«Basta», disse K., «a quanto pare volete incominciare a distinguervi». Ma anche il primo stava già dicendo: «Ha ragione, non è possibile, nessun forestiero può entrare nel castello senza permesso». «Dove si deve richiedere questo permesso?». «Non so, forse dal custode». «Allora chiediamolo per telefono; presto, telefonate al custode, tutti e due!». Essi corsero all'apparecchio, ottennero la comunicazione - come si stringevano attorno al telefono! all'apparenza erano di una docilità ridicola - e chiesero se K. poteva venire con loro al castello l'indomani. Fin dal suo tavolo K. poté sentire il «no!» della risposta. Ma questa era ancora più esplicita: «Né domani, né un'altra volta». «Telefonerò io stesso», disse K. e si alzò. Se finora, a parte l'incidente del contadino, K. e i suoi aiutanti erano passati quasi inosservati, quest'ultima frase richiamò l'attenzione generale. Tutti si alzarono allo stesso tempo di K. e, malgrado il tentativo dell'oste di tenerli indietro, si strinsero in semicerchio attorno all'apparecchio. L'opinione prevalente fra di loro era che K. non avrebbe ricevuto risposta. K. dovette pregarli di stare zitti, dicendo di non aver chiesto il loro parere.
Dal ricevitore uscì un brusìo come K. non aveva mai sentito al telefono. Era come se dal brusìo d'innumerevoli voci infantili - ma non era un brusìo, era un canto di voci lontane, lontanissime -, come se da questo brusìo si formasse, in un modo che aveva francamente dell'impossibile, un'unica voce, acuta ma forte, che colpiva l'orecchio quasi chiedesse di penetrare più profondamente, oltre il misero organo dell'udito. K. ascoltava senza parlare, aveva appoggiato il braccio sinistro alla mensola del telefono e ascoltava.
Non poteva dire per quanto tempo era rimasto così; a un certo punto l'oste l'aveva tirato per la giacca dicendo che era arrivato un messaggero e chiedeva di lui. «Via!», gridò K. incapace di controllarsi, e forse lo gridò dentro al telefono perché all'altro capo del filo qualcuno rispose. Si svolse il seguente dialogo: «Pronto, sono Oswald, chi parla?», gridò una voce severa e arrogante, con un leggero difetto di pronuncia - così parve a K. - che l'uomo si sforzava di compensare con un'aggiunta di severità. K. esitava a dire il proprio nome, di fronte al telefono era inerme, l'altro poteva tuonargli addosso, riattaccare il ricevitore, ed egli si sarebbe preclusa una strada che forse non era trascurabile.
1 comment