Nutriva contro Washington un rancore particolare, sapendo perfettamente che era lui a togliere ogni giorno la famosa macchia di sangue dei Canterville, grazie a quel suo maledetto Detersivo Incomparabile Pinkerton. Dopo avere ridotto in uno stato di terrore indicibile quel giovane incosciente e scapestrato, sarebbe passato nella stanza occupata dal ministro degli Stati Uniti e da sua moglie, dove avrebbe posato sulla fronte della signora Otis una mano umidiccia, mentre avrebbe sibilato nelle orecchie del suo tremebondo marito gli orrendi segreti della cappella mortuaria. In quanto alla piccola Virginia non aveva ancora deciso sul da farsi. In fondo ella non lo aveva mai né offeso né insultato, ed era graziosa e gentile. Pochi gemiti cavernosi dal guardaroba, pensò, sarebbero stati più che sufficienti, oppure, se non fosse riuscito a svegliarla, le avrebbe grattato la trapunta del letto con dita tremanti di paralisi. Ai gemelli, invece, era ben deciso a impartire una lezione coi fiocchi. Per prima cosa, naturalmente, si sarebbe seduto sui loro stomachi, in modo da provocare la sensazione soffocante dell’incubo. Poi, dato che avevano i letti vicini, si sarebbe messo in mezzo assumendo l’aspetto di un cadavere verde e freddo come il ghiaccio, finché quelli si fossero sentiti immobilizzati dal terrore, e infine avrebbe gettato il sudario e si sarebbe messo a strisciare per la stanza con ossa calcinate e un’unica pupilla roteante, nella personificazione di «Daniele il Muto», ovvero «Lo Scheletro del Suicida», ròle (parte) nel quale più di una volta era stato di effetto strepitoso e che egli considerava in tutto e per tutto eguale alla sua celebre creazione di «Martino il Maniaco», ovvero il «Mistero Mascherato».
Alle dieci e mezzo intese la famiglia che andava a coricarsi. Fu disturbato per un certo tempo da urla e sghignazzate selvagge — i gemelli, Oscar Wilde
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naturalmente, i quali si stavano senza dubbio divertendo prima di mettersi a dormire — ma alle undici e un quarto tutta la casa era immersa nel silenzio, e come scoccò la mezzanotte egli uscì dal suo rifugio. Il gufo picchiava il suo becco adunco contro le invetriate, il corvo gracchiava appollaiato in cima al tasso antico, il vento er-rava gemendo attorno al castello come un’anima in pena, ma la famiglia Otis dormiva, inconsapevole della propria sorte, e alto sopra i rumori della pioggia e della tempesta il fantasma potè distinguere il sonoro russare del ministro degli Stati Uniti. Emerse cautamente dal pannello di legno che rivestiva la parete, con un sorriso malvagio sulla bocca avvizzita e crudele, e la luna si nascose la faccia dietro a una nuvola mentre egli passava davanti al finestrone a sporto dove le sue insegne e quelle della sua moglie assassinata splendevano in campo azzurro e oro. Avanti, avanti; egli procedette, scivolando silenzioso come un’ombra malefica, e la tenebra stessa parve inorridire al suo passaggio. A un certo momento gli sembrò di udire un appello lontano, e si fermò, ma non era che l’abbaiar di un cane della Cascina Rossa, ed egli riprese ad avanzare, borbottando strane maledizioni del sedicesimo secolo e brandendo di quando in quando la daga rugginosa nell’aria notturna. Giunse infine all’angolo del corridoio che conduceva nella camera dello sfortunato Washington. Sostò allora per un istante: il vento gli faceva svolazzare intorno al capo le lunghe ciocche grigie e scompigliava in pieghe fantastiche, grottesche, l’orrore senza nome del suo sudario. Quindi la pendola suonò il quarto ed egli comprese che l’ora era venuta. Ridacchiò tra sé, lugubremente, e svoltò l’angolo; ma subito cadde all’indietro con un gemito lamentoso di spavento e si nascose la faccia sbiancata tra le mani lunghe e ossute. Proprio davanti a lui si ergeva uno spettro mostruoso, immobile come un’immagine scolpita e allucinante come il sogno di un pazzo. Aveva il cranio calvo e lucido, la faccia rotonda, grassa e bianca, e un riso osceno pareva gli avesse distorto i lineamenti in un ghigno perpetuo. Dagli occhi uscivano bagliori di luce scarlatta, la bocca era un vasto gorgo di fuoco, e un lenzuolo ributtante, simile al suo, ammantava delle sue nevi silenti le forme titaniche. Sul petto recava una scritta vergata in caratteri antichi, un cartiglio d’infamia, pareva, chi sa quale testimonianza di peccati orrendi, quale spaventoso calendario di delitti, e alto nella mano destra impugnava un falciuolo d’acciaio scintillante.
Non avendo mai veduto uno spettro in vita sua, era troppo logico che il Oscar Wilde
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povero fantasma ne fosse terribilmente spaventato, e dopo un’altra fuggevole occhiata alla paurosa apparizione egli fuggì precipitosamente nella propria stanza, inciampando nel sudario mentre correva lungo il corridoio, e alla fine lasciò cadere la spada negli stivaloni da caccia del ministro, dove fu trovata dal maggiordomo l’indomani mattina. Una volta al sicuro nel segreto del proprio appartamento, si lasciò cadere sul letto, un modesto pagliericcio, e nascose la faccia sotto le coperte. Ma dopo qualche tempo l’antico spirito dei Canterville ebbe infine il sopravvento in lui, ed egli decise che sarebbe andato a parlamentare con l’altro fantasma non appena fosse spuntata l’alba. Perciò, proprio mentre l’aurora stava tingendo d’argento le cime dei colli, ritornò nel punto in cui i suoi occhi si erano posati per la prima volta sulla truce apparizione, poiché aveva riflettuto che, dopo tutto, due fantasmi valgono meglio di uno solo e che forse, con l’aiuto del suo nuovo amico, avrebbe potuto agire con maggiore efficacia contro i gemelli. Ma come fu giunto all’angolo del corridoio uno spettacolo terribile si offerse alla sua vista. Qualcosa doveva certamente essere accaduto allo spettro, poiché la luce era totalmente scomparsa dalle sue occhiaie vuote, il falciuolo luccicante gli era caduto di mano, ed esso se ne stava poggiato contro il muro in un atteggiamento molto scomodo e innaturale. Il fantasma diede un balzo e lo afferrò tra le braccia; ma, con suo grande orrore, la testa si staccò dal busto e scivolò a terra, il corpo assunse una posizione recline, ed egli si trovò a stringere una tenda da letto in cotonina bianca, con una scopa, un coltellaccio da cucina, e una zucca vuota ai piedi. Incapace di comprendere questa strana trasformazione s’impadronì con ansia febbrile della scritta misteriosa ed ecco che nel grigio chiarore del mattino potè leggere queste parole inquietanti: SPETTRO DEGLI OTIS
Unico Fantasma Autentico e Originale
Guardarsi dalle Imitazioni
Tutti gli Altri sono Contraffatti
Una gran luce si fece in lui.
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