Gli uccelli volavano tutt’attorno e cinguettavano felici, e i fiori facevano capolino sul prato e ridevano. Era una scena deliziosa, solo in un angolo del giardino era ancora inverno. Era l’angolo estremo, e in esso stava un ragazzino. Era tanto piccolo che non arrivava a toccare i rami dell’albero, e vi girava tutt’attorno, piangendo disperatamente. Il povero albero era ancora coperto di gelo e di neve, e il Vento del Nord gli soffiava e sbuffava sopra.
«Sali, ragazzino» diceva l’albero, e abbassava il suoi rami verso terra quanto più poteva, ma il bimbo era troppo piccino.
Allora, mentre guardava, il Gigante si sentì sciogliere il cuore.
“Come sono stato egoista!” si disse. “Adesso capisco perché la Primavera non veniva mai da me. Metterò quel povero bambino in cima all’albero, e poi abbatterò il muro e d’ora innanzi il mio giardino sarà per sempre il campo di giochi dei bambini.” Era proprio molto dispiaciuto di quello che aveva fatto.
Perciò scese abbasso piano piano, aprì il portone senza far rumore e uscì in giardino, ma quando i bambini lo videro ne ebbero così paura che scapparono via tutti, e il giardino ripiombò un’altra volta in preda all’inverno. Soltanto il ragazzino non fuggì, poiché aveva gli occhi talmente gonfi di lagrime che non vide venire il Gigante. E il Gigante gli si avvicinò di soppiatto, lo prese dolcemente nella sua grossa mano e lo posò sull’albero. E subito l’albero si coprì di bocci, e gli uccelli vennero e presero a cantare tra i rami, e il ragazzino tese le braccia e cinse il collo del Gigante e lo baciò. E gli altri bambini, quando capirono che il Gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa, e con loro venne la Primavera. «È il vostro giardino, adesso, bambini!» disse il Gigante, e prese una grande Oscar Wilde
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1887 - Il Fantasma Di Canterville
scure e abbatté il muro. E quando la gente si recò al mercato, a mezzogiorno, vide il Gigante che giocava coi bambini nel più bel giardino che mai fosse esistito.
Giocarono tutta la giornata, e la sera si recarono dal Gigante a salutarlo.
«Ma dov’è il vostro piccolo compagno,» chiese loro il Gigante «il ragazzino che io ho messo sull’albero?» Il Gigante lo amava più di tutti poiché gli aveva dato un bacio.
«Non sappiamo,» risposero i bambini «è andato via.»
«Dovete dirgli di venire senza fallo domani» disse il Gigante. Ma i bambini gli spiegarono che non sapevano dove abitasse, poiché non lo avevano mai veduto prima, e il Gigante ne provò una profonda tristezza.
Ogni pomeriggio, quando la scuola era terminata, i bambini venivano a giocare col Gigante, ma il ragazzino che il Gigante amava nessuno lo vide più. Il Gigante era molto affettuoso con tutti gli altri bambini, tuttavia si struggeva di rimpianto per quel suo primo piccolo amico, e spesso parlava di lui. «Come mi piacerebbe vederlo!» ripeteva spesso.
Passarono molti anni: il Gigante era diventato vecchio e debole. Non aveva più la forza di giocare, perciò rimaneva seduto in un’immensa poltrona e osservava i bambini intenti ai loro giochi, e ammirava il suo giardino. «Ho molti fiori bellissimi, adesso,» soleva dire «ma i bambini sono i fiori più belli.»
Un mattino d’inverno, mentre si vestiva, diede un’occhiata fuor della finestra. Ormai non odiava pù l’Inverno, poiché sapeva ch’esso era soltanto la Primavera addormentata, e che in quel periodo i fiori si riposavano.
A un tratto si fregò gli occhi per la meraviglia e tornò a guardare e a riguardare più volte. Era veramente uno spettacolo straordinario.
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