La mia sola distrazione in quel cupo inverno fu di correre dalla nostra giornalaia per assicurarmi un esemplare di “Le Mot”, giornale che mi piaceva e che usciva il sabato.

Quel giorno non mi alzavo mai tardi.

Ma venne la primavera, rallegrata dalle mie prime gesta. Col pretesto delle questue, più volte, in quella primavera, andai attorno, in abito da festa, con una ragazza alla mia destra. Io tenevo la cassetta; essa, il panierino coi distintivi. Fin dalla seconda questua, i compagni m’insegnarono ad approfittare di quelle giornate libere in cui venivo gettato tra le braccia d’una ragazzetta. D’allora in poi, ci affrettavamo a raccogliere, nella mattina, quanto più danaro potevamo, consegnavamo a mezzogiorno il frutto della questua alla dama patronessa e andavamo a scorrazzare tutto il giorno sulle colline di Chennevières. Per la prima volta ebbi un amico. Mi piaceva questuare con sua sorella. Per la prima volta andavo d’accordo con un ragazzo precoce quanto me, ammiravo anzi la sua bellezza, la sua sfacciataggine. Il comune disprezzo pei nostri coetanei ci ravvicinava ancora di più. Noi soli ci giudicavamo capaci di comprendere le cose; e finalmente, noi soli ci trovavamo degni delle donne. Ci credevamo uomini. Per buona fortuna non dovevamo dividerci. Renato andava già all‘“Enrico Quarto”, ed io sarei stato nella sua stessa classe, in terza. Egli non doveva studiare il greco; mi fece l’estremo sacrificio di convincere i suoi genitori a farglielo studiare. Così saremmo stati sempre insieme. Siccome non aveva fatto il primo anno di greco, significava essere obbligato a prendere lezioni private. I genitori di Renato non ci capirono nulla, essi che, l’anno prima, avevano ceduto alle sue suppliche di non fargli studiare il greco. Videro in ciò un effetto della mia buona influenza e, se sopportavano gli altri compagni di lui, io ero, almeno, il solo amico che approvassero.

Per la prima volta, nessun giorno delle vacanze di quell’anno mi fu pesante. Seppi dunque che nessuno sfugge alla sua età, e che il mio pericoloso disprezzo s’era fuso come ghiaccio appena c’era stato qualcuno che avesse voluto occuparsi di me, nel modo che mi conveniva.

I passi che in comune facemmo l’uno verso l’altro abbreviarono della metà la distanza che l’orgoglio di ciascuno doveva varcare.

Il giorno della riapertura delle scuole, Renato fu per me una guida preziosa.

Con lui tutto per me diventava piacere ed io che, solo, non riuscivo a fare un passo, mi divertivo a fare a piedi, due volte al giorno, la strada dall‘“Enrico Quarto” alla stazione della Bastiglia, dove prendevamo il treno.

Tre anni passarono così, senz’altre amicizie, e senz’altra speranza che i divertimenti del giovedì - colle ragazzette che i genitori del mio amico innocentemente ci fornivano, invitando insieme a merenda gli amici del figlio e le amiche della figlia, - piccoli favori che rubavamo loro e che esse ci rubavano col pretesto dei giochi di penitenza.

Venuta la bella stagione, mio padre conduceva volentieri mio fratello e me a far lunghe gite. Una delle nostre mete favorite era Ormesson, e ci piaceva seguire il Morbras, fiume largo un metro, che attraversava praterie in cui nascono fiori che non s’incontrano altrove, e di cui ho dimenticato il nome. Ciuffi di crescione o di menta nascondono, al piede che si arrischia, il punto dove comincia l’acqua. Il fiume trasporta a primavera migliaia di petali bianchi e rosa: biancospini.