittarne, per fare un po’ di luce su quella strana e drammaticissima istoria, prima di organizzare la spedizione giŕ ormai progettata, per recarsi in soccorso di quello sventurato capitano e di fare i passi opportuni per chiedere il soccorso del governatore del Bengala. Il dhumni, guidato da un giovane indiano, a cui avevano promesso alcune rupie, se riusciva a condurli a Calcutta prima che tramontasse il sole, correva velocemente sulla via polverosa di Sonapore.
Queste vetture, adoperate in quasi tutta l’India, tengono il posto delle nostre corriere, ma non portano che un numero limitatissimo di viaggiatori. Sono rozzi veicoli con due pesanti ruote e riparati da un tetto di foglie, per non esporre i viaggiatori ai colpi di sole, cosě frequenti in quelle regioni estremamente calde.
A questo veicolo non sono attaccati cavalli, ma invece due specie di buoi chiamati zebů, bianchi, alti, con lunghe corna ricurve e il dorso sormontato da una gobba, simile a quella dei dromedari, ma non cosě ritta, poiché pende o da un lato o dall’altro.
Non si creda perň che gli zebů abbiano il passo lento dei nostri buoi, anzi mantengono per delle ore un galoppo discretamente rapido e, se lo rallentano, il conduttore, che sta seduto a cavallo del timone, si affretta ad aizzarli con un bastone armato di chiodi e se non basta, torce ai poveri animali crudelmente la coda. Il tenente e Harry, comodamente sdraiati sotto la vňlta di frasche, insensibili
ai trabbalzi disordinati della carretta, fumavano, lanciando di tratto in tratto uno sguardo sulle grandi pianure del delta, mentre l’indiano aizzava senza posa i due zebů, che fumavano giŕ come zolfatare sotto quell’ardente sole. A destra ed a sinistra gli alberi fuggivano con rapiditŕ e fra le erbe ed i bambů s’alzavano stormi di corvi, di bozzagri, di nibbi, di cicogne, di pappagalli, di colombi bianchi e di tortorelle, spaventati dal fragoroso rotolare della carretta, mentre fra i macchioni di kalam, dagli steli alti ben cinque metri, s’alzavano bande di splendidi pavoni dalle penne scintillanti, a sfumature d’oro e azzurro metalliche. Gli animali non mancavano. Di tratto in tratto qualche graziosa nilgň, grossa antilope azzurra, della corporatura dei nostri cervi, ma di forme piů eleganti, col pelame grigio-azzurrognolo e col capo armato di corna sottili, aguzze, lunghe un piede, attraversava la via, rapida come una folgore, scomparendo fra le folte macchie di bambů.
Talvolta invece era qualche drappello di sciacalli, animali comunissimi in tutta l’India, somiglianti ai cani, ma coll’andatura dei lupi, pericolosi solamente quando sono in grandi bande ed affamati.
Generalmente perň si accontentano delle carogne, ed č appunto per questo che gl’indiani li lasciano tranquilli.
Apparivano un istante sul margine della strada, emettevano le loro urla lamentevoli, tristi, ma poi s’affrettavano a rintanarsi.
Quelle vaste pianure, che si estendono per un tratto immenso fino alle sponde del golfo del Bengala, mutandosi piů al sud in acquitrini, dove regnano le febbri ed il cholera e dove scorrazzano libere le tigri e migliaia di serpenti quasi tutti velenosi, erano invece quasi deserte. Solamente a grandi distanze si vedeva qualche misera capannuccia, soffocata fra i bambů giganti o qualche piccolo attruppamento di casolari, circondato da risaie o da campi seminati di barn, che č una specie di miglio o di jowar, che somiglia al nostro orzo. A mezzodě il dhumni fece una fermata all’ombra d’un manghiero, albero che produce delle frutta che si fondono come le pesche e molto gustose. I poveri animali, che avevano mantenuto un galoppo costante, sotto quel sole bruciante, avevano urgente bisogno d’un po’ di riposo.
Quella fermata non durň che una sola ora. La carretta riprese ben tosto la sua corsa disordinata attraverso ad una strada pantanosa, fiancheggiata da pochi pipai dal tronco enorme e dal fogliame cupo e fitto assai, e da macchioni immensi di bambů selvatici, entro i quali forse si celavano i serpenti gulabi dalla pelle rossastra picchiettata di rosso corallo o qualcuno di quei boa color verde-azzurrognolo, cogli anelli picchiettati di colore oscuro, che valsero loro il nome di pitone tigrato e che raggiungono una lunghezza di quattordici piedi. L’acqua del fiume gigante che circonda quelle terre del delta, trapelava dovunque. Dappertutto si vedevano stagni, entro i quali guazzavano battaglioni di anitre braminiche e pantani sopra i quali s’alzava una nebbiola esalante miasmi mortali per l’europeo non acclimatizzato.
Si puň dire che quasi tutte le terre che abbracciano metŕ del Bengala, sono formate da banchi di fango che il sole ardente continuamente asciuga, ma che le acque del Gange costantemente inumidiscono. Guai se si trovassero in altro clima!… Il Bengala sarebbe inabitabile, poiché senza quel sole cosě caldo, tutte quelle terre non tarderebbero a diventare una palude immensa.
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