Il fantasma di Canterville

Oscar Wilde

Il Fantasma Di Canterville

The Canterville Ghost © 1887

Prefazione

Questo non è il luogo di indagare lo strano problema della vita di Oscar Wilde né di determinare fino a che punto l’atavismo e la forma epìlettoide della sua nevrosi possano scagionarlo di ciò che a lui si imputò. Innocente o colpevole che fosse delle accuse mossegli, era indubbiamente un capro espiatorio. La sua maggior colpa era quella di aver provocato uno scandalo in Inghilterra; ed è ben noto che l’autorità inglese fece il possibile per indurlo a fuggire prima di spiccare contro di lui un mandato di cattura. A Londra sola, dichiarò un impiegato del ministero dell’interno, durante il processo, più di ventimila persone sono sotto la sorveglianza della polizia, ma rimangono a piede libero fintantoché non provochino uno scandalo. Le lettere di Wilde ai suoi amici furono lette dinanzi alla Corte e il loro autore venne denunziato come un degenerato, ossessionato da pervertimenti erotici. « Il tempo guerreggia contro di te; è geloso dei tuoi gigli e delle tue rose. » « Amo vederti errare per le vallate violacee, fulgido colla tua chioma color miele. » Ma la verità è che Wilde, lungi dall’essere un mostro di pervertimento sorto in modo inesplicabile nel mezzo della civiltà moderna d’Inghilterra, è il prodotto logico e necessario del sistema collegiale e universitario anglosassone, sistema di reclusione e di segretezza. L’incolpazione del popolo procedeva da molte cause complicate; ma non era la reazione semplice di una coscienza pura.

Chi studi con pazienza le iscrizioni murali, i disegni franchi, i gesti espressivi del popolo, esiterà a crederlo mondo di cuore. Chi segua dal di presso la vita e la favella degli uomini, sia nello stanzone dei soldati, che nei grandi uffici commerciali, esiterà a credere che tutti coloro che scagliarono pietre contro il Wilde furono essi stessi senza macchia. Difatti ognuno si sente diffidente nel parlare con altri di questo argomento, temendo che forse il suo interlocutore ne sappia più di lui. L’autodifesa di Oscar Wilde nello « Scots Observer» deve ritenersi valida dinanzi alla sbarra della critica spassionata. Ognuno, scrisse, vede il proprio peccato in Dorian Gray (il più celebre romanzo di Wilde). Quale fu il peccato di Oscar Wilde

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1887 - Il Fantasma Di Canterville

Dorian Gray nessuno lo dice e nessun lo sa. Chi lo scopre l’ha commesso.

Qui tocchiamo il centro motore dell’arte di Wilde: il peccato. Si illuse credendosi il portatore della buona novella di un neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualità caratteristiche, le qualità (forse) della sua razza, l’arguzia, l’impulso generoso, l’intelletto asessuale al servizio di una teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l’evo d’oro e la gioia della gioventù del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche verità si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature, aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell’umile, è questa verità inerente nell’anima del cattolicesimo: che l’uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato.

JAMES JOYCE

IL GIGANTE EGOISTA

Ogni pomeriggio, al ritorno da scuola, i bambini solevano andare a giocare nel giardino del Gigante.

Era un giardino grande e bellissimo, tappezzato di soffice erba verde.

Qua e là sull’erba occhieggiavano fiori simili a stelle, e vi erano dodici peschi che a primavera si coprivano di delicati boccioli di rosa e di perla, e in autunno producevano frutti opulenti. Gli uccelli sedevano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini interrompevano spesso i loro giochi per starli ad ascoltare.

«Come siamo felici, qui!» dicevano gli uni agli altri.

Un giorno il Gigante tornò. Era stato in visita da un suo amico, l’orco di Cornovaglia, e ci era rimasto sette anni. In capo a sette anni, avendo detto tutto quello che aveva da dire, poiché la sua conversazione era limitata, decise di rientrare nel proprio castello. Quando arrivò vide i bambini che giocavano nel giardino.

«Che cosa fate qua?» gridò con una voce terribilmente burbera, e i bambini scapparono via di corsa.