A vedere mangiare gli altri mi struggo. Venisse la carestia nel mondo, crepassero tutti, resterei sola e vedresti come ingrasserei. Ma dico, tu stai seduto e io in piedi? Metti i piedi a terra, maledizione!

FAUST: Fuori, cagna invidiosa! Tu chi sei?

RABBIA: La Rabbia. Non ho né padre né madre, son saltata fuori dalla bocca d’un leone quand’ero appena d’un’ora e ho scorrazzato per il mondo con questo paio di spadoni. Se non trovo da azzuffarmi mi tiro qualche stoccata addosso. Sono nata all’inferno, pensateci bene, qualcuno di voi sarà mio padre.

FAUST: E tu, la quinta, chi sei?

GOLA: Sono la Gola. I miei son tutti morti, e sian dannati se m’hanno lasciato un quattrino, solo una miseria di rendita che ci compro trenta pasti e dieci spuntini al giorno, un assaggio per la mia costituzione. Discendo da un ceppo regale, mio padre era un prosciutto di porco e mia madre una botte di chiaretto. I miei padrini furon Pietro Salacca e Martino Carnesecca, ma la madrina, oh la madrina, fu gentildonna di ceppo antico, Margherita Birradimarzo. E ora che conosci la casata, Faust, m’inviti a cena?

FAUST: No di certo.

GOLA: Allora il diavolo ti strozzi.

FAUST: Strozzati tu, ghiottona. Tu chi sei, la sesta?

ACCIDIA: Uah! L’Accidia. Nata su una china al sole. Sto lì sdraiata.

Che stronzata portarmi fin qua! Fatemi subito riportare da Gola e Lussuria… Basta, non dico altro.

FAUST: E tu chi sei, Madama la Civetta, settima e ultima?

LUSSURIA: Chi, io, signore? Sono una che preferisce un palmo di salame crudo a una canna di baccalà fritto. E la prima lettera del mio nome è Lussuria.

LUCIFERO: Via, via, all’inferno! Su, pifferaio!

(Escono i peccati)

FAUST: Ah, che divertimento.

LUCIFERO: Faust, l’inferno è pieno di divertimenti.

FAUST: Potessi vederlo e tornare vivo, sarei felice.

LUCIFERO: Lo vedrai. Ti mando a prendere a mezzanotte. Intanto leggi questo libro, studialo bene e potrai trasformarti come ti pare.

FAUST: Grazie, potente Lucifero, l’avrò caro come la vita.

LUCIFERO: E ora, Faust, salute!

FAUST: Salute, grande Lucifero. Vieni, Mefistofele.

(Escono tutti da varie parti)

SCENA SETTIMA

(Entra [Robin] il clown)

ROBIN: Oé, Dick, bada ai cavalli, che torno subito. Ho qui un libro stregato del dottore e mo’ ne facciamo di belle.

(Entra Dick)

DICK: Piantala, Robin, c’è da menare i cavalli.

ROBIN: Io menare i cavalli? Me ne fotto, ho altro per le mani, i cavalli si possono menare da soli, ci puoi contare. “A per se, a, g, 1, i, gli. O per se o, demi orgon, gorgon”. Scòstati, scòstati, stalliere illetterato e ignorante!

DICK: Cristo! Che hai, un libro? Ma se non sai leggere una parola.

ROBIN: No? Lo vedrai subito. Scòstati dal cerchio ti dico, o ti spedisco in locanda a culo in aria.

DICK: Come no! Piantala con queste boiate, che se arriva il padrone ti strega sul serio.

ROBIN: Il padrone strega me? Sta’ a sentire, se arriva il padrone gli sbatto in testa un paio di corna che non ne ha viste d’uguali.

DICK: Ti puoi risparmiare la fatica, ci ha pensato la padrona.

ROBIN: Giusto. E qualcuno qui ha inzuppato pane in pentola come altri, se volessero parlare.

DICK: Ti pigli un acciacco! Lo sapevo che non le scodinzolavi dietro per niente. Ma di’ un po’, per favore, proprio insinceramente, Robin, quello lì è sul serio un libro stregato?

ROBIN: Avanti, di’ cosa vuoi che ti faccio e te lo faccio. Vuoi ballare nudo? Levati gli stracci e ti incanto in un momento. Oppure, se non vuoi altro che venire all’osteria, ti darò vin bianco, rosso e rose, vinsecco, moscatello, malvasia e vin caldo, tutto a volontà e senza spendere un quattrino.

DICK: Caspita, andiamoci subito, sono secco come un cane.

ROBIN: Allora in marcia!

(Escono)

CORO 2

(Entra il Coro)

Per scoprire i segreti dell’Astronomia incisi da Giove nel libro del firmamento, Faust ha scalato la vetta dell’Olimpo.

Lassù prende posto su un cocchio abbagliante tirato da draghi dai colli poderosi e sale a vedere le nuvole, i pianeti, le stelle, i tropici, le zone e gli spazi che dividono il cielo, dall’orbita lucente della falce lunare fino all’altezza del “Primum Mobile”.

E rotando con questo nell’area concava dei poli i draghi sfrecciano da oriente a occidente e in otto giorni lo riportano in patria.

Ma egli non resta a lungo nella pace della casa a riposare le ossa dopo tante fatiche.

Nuove imprese lo spingono a uscire, e ora, montato su un drago dalle ali che fendono l’aria sottile, è andato a far esperienze di cosmografia, che misura i contorni e i regni della terra.

E anzitutto, immagino, scenderà a Roma per vedere il papa e i costumi della sua corte e prendere parte alla festa di san Pietro che si celebra oggi, con grande solennità.

(Esce)

SCENA OTTAVA

(Entrano Faust e Mefistofele)

FAUST: Mio gentile Mefistofele, ho ammirato molto la superba Treviri, cerchiata di monti ariosi, con mura di pietra e fossati profondi. Non c’è principe che potrebbe espugnarla. Da Parigi, seguendo i confini di Francia, abbiamo visto il Meno gettarsi nel Reno tra sponde fitte di bei vigneti, e la fertile Campania fino a Napoli, coi suoi palazzi stupendi e le strade dritte, ben lastricate, che dividono la città in quattro parti. E la tomba d’oro del saggio Marone, e la strada lunga un miglio che tagliò nella roccia in una sola notte. Di lì altre città, Padova, Venezia, con quella gran chiesa in mezzo che minaccia le stelle col campanile superbo, i muri coperti di pietruzze colorate e le volte di bei lavori d’oro.