L'esitazione di K. spazientì l'uomo. «Chi parla?», ripeté, e aggiunse: «Gradirei molto che mi si chiamasse un po' meno spesso da lì, hanno appena telefonato un minuto fa». K. non raccolse l'appunto e con improvvisa decisione disse: «Sono l'aiutante del signor agrimensore». «Quale aiutante? Quale signore? Quale agrimensore?», K. ricordò la telefonata del giorno prima. «Chieda a Fritz», disse brevemente. Con suo stesso stupore la cosa funzionò. Ma ancor più dell'effetto ottenuto lo stupì il perfetto coordinamento dei servizi del castello. La risposta fu: «So già, l'eterno agrimensore. Sì, sì. E poi? Quale aiutante?». «Josef», disse K. Era un po' disturbato dal mormorio dei contadini alle sue spalle; evidentemente disapprovavano che egli si presentasse sotto falso nome. Ma K. non aveva tempo di badare a loro, la conversazione richiedeva tutta la sua attenzione. «Josef?», chiese di rimando la voce. «Gli aiutanti si chiamano...» breve pausa, era chiaro che Oswald si stava facendo suggerire i nomi da qualcuno, «Artur e Jeremias». «Questi sono gli aiutanti nuovi», disse K. «No, sono i vecchi». «Sono i nuovi, e io sono il vecchio aiutante che oggi ha raggiunto il signor agrimensore». «No!», gridò questa volta Oswald. «E chi sono io allora?», chiese K. mantenendo sempre la calma. E, dopo una pausa, la stessa voce, che aveva lo stesso difetto di pronuncia e tuttavia era come una voce diversa, più profonda, più autorevole, disse: «Tu sei il vecchio aiutante».
Attento al timbro della voce, per poco K. non udì la domanda che seguì: «Che cosa vuoi?». Avrebbe preferito riattaccare subito il ricevitore. Da quella conversazione non si aspettava più nulla. Ma con uno sforzo chiese ancora rapidamente: «Quando può venire al castello il mio padrone?».
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