E da lì, per mezzo di un mio spirito veloce, mi son fatto portare l’uva che vedete.

DUCHESSA: E davvero è l’uva più saporita che abbia mai gustata.

(I clowns picchiano all’uscio)

DUCA: Che razza di villani ci sono alla porta? Andate a calmare quegli infuriati, aprite e chiedete cosa vogliono.

(I clowns bussano li nuovo e gridano di voler parlare con Faust)

UN SERVO: Signori miei, cos’è questo fracasso? Per quale motivo disturbate il duca?

DICK: Per nessuno, di lui non ce ne importa un fico.

SERVO: Canaglie, avete il coraggio d’essere così sfacciati?

MERCANTE: Messere, abbiamo abbastanza cervello, spero, per essere più sfacciati che benvenuti.

SERVO: Proprio così. Vi prego d’essere sfacciati altrove e di non dar fastidio al duca.

DUCA: Ma cosa vogliono?

SERVO: Insistono per parlare col dottor Faust.

CARRETTIERE: Sì, e con lui parleremo.

DUCA: Davvero? Mettete in galera quei farabutti.

DICK: Mettere a noi? La metta a suo padre piuttosto, altro che mettere a noi.

FAUST: Vostra grazia, la prego, li faccia entrare, ci serviranno da divertimento.

DUCA: Come volete, Faust, sarà fatto.

FAUST: Ringrazio vostra grazia.

(Entrano [Robin] il clown, Dick, il carrettiere e il mercante)

Allora, amici mici, che succede? Siete troppo sfacciati a dire il vero, ma avvicinatevi, vi ho procurato il perdono. Do a tutti il benvenuto!

ROBIN: Nessun benvenuto, messere, abbiamo la grana e paghiamo le consumazioni. Ehi, portateci mezza dozzina di birre e andate a farvi fottere!

FAUST: Un momento, un momento, sapete dove vi trovate?

CARRETTIERE: Sì, ci troviamo sotto il cielo.

SERVO: D’accordo, messer facciatosta, ma in che posto?

MERCANTE: Ma si, il posto va bene per bere un goccio. Cribbio, mescete questa birra o spacchiamo le botti, e con le bottiglie i crani.

FAUST: Calma, vi prego. Avrete da bere. Signor mio, vi scongiuro datemi un po’ di tempo e scommetto il mio credito che la cosa vi divertirà.

DUCA: Con tutto il cuore. I servi e la corte sono ai tuoi ordini.

FAUST: Ringrazio umilmente. Portate della birra.

MERCANTE: Benone, questo sì ch’è parlare da dottore, e in fede mia per questo detto farò un brindisi alla tua gamba di legno.

FAUST: La mia gamba di legno? Che vuoi dire?

CARRETTIERE: Ah ah, lo senti, Dick, ha scordato la gamba di legno!

MERCANTE: Certo non ci batte troppo.

FAUST: Non su una gamba di legno.

CARRETTIERE: Ma bontadiddio, vossignoria, come mai così smemorato? Non ricorda un mercante di cavalli al quale ha venduto un cavallo?

FAUST: Ricordo di aver venduto un cavallo a qualcuno.

CARRETTIERE: E non ricorda che gli ha detto di non portarlo all’acqua?

FAUST: Sì, lo ricordo bene.

CARRETTIERE: E della gamba non ricorda niente?

FAUST: No, parola mia.

CARRETTIERE: Allora, prego, ricorda come si fa un inchino?

FAUST: Certo: così.

CARRETTIERE: Non vale un fico! Mi dica un’altra cosa.

FAUST: Che cosa?

CARRETTIERE: Le gambe di vossignoria vanno a letto insieme?

FAUST: E che, mi fai un colosso?

CARRETTIERE: No davvero, di vossignoria non faccio un corno, ma vorrei una risposta.

(Entra l’ostessa con la birra)

FAUST: Allora t’assicuro che dormono insieme.

CARRETTIERE: Grazie, non mi serve altro.

FAUST: Ma perché l’hai chiesto?

CARRETTIERE: Per niente. Però ho l’idea che uno dei vostri compagni di letto è un ciocco. MERCANTE: Proprio così. Rispondi a me ora! Non ti ho strappato una gamba mentre dormivi?

FAUST: Sì, ma ora che sono sveglio ce l’ho di nuovo. Guarda!

TUTTI: E’ spaventoso! Aveva dunque tre gambe?

CARRETTIERE: Te lo ricordi che m’hai fregato mangiando il mio carico di…

(Faust lo fa diventar muto)

DICK: E te lo ricordi che m’hai fatto diventare una sci…

(Faust lo fa diventar muto)

MERCANTE: Gran figlio di puttana, te lo ricordi che m’hai fatto fesso con un… (Faust lo fa diventar muto).

ROBIN: E me, m’hai scordato? Credi di passarla liscia coi tuoi trucchi e trucchetti? Non ricordi la faccia di ca…

(Faust lo fa diventar muto. I clowns escono)

OSTESSA: Chi paga la birra? Senti qua, dottore, adesso che hai fatto sparire i clienti, si può sapere chi mi paga la bi…

(Faust la fa diventar muta. L’ostessa esce)

DUCHESSA: Mio signore, dobbiamo molto a quest’uomo sapiente.

DUCA: E’ vero, signora. Lo ricompenseremo col nostro affetto e la nostra riconoscenza. I suoi scherzi ingegnosi guariscono ogni tristezza.

(Escono)

SCENA DICIASSETTESIMA

(Tuono e lampo. Entrano diavoli con piatti coperti. Mefistofele li introduce nello studio di Faust. Poi entra Wagner)

WAGNER: Credo che il mio padrone senta avvicinarsi la morte. Ha fatto testamento e m’ha lasciato quanto possiede, la casa, l’arredamento, molte stoviglie d’oro, e in più duemila ducati nuovi di zecca. Però non capisco, se stesse davvero per morire non sarebbe così spensierato. E’ a cena coi colleghi e mangiano come maiali, una simile scorpacciata non l’ho mai vista. Ma eccoli, arrivano, la festa sembra finita.

(Esce)

(Entrano Faust, Mefistofele, e due o tre universitari)

PRIMO UNIVERSITARIO: Maestro, dopo la nostra disputa sulla beltà delle donne, su chi sia stata la più bella del mondo, abbiamo concluso tra noi che Elena di Grecia fu la donna più bella che sia mai vissuta. E perciò, maestro, se voi foste così generoso da mostrarci quella donna incomparabile, quella maestà che tutto il mondo ammira, ve ne saremmo infinitamente riconoscenti.

FAUST: Signori, so che la vostra amicizia è sincera, e Faust non usa rifiutare le richieste legittime di chi gli vuol bene.

Vedrete quella dama impareggiabile, bella e maestosa proprio come quando ser Paride passò con lei i mari e portò la preda nella ricca Dardania.

Ora fate silenzio, parlare è pericoloso.

(Si sente una musica e Mefistofele fa entrare Elena che attraversa la scena)

SECONDO UNIVERSITARIO: Non ho abbastanza ingegno per trovare lodi a questa maestà che tutto il mondo ammira.

TERZO UNIVERSITARIO: Ora capisco perché i greci vendicarono con dieci anni di guerra il ratto di questa regina:

la sua bellezza è celeste, non ha confronti.

PRIMO UNIVERSITARIO: Abbiamo visto l’orgoglio della natura e l’unico esempio della perfezione.

Andiamo. E per questa apparizione beata Faust sia felice e lodato per sempre.

(Escono gli universitari)

FAUST: Addio, signori. A voi lo stesso augurio.

(Entra un vecchio)

IL VECCHIO: Ah Faust, lascia quest’arte maledetta, questa magia che adesca la tua anima all’inferno e ti priva della salvezza.

Hai peccato da uomo, ma ora non perseverare nel male da demonio.

Hai ancora un’anima, anima degna d’amore, se in te il peccato non diventa natura:

poi sarà troppo tardi per pentirti, poi sarai bandito dal cielo, e nessun mortale può dire le pene dell’inferno.

E forse la mia esortazione ti parrà dura e sgradevole, ma non sia così, figlio mio caro, non parlo con ira o inimicizia, ma con vero amore e pena per la tua miseria futura.

Spero che il mio rimprovero affettuoso raffreni la tua carne e salvi l’anima.

FAUST: Dove sei, Faust? Disgraziato, che hai fatto?

Sei condannato, Faust. Dispera e muori.

(Mefistofele gli dà un pugnale)

L’inferno esige il suo credito e grida:

Faust, vieni, l’ora è quasi scoccata.

E Faust viene ora a pagare il debito.

(Alza il pugnale)

IL VECCHIO: Fermo, Faust, non agire da disperato.

Su te vedo un angelo, vuole versarti nell’anima l’ampolla piena di grazia.

Chiedi pietà, non disperare.

FAUST: Ah, dolce amico, le tue parole confortano quest’anima infelice.

Lasciami solo, a meditare sui miei peccati.

IL VECCHIO: Ti lascio, Faust, ma pieno di apprensione.

La tua anima è debole. Temo il suo nemico.

(Esce)

FAUST: Faust maledetto, dove troverai misericordia?

Mi pento, e dispero.

Nel mio petto l’inferno combatte con la grazia.

Che farò per sfuggire alla rete della morte?

MEFISTOFELE: Traditore, incateno la tua anima per ribellione al mio signore.

Pentiti, o ti sbranerò.

FAUST: Mi pento di averlo offeso!

Dolce Mefistofele, supplica il tuo signore, perdoni la mia ingiusta presunzione e io confermerò col mio sangue il voto fatto a Lucifero.

MEFISTOFELE: Avanti dunque, confermalo, e sii sincero o pagherai più cari i tuoi traccheggi.

FAUST: Amico mio, tormenta quel brutto vecchio gobbo che osava mettermi contro Lucifero con le torture più orribili del nostro inferno.

MEFISTOFELE: La sua fede è grande, l’anima non la posso toccare.

Ma tutto ciò che può affliggere il corpo lo proverò, per quel che vale.

FAUST: Solo una cosa ti chiedo, servo fedele, per saziare la smania del mio cuore, fammi avere per amante quella divina Elena che ho visto:

le sue braccia tenere soffocheranno i pensieri che mi dissuadono dal voto, mi terranno stretto a Lucifero.

MEFISTOFELE: Questo o qualsiasi cosa il mio Faust vuole, sarà fatta in un batter d’occhio!

(Rientra Elena e attraversa la scena fra due amorini)

FAUST: Fu questo il viso che varò mille navi e bruciò le torri immense di Troia?

Elena, rendimi immortale con un bacio.

Le sue labbra succhiano l’anima. Guarda dove vola.

Vieni Elena, vieni, ridammi l’anima.

Qui resterò, che il cielo è in queste labbra e tutto tranne Elena è fango.

(Entra il vecchio [in alto])

Mi farò Paride e, per amor tuo, non Troia ma Wittenberg sarà distrutta, e lotterò col fiacco Menelao e avrò il tuo segno sull’elmo piumato.

Sì, ferirò Achille nel tallone e poi tornerò da Elena per un bacio.

Sei più dolce dell’aria della sera che veste la beltà di mille stelle, più luminosa di Giove in fiamme quando apparve a Semele sfortunata, più dea del dio del cielo che Aretusa stringe vogliosa nelle braccia azzurre, e nessun’altra mai sarà mia amante.

(Escono)

IL VECCHIO: Faust, maledetto, infelice, che chiudi l’anima alla grazia e volti le spalle al tuo giudice.

(Entrano i diavoli)

Satana comincia a provarmi con la sua superbia.

Se in questa fornace Dio vuol mettere a prova la mia fede, la mia fede trionferà su di te, vile inferno.

Demoni ambiziosi, guardate come i cieli sorridono su di voi, sconfitti e derisi.