Mi ripromettevo gioie illimitate, perché riuscendo a fare in quattr’ore il lavoro che i miei antichi condiscepoli non facevano in due giorni, mi restava libera più di mezza giornata. Passeggiavo solo sulla riva della Marna, la quale era a tal punto il nostro fiume che le mie sorelle dicevano, parlando della Senna, “una Marna”. Andavo perfino nel battello di mio padre, nonostante il suo divieto; ma non remavo, senza però confessare a me stesso che la paura che avevo non era quella di disobbedirgli, ma paura senz’altra aggiunta. Sdraiato nel battello, leggevo: duecento libri tra il 1913 e il 1914. Non quelli che si dicono libri cattivi, ma piuttosto i migliori, se non per il loro spirito per lo meno per il loro pregio. Così, molto più tardi, nell’età in cui gli adolescenti disprezzano i libri della Biblioteca Azzurra, presi gusto al loro fascino infantile, mentre allora per nulla al mondo mi sarei piegato a leggerli.

L’inconveniente di tali ricreazioni che si alternavano con lo studio era di trasformare per me tutto l’anno in pseudo-vacanze. Così il mio studio d’ogni giorno era roba da poco, ma siccome, pure studiando per meno tempo degli altri, studiavo anche quando essi erano in vacanza, quel poco era come il pezzo di sughero che un gatto si porta per tutta la vita attaccato alla coda, mentre preferirebbe certamente trascinare per un mese una casseruola.

Le vere vacanze si avvicinavano, e io me ne occupavo pochissimo, perché nulla sarebbe cambiato per me. Il gatto guardava sempre il formaggio sotto la campana. Ma venne la guerra e ruppe la campana. I padroni ebbero altro da fare che badare a lui e il gatto se ne rallegrò.

Per dire la verità tutti se ne rallegravano, in Francia. I fanciulli, coi libri di premio sotto il braccio, si accalcavano dinanzi ai manifesti. I cattivi scolari approfittavano del disordine in famiglia.

Andavamo ogni giorno, dopo pranzo, alla stazione di J…, a due chilometri da casa nostra a veder passare i treni militari. Portavamo con noi delle campanule e le gettavamo ai soldati. Signore in càmice versavano vino rosso nei bidoni e ne spandevano sulla banchina cosparsa di fiori. Tutto questo è per me come il ricordo d’un fuoco d’artificio. E mai tanto vino fu sprecato, tanti fiori morirono.

Dovemmo imbandierare le finestre di casa.

Presto non andammo più a J… I miei fratelli e le mie sorelle cominciavano a trovar lunga la guerra che li privava del mare.

Abituati a levarsi tardi, dovevano andare a comprare i giornali alle sei. Meschina distrazione! Ma, verso il venti agosto, i piccoli mostri ripigliano speranza. Invece di lasciare la tavola a cui si attardano i grandi, restano a sentire mio padre parlar di partenza. Senza dubbio non vi sarebbero più stati mezzi di trasporto. Avremmo dovuto fare un lungo viaggio in bicicletta. I miei fratelli prendono in giro la sorellina: le ruote della sua bicicletta hanno appena quaranta centimetri di diametro. “Ti lasceremo indietro per strada.” La sorellina singhiozza. Ma che ardore per lustrare le macchine! Non più pigrizia.